Londra, anno 1593. La peste sta devastando la città, i teatri sono chiusi. William Shakespeare, scrive un piccolo capolavoro in versi, Venere e Adone, che sfugge a qualsiasi definizione, comico eppure tragico, leggero e profondo, un inno all’eros più carnale e ossessivo e un ammonimento contro la Lussuria.
L’anno seguente Shakespeare riprende un episodio dell’antica storia romana: lo stupro di Lucrezia da parte di Sesto Tarquinio, il figlio del re. In Shakespeare questo episodio di violenza viene raccontato, in modo sconvolgente, dalla voce di lei, che si dispiega in un lungo flusso di coscienza, e diviene uno dei più alti esempi di meditazione sulle conseguenze dello stupro visto dalla parte di una donna. Ma a impressionare ulteriormente il lettore è l’acutissima indagine nella psiche del carnefice.
Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia, oltre ad essere due capolavori assoluti, sono gli unici e certi originali di quell’autore dai contorni tuttora fascinosamente incerti che risponde al nome di Shakespeare.
REPLICHE