Home Blog Page 533

24 marzo, Barnum, di e con Elena Bucci, Teatro delle Moline, Bologna

ElenaBucci-Barnum_1Prendo il treno. Vado a Bologna a vedere il nuovo lavoro di Elena Bucci, attrice verso cui da molti anni “trattengo a stento l’ammirazione”, come direbbe Ennio Flaiano. Piove. Arrivo alle Moline, che è un teatro molto piccolo. Molto. Mistero: tutte le volte che vado lì, piove. Risultato: si aspetta fuori, accalcati, sotto la pioggia. A volte davvero non ne è valsa la pena, andare lì: il treno, la pioggia, la calca. Stavolta. Invece. Elena Bucci fa ridere. E fa piangere. E pensare. E ricordare. E vedere tante cose che lì non ci sono. Il finale, che evoca Fernando Pessoa, è da manuale di storia del teatro. Nel piccolo spazio di questo “io c’ero” non ci può proprio stare, un’attrice così grande. (michele pascarella)

Le contraddizioni del «Giapponismo»

degno di nota foto 2 aprileIl termine «Giapponismo» si diffuse in tutta Europa mettendo in luce quella moda legata alla fascinazione che molti artisti, intellettuali, letterati subirono a fine Ottocento grazie alla divulgazione delle arti giapponesi avuta in epoca Meiji (1868-1912), l’era del cosiddetto governo illuminato e pieno di contraddizioni. Van Gogh fu letteralmente folgorato dalla bellezza e dalla semplicità delle arti giapponesi che con pochi gesti riuscivano a non essere mai «noiosi», e lui stesso fu collezionista di stampe giapponesi, riprendendo molti spunti nella sua arte. Anche il liberty di inizio ‘900 è debitore della grazia della natura espressa dalle arti giapponesi. L’era Meiji, epoca delle contraddizioni, se da un lato portò alle partecipazioni alle grandi Esposizioni Internazionali con lacche, metalli, ceramiche di alta tradizione, dall’altro stava preparando una vera e propria trasformazione sociale, economica e tecnologica che avrebbe posto le basi per un Giappone quale potenza mondiale. La mostra allestita alla GNAM di Roma intende far luce su questo particolare momento storico legato alla diffusione dell’arte yōga e nighonga, la prima più occidentale, la seconda più tradizionale attraverso dipinti, carte, tessuti, lacche, kimono, ceramiche che forniscono un percorso suggestivo di un’arte quasi «spirituale».

Questa esposizione rientra nelle celebrazioni del 400° anniversario della Missione Hasekura, la prima ambasceria giapponese in Occidente, e del 50° anniversario della fondazione dell’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, il primo extraterritoriale che fin dalle sue origini ha avuto importanti rapporti anche con la città di Faenza. Non a caso proprio il Museo Internazionale delle Ceramiche è stato invitato ad allestire presso la prestigiosa sede dell’Istituto una mostra dedicata all’arte ceramica contemporanea giapponese, con opere di artisti premiati al Concorso Internazionale – Premio Faenza. Una quarantina di opere rappresentano infatti gli sviluppi dell’arte ceramica giapponese dall’informale degli anni ’60 alla vena pop degli anni ’70, per passare a minimalismo e manga-cartoon delle ultime generazioni, nella pura e semplice dicotomia dello sguardo alla tradizione con un occhio al futuro. Le presenze giapponesi hanno avuto sempre un ruolo importante per il nostro Premio: tante influenze e scambi culturali avvennero negli anni arricchendo il nostro territorio e mostrando un «fare» nuovo legato ad una cultura di antica tradizione, apparentemente un ossimoro, in realtà è la vera forza della cultura giapponese!

Fino al 5 maggio, Arte in Giappone 1868-1945, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, info: gnam.beniculturali.it

Fino al 25 maggio, Ceramica Contemporanea Giapponese in Italia, Istituto Giapponese di Cultura, Roma, info: jfroma.it

 

Gli Area a Crossroads

Area. Foto di Paolo soriano
Area. Foto di Paolo Soriano

Gli Area sono una delle famose band dell’ondata jazz-rock anni Settanta, che ha saputo unire generi diversi: dal rock progressivo, al free jazz, alla musica elettronica, dalla musica etnica alla sperimentazione. Dopo la scomparsa prematura di Demetrio Stratos il loro leader sperimentale, il gruppo si è sciolto. Ma da alcuni anni gli area si sono ricongiunti, i  «superstiti» Fariselli, Tofani e Tavolazzi, con Walter Paoli alla batteria, nel novembre dell’anno hanno pubblicato un nuovo album Live 2012, con alcuni inediti e la collaborazione, alla voce, di Maria Pia De Vito. Suonano a Crossroads a Correggio il 16 maggio.

16 maggio, Area, Crossroads, Correggio, Teatro Asioli, 

info: 0544 405666, crossroads-it.org

Il jazz sempre più italiano dello Zingarò

0

Conclusa la nona stagione dello Zingarò Jazz Club di Faenza. Come di consueto la rassegna si è articolata su tutta la stagione invernale e, in otto mesi, ha portato a Faenza una scelta di musicisti attenta alle evoluzioni della scena nazionale, sia nei suoi protagonisti affermati che nei talenti emergenti. La direzione artistica voluta da Michele Francesconi ha rispettato anche quest’anno il suo spirito caratteristico: uno sguardo alle progettualità forti e alle formazioni che crescono insieme e condividono un’idea precisa di repertorio, sonorità e intenzioni musicali.

E, come ogni anno, al percorso musicale si è affiancato un percorso didattico ampio e variegato: una maniera di unire l’ascolto e l’esecuzione con una serie di momenti rivolti a focalizzare gli argomenti intorno al jazz. Momenti aperti al pubblico come le presentazioni di libri oppure specificamente pensati per i musicisti come i seminari o, ancora, le giornate di studio, una forma “ibrida” aperta sia ai musicisti che agli appassionati: il prossimo 6 giugno si terrà quella sul pianismo di Chick Corea.

Non sono molti i club in Italia a poter vantare più di dieci stagioni nella propria storia: la prossima sarà perciò una rassegna resa ancora più importante da questo traguardo. La programmazione effettuata nel corso degli anni ha portato allo Zingarò uno spaccato essenziale e una rappresentazione efficace delle direzioni del jazz italiano e, di converso, il valore delle scelte e diverse peculiarità – come ad esempio l’idea di presentare sin dall’autunno tutta la programmazione – hanno reso il club una delle realtà maggiormente conosciute nel panorama del jazz nazionale.

The Creation «Biff! Bang! Pow!»

  creationIl karma che si porta dietro una chitarra rubata è sempre un affare complesso e delicato, da cui è quasi impossibile sfuggire. È una vecchia storia del rock’n’roll: qualsiasi chitarra che non valga esattamente un fico secco porta con sé la tentazione di afferrarla e scappare via. È fin troppo semplice scambiare strumenti di qualità per contanti rapidi, e tossici, vagabondi e altri scoppiati non riescono proprio a contenersi.

Prendi Ron Wood: per andare a suonare il basso nei fantastici Creation – il primo gruppo della sua lunga e spettacolare carriera – dovette rubarlo da un appartamento di Notting Hill, semplicemente perché era troppo povero per comprarne uno. Ma non si dimenticò mai.

La riconoscenza lo prese per mano qualche anno dopo, ormai ricco e famoso mentre militava nella band di Rod Stewart, e lo spinse a farsi accompagnare dal suo autista sul luogo del furto, lo fece scendere dalla Rolls scortato da due signorine, e suonato il campanello fece sì che restituisse il basso al vecchio proprietario. Peccato che la buona azione non riuscì a salvarlo dal suo destino. Un paio d’anni dopo, due teppistelli di nome Steve Jones e Paul Cook che stavano facendo razzie di strumenti musicali a tutto il gotha del rock, da David Bowie a Bob Marley, entrarono anche in casa di Ronnie Wood e gli rubarono qualche amplificatore e una Gibson Les Paul bianca.

La stessa chitarra che avrebbe suonato in tutti i pezzi di Never Mind The Bollocks, il disco d’esordio del gruppo di teppisti di cui sopra, tali Sex Pistols.

È impossibile essere più simbolici di così.

Di lì a poco, il punk avrebbe dilaniato e annientato i vecchi dinosauri rock dell’ancien regime. Dopo tutto anche Luigi XVI aveva commissionato la costruzione della ghigliottina, ignaro che il suo popolo l’avrebbe poi usata per decapitarlo durante la Rivoluzione Francese.

 

Claudio Cavallaro aka Granturismo.

Guerrilla Gardening

0

Niente è immune dalle mode, men che meno gli spazi verdi di cui ci occupiamo: orti urbani, giardini verticali, aiuole clandestine di guerrilla gardening sono in forte aumento, evviva! E con loro si diffondono nuove colture, frutti un tempo ritenuti esotici, tecniche e soluzioni mai viste prima dalle nostre parti. Una signora faentina, per esempio, mi ha consigliato di andare a osservare gli orti cinesi sull’argine del Lamone, ove prosperano melanzane nane e altre rarità, in graziose aiuole rialzate. E a proposito di aiuole rialzate, il vero must di questi tempi è farsi la spirale delle aromatiche: non si tratta di un metodo contraccettivo casalingo, ma di un microcosmo per la coltivazione delle piante officinali, che riesce ad ospitare in poco spazio molte specie diverse, offrendo a ciascuna le condizioni ottimali di esposizione solare, pendenza, umidità del suolo. Se ben fatta, la spirale è proprio un’opera d’arte verde di cui andare fieri, e che dura molti anni con poca manutenzione. Potete trovare facilmente su internet le istruzioni per farne una, anzi troverete molti modi diversi. Perciò non tralasciate un’attenta osservazione dell’ambiente scelto per ospitarla, soprattutto al momento di valutare quali piante metterci, e non dimenticate di dare il vostro tocco personale: magari lancerete una nuova moda.

Pneuma…gici

Con l’arrivo della primavera è tempo di sostituire gli pneumatici invernali. Se sono troppo usurati per concedersi altri chilometri le alternative sono due: possono essere conferiti al vostro distributore locale dove verranno riciclati, oppure potete farne un’altalena-pneumatico per il vostro terrazzo o giardino. Infine i più creativi possono tagliarli a piacimento e usarli come portafiori in casa. Buona primavera! (al.lo.)

Amsterdam Contemporanea

Voli. Compagnia di linea KLM/Alitalia da Bologna ad Amsterdam (diretto): andata 6.10-8.05 o 12.30-14.35, ritorno 15.00-16.50. Dormire. Economico ed affascinante: da non perdere l’esperienza nelle houseboat lungo i canali (www.houseboathotel.nl); medium: nell’ex-porto Lloyd Hotel, con soluzioni da 1 a 5 stelle, recuperato nel 2004 dallo studio MVRDV (nata come struttura per gli emigranti dell’Est nei primi del ’900); luxury: a due passi da Museumplein, Conservatorium Hotel (Piero Lissoni, 2012). Evento. Il 13 aprile riapertura del Rijks Museum (dopo un restauro durato 10 anni ad opera dello studio di Siviglia, Cruz Ortìz, nella foto) con i capolavori del XVII secolo di maestri quali Rembrandt e la sua Scuola, Vermeer, Frans Hals e Jan Steen. Musei. Van Gogh Museum fino al 25 aprile è ospitato all’Hermitage Amsterdam con Vincent. Il Van Gogh Museum nell’Hermitage Amsterdam; Stedelijk Musem riaperto al pubblico dopo un lungo restauro, con un innovativo edifico (ad opera di Benthem Crouwel Architects) Mostra. Guido van der Werve. Number Fourteen; Eye Film Institute (Delugan Meissl Architects, 2012); Nemo-Museo Marittimo dei Paesi Bassi (Renzo Piano, 1997); Arcam – Architecture Centre Amsterdam (mostre temporanee, e partenze di architour); FOAM – Fotografiemuseum Amsterdam. Visite. Burs van Berlage ex palazzo della Borsa, oggi centro espositivo/eventi (H.P. Berlage, 1903); visita (consigliata in bicicletta) delle ex-aree portuali convertite in quartieri residenziali: KNS Island (Jo Coenen, 1988), Java Island (Sjoerd Soeters, 1998) e Borneo-Sporenburg (Gueze & West 8 2001). Escursioni. Otterlo – Kröller-Müller Museum, un parco ricco di sculture (Rodin, Moore, Fontana, Oldenburg, Wotruba, etc) e di padiglioni d’arte (con opere di Van Gogh, Mondrian, Seurat, Redon, Picasso, etc), vale la visita di almeno una mezza giornata. Locali d’autore. Grand Cafè Berlage (H.P. Berlage, 1903); Envy restaurant Bar (Concrete Architectural Associates, 2005); Hotel Droogs (Spazio Eventi, Shops, Garden, Hotel). (Roberto Bosi)

Fin dove è giusto indirizzare i figli nella scelta della scuola?

Gentile dottoressa,

sono la mamma di un ragazzo che il prossimo anno farà la prima superiore. La scelta della scuola è stata un calvario. Alla fine io e mio marito lo abbiamo convinto per una scelta che ci sembrava più adatta a lui, ma da quel momento mi chiedo se abbiamo fatto la cosa giusta o se avremmo dovuto rispettare la sua scelta anche se è ancora così piccolo. Fin dove è giusto indirizzare i figli?

Grazie, A.

 

Cara A.,

la tua è sicuramente una domanda complessa, alla quale non posso che rispondere su basi generali nonostante richieda un approfondimento della vostra storia, ovviamente.

In linea di massima i figli devono essere considerati i protagonisti delle loro scelte di vita. Il ruolo genitoriale dovrebbe consistere nell’aiutarli a diventare capaci di prendere decisioni libere ma allo stesso tempo ragionevoli, che si sposino con le loro potenzialità. È peraltro vero che la libertà dei ragazzi è spesso fortemente condizionata dalla loro immaturità che implica una parziale capacità di valutare molti aspetti della realtà. L’immaturità psicologica però è una caratteristica peculiare della fase preadolescenziale in cui i ragazzi si trovano all’età in cui devono scegliere la scuola superiore. In tale periodo alcuni delegano ai genitori la scelta, aderendo in modo superficiale a ciò che la famiglia vuole per loro, altri si oppongono aprioristicamente al consiglio dato.

Evitando ai ragazzi la fatica di capire cosa sia più opportuno fare, di affrontare la paura ed il rischio di sbagliare, non li si aiuta a crescere, a maturare.

È comunque opportuno che i genitori si preoccupino di capire quale scuola possa essere più consona per il figlio, pur senza imporgli delle decisioni adeguate ma non elaborate dal ragazzo, e che come tali non potrà mai sentire davvero sue.

Lasciare libertà di scelta quindi non significa lasciarlo solo nella decisione, permettendogli anche la mossa più bizzarra e meno adeguata, ma evitare atteggiamenti estremi, ovvero mettere a servizio del ragazzo l’esperienza genitoriale aiutandolo, tramite il dialogo, a compiere una scelta ragionevole, a valutare i possibili pro e contro di ogni opzione e le future conseguenze.

 

Potete lasciare un commento qui sotto, oppure  scrivere a alicelombardi@hotmail.com

 

Il mondo salvato dai ragazzini

0
Chiara Guidi, ideatrice del festival
Chiara Guidi, ideatrice del festival

«Bambino padre dell’uomo». Con questo celeberrimo slogan, circa un secolo fa la pedagogista e filosofa Maria Montessori sintetizzava il profondo mutamento di sguardo in atto nella società: l’infante, con le sue esperienze un tempo ritenute irrilevanti, diveniva matrice costitutiva dell’adulto, non più mera potenzialità, ma essere dotato di uno specifico linguaggio creativo e comunicativo.

Questa montessoriana capriola del pensiero pare sottendere all’ideazione della terza edizione di Puerilia, festival diretto da Chiara Guidi, co-fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio, che avrà luogo al Teatro Comandini di Cesena nel mese di aprile. Spazio a spettacoli che, sebbene si rivolgano ad un pubblico infantile, non sono presi dal repertorio del teatro-ragazzi: performance spesso create per un pubblico adulto da artisti della più vitale scena contemporanea (tra cui Santasangre, Mirto Baliani/Marco Parollo e la stessa Guidi), che a Puerilia si pongono di fronte al sovversivo sguardo dei bambini, «per ritrovare quella vicinanza tra percezione e fantasia, tra pensare e immaginare», che accomuna l’infanzia e l’atto di creazione.

Di grandissimo interesse, in questo senso, il laboratorio Il lavoro dell’attore agli occhi di un bambino, pensato per allestire uno spazio e fissare una struttura drammatica entro la quale l’arte del teatro potrà e dovrà essere modificata «là dove lo sguardo dei bambini indicherà un altrove». Per tre fine settimana, nel pomeriggio di venerdì e nelle mattine di sabato e domenica gli attori verranno guidati da Chiara Guidi nell’allestimento di una performance che poi, alla domenica pomeriggio, dovrà incontrare i bambini e la loro capacità di rovesciare i sistemi.

Questo fecondo ribaltamento sarà indagato, tra le tante proposte, anche dal seminario per insegnanti La potenza analfabetica della fantasia, condotto dalla stessa Guidi con la collaborazione del maestro-narratore Franco Lorenzoni e del pianista Fabrizio Ottaviucci e da Cosa significa essere figli?, incontro in cui lo psicoanalista Massimo Recalcati, partendo dalla figura di Telemaco, colloca la fantasia come «dono ereditario», nel passaggio tra padri e figli. E da molti altri preziosi momenti (seminari, incontri, laboratori, concerti, spettacoli), cui vale certo la pena porre grande attenzione.

Chiara Guidi, da noi interpellata sul senso da lei dato, per questa edizione del festival, all’usurato termine fantasia, spiega ai lettori di Gagarin: «Noi adulti nascondiamo le nostre fantasie come cose private, ma soprattutto non le reputiamo una forma di conoscenza della realtà. Forse, attraverso lo sguardo del bambino, la nostra fantasia riesce a vincere le proprie resistenze ed è chiamata ad agire con quell’energia dirompente che spinge a creare un ordine pur facendo confusione, e a vedere ‘irragionevolmente’. La poetica dell’immaginazione, in grado di creare sempre nuove relazioni di fronte a ‘l’oscurità naturale delle cose’, spinge la ragione ad andare oltre l’apparenza, spinge verso quel luogo nascosto in cui gli oggetti trasferiscono la propria forma senza la materia, pronti a riceverne un’altra. Come sfida al futuro. Per credere nella propria capacità ad immaginare. Per non corrompere l’istinto. Per sentire e afferrare la profondità indefinita dei piani della vita».

MICHELE PASCARELLA

 11 aprile-3 maggio

PUERILIA 2013

seminari, incontri, laboratori, concerti, spettacoli

Cesena, Teatro Comandini

info: raffaellosanzio.org

Lucciola e Lanterna per i tempi bui

0

apertura gusto foto 2Siamo un Paese strano. Molto. Siamo in piena recessione, crollano consumi e reddito delle persone. Paghiamo tanto in cambio servizi scarsi, il più delle volte scadenti. E questo è vero, soprattutto, per chi ha più problemi e difficoltà. Se diamo uno sguardo al bilancio del nostro Stato, scopriamo cose strane. Esempio: i fondi destinati alle famiglie con un parente non autosufficiente. Nel 2010 era di 400 milioni di euro, 10 anni prima il doppio. Poi il governo Berlusconi azzera il conto – durante la tempesta perfetta, i soldi da qualche parte bisogna pur trovarli – mentre Monti, bontà sua, lo riporta a 275. A dividersi la torta sono tutti coloro che hanno un problema: anziani, diversamente abili, malati cronici e chi soffre di un disturbo psichico.

Una goccia nel mare. Ci penso mentre torno dalla Lanterna di Diogene a Solara di Bomporto (Mo). È l’osteria aperta nel 2003 dalla cooperativa La lucciola. Un casale di campagna caldo e accogliente a ridosso degli argini del Panaro. A tavola e sul menù ho trovato ottime paste fatte in casa, tortellini e tortelloni di ricotta e ortica e attenzione alle zuppe che variano secondo i frutti stagionali dell’orto. Fra i secondi stracotto e roastbeef di vacca bianca modenese, arrosto di faraona in farcia di cotogne e verzotti di carne e ricotta. Pure un fagiano alla Russa, ricetta della nonna di Giovanni una delle anime del locale. Tutto accompagnato dal pane di farina semintegrale macinata a pietra fatto in casa.

Attorno all’osteria filari di Trebbiano da cui nasce un ottimo aceto balsamico tradizionale, e un bell’allevamento di galline modenesi, conigli e qualche maiale. Quasi un ciclo chiuso di Steineriana e biodinamica memoria. Intorno a me persone gentilissime, e tanti ragazzi che alla cucina e alla sala della Lanterna non ci sono arrivati da un reality ma dalla vita. Quella vera. La lucciola si occupa di bambini e adolescenti con problemi psichici, cognitivi o sindrome di Down. Aiutano le loro famiglie nel farli crescere e scoprire le loro potenzialità. E quando i bambini crescono, La Lanterna di Diogene diventa per loro un’opportunità. Imparano un lavoro, non tanto per diventare autosufficienti, ma per tirare fuori quanto di buono hanno dentro, per scoprire che lavorare in un orto, allevare, imparare a cucinare, conoscere un ristorante, sono pure una dimensione che ti completa e ti soddisfa. Oggi tra cucina e sala sono in 12: alcuni con un contratto a tempo indeterminato, altri in borsa lavoro e alcuni danno solo una mano. Il tutto senza preoccuparsi di tagli ai bilanci, ai fondi sociali e senza mettere le mani nelle tasche di nessuno. Solo rimboccandosi le maniche.

Ma senza scomodare la legge di Murphy e rifacendosi al sano vecchio detto che ci ricorda come la sfiga abbia vista accuminatissima, Bomporto si è trovata nel bel mezzo del terremoto dello scorso anno. La casa fortunatamente non ha subìto danni, ma la clientela locale è diminuita. Le stelle Michelin affibbiate ai ristoranti significano, «vale una sosta», «una deviazione» e quando sono tre «vale un viaggio». E la Lanterna, portate con voi amici e conoscenti, un viaggio lo vale. Più di qualsiasi 3 stars restaurant. Quando vi alzate da tavola contenti e appagati, comprate un po’ del loro buon Lambrusco o ottimo aceto. È una spesa fatta bene. Una volta tanto: «buona, pulita e giusta». Chissà se il copy di Slow Food ha mai mangiato lì. Nel caso, speriamo lo faccia presto.

CARLO BOZZO

LA LANTERNA DI DIOGENE

via Argine 20, Solara di Bomporto (Mo)

Info: 059 801101, www.lalucciola.org

 

25 Aprile: nel Senio della Memoria

CAMMINATA 2Torna per il decimo anno consecutivo Nel Senio della memoria – La camminata della Liberazione, sicuramente una delle manifestazioni più belle e suggestive con le quali si celebra nel nostro territorio l’anniversario del 25 Aprile. L’iniziativa, curata dall’Associazione culturale Primola e promossa dai Comuni di Alfonsine, Bagnacavallo, Cotignola, Fusignano, Lugo, nonché dall’Anpi e dall’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, propone una passeggiata collettiva di 18 chilometri lungo l’argine del fiume Senio, che fu teatro di una delle battaglie più cruenti e sanguinose della Seconda Guerra Mondiale. Lungo il percorso sono allestiti vari punti di sosta dove si alternano spettacoli teatrali, musicali, letterari e omaggi ai cippi e alle lapidi erette in ricordo dei caduti per la Liberazione. Ma la camminata non vuole essere solo una commemorazione: quei 18 chilometri sono infatti dedicati anche ai giovani, al lavoro, ai diritti e all’ambiente. Insomma, riflettendo sul passato, si guarda al futuro.

Due i punti di partenza, alle ore 9 del 25 aprile, da Alfonsine e da Cotignola. Le due camminate s’incontrano poi alle ore 10,30 a Lugo presso il ponte della San Vitale.

Info: 333 4183149, primolacotignola.it

A volte ritornano

0

«Starman» – Una breve introduzione

 apertura libri fotoMaestro e cantore del silenzio della vita e delle oggetti. A Bologna una celebrazione
doverosa consacra lo scrittore e traduttore Gianni Celati, che da anni vive in Inghilterra. Il festival a lui dedicato dal titolo La dispersione delle parole prosegue fino all’autunno. Il 9 maggio ai Teatri di Vita l’ultimo incontro della primavera con Celati che tiene una lettura scenica da Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, in estate una rassegna in piazza Maggiore che presenta i suoi lavori cinematografici e infine, in autunno, una serie di incontri pubblici con amici e scrittori. Recente la pubblicazione della sua nuova traduzione di un caposaldo del ’900 Ulisse di James Joyce per Einaudi.


«Like a rolling stone»

«Nato nel ’37 – Sei mesi di vita a Sondrio – padre ferrarese, impiegato in banca, litiga col direttore, condannato per punizione a trasferirsi da un capo all’altro dell’Italia – Famiglia viaggiante» per poi continuare «Viaggio in Germania e quasi matrimonio, ma lei si mette con un altro – Ritorno a casa – Passa il tempo – raptus di scrivere come un certo matto che lo appassiona – Italo Calvino propone di farne un libro».

Questo è uno stralcio di come lo stesso Celati racconta della sua vita sulla quarta di copertina di un suo libro uscito per i tipi di Quodlibet, gli amici di sempre: Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati e Jean Talon, ai quali manca solo Luigi Ghirri, grande fotografo dei silenzi d’Emilia, scomparso prima del tempo.

Celati è uno così. Uno che ha la testa di un maestro e parla come il timido da bar. Osserva, ascolta e poi scrive a tutti di quello che gli altri non hanno saputo vedere. Lo abbiamo scoperto attraverso i ricordi di Pier Vittorio Tondelli, che raccontava delle lezioni di letteratura americana al Dams di Bologna, e di questo strano e focoso professore che stregava i ragazzi. Gli stessi che poi uscivano dalla facoltà e si prendevano a pistolettate con la Polizia, mentre l’esercito mandava «i carri armati» in via Zamboni a zigzagare tra i sogni psichedelici di Paz, Freak Antoni, Radio Alice, Toni Negri e Bifo.

Gianni Celati intanto scriveva libri. Il primo ad accorgersi di questo intellettuale anarcoide fu proprio Calvino, che gli pubblicò Comiche, Le avventure di Guizzardi, narrativa dove la slapstick comedy dei fratelli Marx si fondeva all’argot di Louis Ferdinand Céline, verso un suono rocambolesco.

Agli anni Settanta seguirono gli Ottanta, con lo scolpire di uno stile cambiato e metafisico, Narratori delle Pianure, Verso la Foce, Quattro novelle sulle apparenze dove Celati diventa qualcuno che raccoglie e restituisce il silenzio di un’Emilia che assomiglia sempre di più ai deserti americani, alle interminabili sequenze di Paris Texas di Wim Wenders. I campi lunghi si dilatano sulle note di Ry Cooder e Zavattini si mischia a Sam Shepard, Kerouac a Mario Soldati. Le traduzioni da George Pèrec, Swift, Twain. Un universo il suo, in grado di allargarsi sempre, sperimentando alla scrittura di sonetti un’analisi critica del testo e del senso ultimo della parola, nel quale ha sempre cercato il ritmo come avrebbe fatto Charlie Parker o John Coltrane. Poi l’Africa, suo grande amore, il cinema e le affinità elettive con la fotografia di Ghirri. Ancora libri. La traduzione dell’Ulisse di Joyce ora uscita per Einaudi. Ultima titanica fatica di questo maestro che vive a Brighton in Inghilterra con la moglie. Chissà che non gli torni quel raptus di scrivere. Le strade hanno contorni stretti e si prolungano oltre la linea dell’infinito.

MARCO BOCCACCINI

Fino a novembre 2013

LA DISPERSIONE DELLE PAROLE

Bologna, sedi varie

Info: comune.bologna.it/cultura

Alziamoci dalla sedia

Soli davanti a uno schermo. Soli con le cuffiette nelle orecchie. Soli in una chat. Soli davanti ad una tastiera.

«Ci vediamo in chat», ho sentito all’uscita di una scuola media. «Ci sentiamo più tardi». Allora succede che aspetti una telefonata e invece arriva solo un sms. Poche battute, che magari non hanno diritto di replica oppure hanno un doppio senso che non permettono di capire. La chiamano comunità virtuale. Li chiamano, li chiamiamo amici. Quelli su Fb, quelli su Twitter. Con loro mai un caffè, mai uno sguardo, mai un sorriso. E un sms o una conversazione in chat di minuti diventa stare insieme.

Lo stesso vale per il lavoro che faccio. Le fonti sono ormai diventate (ahimè) solo on line. Nessuno si muove più dallo schermo e dalla sedia. La rete ha persino sostituito il telefono. Niente voci. Tutto in silenzio. Tutto senza confronto. Senza dialogo. Ma la rete allarga gli orizzonti, si racconta. Così si hanno tanti contatti. E allora capita che la scaletta dell’incontro che devi presidiare ti arriva per e mail e chi ti manda la posta sta nell’ufficio accanto al tuo. Neppure la fatica di fare un passo e mezzo.

Devianze deviate di quella che chiamiamo comunicazione. Amicizie virtuali, lavoro che si nutre di virtuale. E amore virtuale. «Ci siamo conosciuti in chat e ci siamo innamorati». Prima di vederci è passato un anno. Lo slancio, la passione, lo stimolo, l’attrazione possono darsi del tempo? L’amore non è istinto, curiosità, scoperta? Come ci si può innamorare di lettere che compaiono all’improvviso in una serata sul divano? E la voce? L’odore? Lo sguardo? I gesti? Le risa? I colori di un vestito? Ci mandiamo continuamente foto, condividiamo tutto. E gli abbracci, i baci, le carezze, i sapori? Se scrivi una frase sbagliata sei out, si sparisce per giorni. E che le frasi siano corte. Se sono lunghe è troppo impegnativo.

Ecco, impegnativo. Non voglio impegnarmi. Non voglio dare attenzione. Voglio esserci a tratti senza presenza. Più semplice. Per occhi e orecchie. È la stagione del disimpegno. Nella comunità virtuale ci sono relazioni virtuali e anche gli attori sono virtuali. Iscriviamoci ad un corso di scrittura. Perché forse non sappiamo più scrivere a mano. Accettiamo amicizie su Facebook solo se conosciamo chi ce la chiede. Guardiamo in faccia chi vogliamo bene. Usciamo dalle nostre stanze se dobbiamo parlare con i nostri colleghi. Non mandiamogli e-mail. Riprendiamo in mano il coraggio di parlare, di affrontare gli altri, di conoscerci, di relazionarci e di stare insieme. La tecnologia va usata solo per la sua velocità, non basta a nutrire il cervello. Per quello ci sono persone, libri e luoghi.

 

*Giovanna Greco è una giornalista Rai

Immagini l’India?

Danza di possessione, Fotografia di Leonardo Farina,  2013
Danza di possessione, Fotografia di Leonardo Farina, 2013

«Ma com’è l’India?». Appena rientrato a casa dopo un viaggio di un mese, è abbastanza normale sentirsi ripetere in continuazione la stessa domanda. Ma ogni volta rimango spiazzato. Cerco invano di riavvolgere il filo delle esperienze susseguitesi l’una dopo l’altra a ritmi incalzanti, e alla fine, dopo un breve silenzio, mentre il mio interlocutore aspetta che io dica qualcosa di interessante, l’unica cosa che mi viene da rispondere è: «Grande…».

Quasi tutti rimangono visibilmente delusi dalla lapidaria esposizione, ma davvero la riposta più indicata è questa. Perché l’India è un subcontinente, una realtà che difficilmente può essere riassunta in poche parole: stiamo parlando di una confederazione di Stati, con 22 lingue ufficialmente riconosciute e diverse centinaia di dialetti locali, numerose etnie, tre grandi religioni che convivono assieme ed enormi contrasti sociali tra vita rurale e caos cittadino.

«E là cosa sei andato a fare? Un giro o…». Ah già, il progetto. Bisogna partire da lì per capire il tipo di viaggio che ho fatto. «Sono andato a fare fotografie, eravamo in quattro a raccogliere materiale sui progetti di una organizzazione che si chiama GreenFarmMovement».

Questa volta la risposta è esauriente, ma si può dire ancora qualcosa di più.

GreenFarm si occupa principalmente di agricoltura biologica e di progetti educativi, attraverso la realizzazione di fattorie modello. Ma non solo. Tutte le sue attività ruotano attorno a un originale principio che viene chiamato copensiero: ogni proposta viene avanzata e discussa assieme alla comunità locale, e i ricavi delle attività vengono reinvestiti per promuovere sul territorio eventi culturali e di sviluppo sociale. Le strutture che GreenFarm sta aprendo saranno utilizzate anche per ospitare ricercatori e studenti, o anche semplici viaggiatori interessati ad un progetto di turismo dinamico, che vogliono conoscere aspetti di un territorio altrimenti relegati al di fuori dei normali itinerari.

«Sì, ma insomma, cos’è che hai visto?». Ci arriviamo, ma devo fermarmi un attimo a fissare i ricordi che nella testa scorrono veloci, come avessi premuto il tasto rewind di un vecchio VHS. Certo, mentre ero là ho tenuto un blog in cui raccontavo giorno per giorno le nostre esperienze, ma ora che sono a casa e cerco di sbrogliare il filo di questa esperienza, nella mia mente le immagini affiorano in ordine sparso.

Insomma, un progetto che si è prolungato per centinaia e centinaia di chilometri, toccando trasversalmente una gran quantità di argomenti diversi, non è facile da raccontare in due parole.

Lezione alla Saint Mary's School
Lezione alla Saint Mary’s School

Con lo sguardo perso nel vuoto, per dei brevi istanti ritorno con la mente alla Little Flower School e alla Saint Mary School, due scuole immerse nelle aree rurali nel nord dell’Andhra Pradesh. Mi rivedo sommerso dai bambini sorridenti che continuano a chiedermi di farsi fotografare per potersi rivedere sullo schermo lcd della macchina.

Sono questi bambini che mi riportano ai loro villaggi, tra le case dei contadini con i tetti di paglie intrecciate. Il primo è un villaggio in cui stanno i profughi di una guerriglia che da anni ormai viene portata avanti dai guerrieri maoisti naxaliti presenti in quei territori. Devo ammettere che un po’ di agitazione l’avevo quel giorno, in quel piccolo agglomerato di capanne, incastrato tra i campi e le foreste in cui si nascondono gruppi di combattenti.

Il secondo villaggio in cui finisco è quello Lammani, una etnia cugina delle popolazioni gipsy europee, con le loro donne agghindate da vistose decorazioni e i bambini che giocano al gioco del cerchio utilizzando vecchi copertoni di motocicletta.

Andhra Pradesh: anziana donna Lammani
Andhra Pradesh: anziana donna Lammani

Non so perché, ma improvvisamente mi torna in mente l’espressione indagatoria di un contadino del Tamil Nadu, sopravvissuto al morso di un cobra e sulla cui pelle vi sono i segni di una vita dura, passata a coltivare un terreno che durante la stagione secca è arso dal sole e durante i monsoni si scioglie in un mare di fango. E poi i villaggi degli operai che sorgono sul ciglio delle cave di granito alla periferia di Bangalore. Noi le abbiamo visitate in una domenica assolata, ma durante una giornata lavorativa probabilmente sarebbe stata tutta un’altra cosa. Gli operai ci hanno raccontato del loro lavoro, duro, con la polvere che impedisce la vista e soffoca il respiro e le schegge di pietra che quando schizzano si conficcano nella carne.

Da qui, la girandola dei ricordi mi trasporta alle città, al caos e al traffico di Hyderabad e ai grattacieli di Bangalore, alla tranquilla vita di Mysore e alle pittoresche coste del Karnataka in cui i turisti la fanno da padrone. E i templi, le processioni con gli elefanti, i suonatori di tabla che si esaltano in ritmi incalzanti.

Kochi (Kerala): un attore di Kathakali
Kochi (Kerala): un attore di Kathakali

E ancora, la cerimonia religiosa vista in Tamil Nadu in cui fiumi di persone si riversano per fare offerte agli dei o per assistere agli spettacoli di danza rituale, con le donne tra il pubblico che, mentre delle abili ballerine eseguono le loro performance, vengono possedute dalla divinità e iniziano a ballare e a dimenarsi finché non vengono marchiate con dell’argilla sulla fronte. Fino ad arrivare ai balli in maschera di un festival buddista in cui ci siamo fortunatamente imbattuti visitando una comunità di profughi tibetani.

Rivivo gli odori forti e pungenti, spesso sgradevoli, dei caotici e coloratissimi mercati in cui è possibile trovare di tutto e di più e il grande contrasto di una cultura che rispetta gli animali al punto di non scacciare nemmeno i topi perché «non sono pericolosi», ma che non prevede praticamente da nessuna parte una gestione dei rifiuti che quindi si accumulano ai lati delle strade e vengono bruciati quando diventano troppi.

Infine le facce simpatiche dei guidatori di tuk-tuk, con cui bisogna sempre contrattare sul prezzo tanto che, mentre saetti nel traffico rischiando un incidente ad ogni incrocio, non te ne importa perché ti senti vincitore dopo aver fatto abbassare il prezzo di venti rupie, anche se poi ti rendi conto che sono trenta centesimi di euro.

Potrei andare avanti nei pensieri, ma mi sento gli occhi puntati addosso. Riemergo improvvisamente dai ricordi. «Tante cose, ho visto tante cose…».

www.leonardofarina.com

Scopri GreenFarmMovement, i suoi progetti e i Gruppi di Co-investimento Solidale, visitando il sito www.greenfarmmovement.org. Per maggiori informazioni, scrivi a info@greenfarmmovement.orgoppure contatta i seguenti recapiti: +39 3290319683 o +39 3470585455

 

Al Parco del Delta del Po è Primavera Slow

0

primavera-slowCominciata lo scorso 21 marzo, prosegue fino al 23 giugno la Primavera Slow, il grande contenitore di eventi nei territori del Parco del Delta del Po, promosso dalla Regione Emilia Romagna e da numerosi enti e associazioni. La mission di questa grande kermesse (che coinvolge i comuni vicini al litorale delle province di Ferrara e Ravenna) è la conoscenza di un patrimonio naturalistico unico nel suo genere, in cui terra e acqua si mescolano dando luogo a scenari eccezionali. Per questo, nelle iniziative messe in campo, la parte del leone la fanno le escursioni (con ogni genere di mezzo: a piedi, in bicicletta, a cavallo, in barca, in pulmino e/o trenino), con i partecipanti dotati di macchina fotografica o binocolo per il birdwatching. Ma tantissime nel calendario sono anche le visite guidate, le mostre, i laboratori didattici, i convegni, i raduni sportivi, le sagre e le feste enogastronomiche, gli appuntamenti letterari e culturali, i mercatini.

Tra gli «eventi speciali», segnaliamo i Green Days (13-14 aprile) al Parco I Maggio di Fosso Ghiaia (RA), la Settimana Slow e Fotofestival Asferico (dal 27 aprile al 5 maggio) a Comacchio (FE), gli Itineradelta ovvero escursioni organizzate nelle valli di Comacchio, lungo il fiume Reno, la Pineta di San Vitale, Punte Alberete e la Piallassa della Baiona (13-14, 20-21 e 27-28 aprile), le tante iniziative comprese nell’ambito di Cervia-Milano Marittima: pineta, saline e giardini in fiore (maggio-giugno), la Notte Celeste delle Terme aperte (15 giugno).

Info: podeltabirdfair.it

Jacopo Fo racconta di yoga demenziale, politica, creatività e utopie concrete

casa ecologica ad Alcatraz in Umbria
casa ecologica ad Alcatraz in Umbria

Ricordo, molti anni fa, una gita primaverile nella campagna umbra, assieme alla mia amica Paola. In una specie di agriturismo colorato e artistoide, mangiammo un sorprendente risotto ricoperto di petali di fiori di campo. È con in mente questo sfocato ricordo che incontro oggi il padrone di casa, uno che di stravaganze certo se ne intende.

Comincerei con lo yoga demenziale…

«Da trent’anni propongo una serie di esperimenti, spero divertenti, con i quali cerco di spiegare alcuni meccanismi di funzionamento della muscolatura, della respirazione, dei riflessi, della creatività e delle percezioni. È una specie di percorso di alfabetizzazione al rapporto col proprio corpo, con le proprie potenzialità».

Mi fai un esempio?

«Se spingi col braccio contro un muro per 60 secondi, quando smetti di spingere il braccio si alza da solo. Questo esercizio dimostra che noi abbiamo una muscolatura non razionale: è una cosa oggi accettata dal punto di vista scientifico, ma ancora pochissimo conosciuta. Si può imparare a utilizzare questo tipo di muscolatura, con un doppio obiettivo: mantenere tonico il corpo e utilizzare il 100% del proprio potenziale, scoprendo che si è più forti. Per tenere fermo un pazzo ci vogliono sette sani, perché il pazzo ha superato i limiti che impediscono di utilizzare la muscolatura animale».

Come funziona la muscolatura animale di cui parli?

«È detta anche muscolatura emotiva, si tratta di una muscolatura profonda, aderente alle ossa, fatta di fibre lunghe, al contrario di quella superficiale, che è fatta di fibre corte. Noi possiamo mobilitarla, ad esempio con la visualizzazione. In tutte le arti marziali, da millenni, prima di dare un colpo devi visualizzare il punto in cui esso arriverà. Se prima di spostare un armadio la gente visualizzasse il movimento che vuol fare, e il punto in cui l’armadio deve arrivare, riuscirebbe a esprimere una forza molto maggiore».

 È analogamente possibile implementare la creatività individuale?

«Siamo tutti creativi, ma molte persone tendono a giudicare immediatamente i pensieri che arrivano nella loro testa. Invece, nella fase iniziale è bene buttar fuori tutte le idee, segnandole o registrandole in qualche modo, poi dormirci sopra, lasciando alla mente non razionale la possibilità e il tempo per rielaborarle. E solo successivamente voler arrivare a un’idea finale, compiuta».

Parlando di idee: mi racconti il vostro parco-museo?

«Abbiamo costruito una serie di grandi sculture, di cemento, di legno e di altri materiali. C’è una passeggiata, che si può fare ad Alcatraz, nel bosco, per vedere tutte le opere. Al momento ce ne sono un centinaio, ma intendiamo sviluppare ulteriormente questo progetto».

Quale pensiero sottende a un progetto come la Libera Università di Alcatraz?

«L’idea di fondo è che tutti noi abbiamo delle grandi potenzialità inespresse, per paura, per mancanza di autostima, e per molti impedimenti pratici, che noi cerchiamo di affrontare anche materialmente. Ad esempio abbiamo creato alcuni gruppi d’acquisto, per spendere meno nel comprare l’olio, l’energia elettrica, le telefonate, la casa stessa. Adesso stiamo finendo l’Ecovillaggio, un progetto che mi ha impegnato parecchio, da un punto di vista sia progettuale, che organizzativo e pratico. Spero, nei prossimi anni, di occuparmi soltanto di lavori creativi. Non andrò in pensione, ma vorrei dedicare la seconda parte della mia vita alle produzioni artistiche, che è quello che mi interessa di più. È il mio mestiere».

In ambito artistico, chi riconosci come tuoi maestri?

«Dal punto di vista teatrale certamente i miei genitori. Per la pittura e il fumetto Hugo Pratt e Andrea Pazienza. Per quanto riguarda lo stile architettonico di Alcatraz, il riferimento è stato certo Niki de Saint Phalle, l’artista che ha realizzato il Giardino dei tarocchi vicino a Grosseto: quando mia moglie e io abbiamo visto il suo lavoro abbiamo ricevuto un grande shock, che ci ha dato una forte spinta in avanti!

Ho una telefonata, scusa un attimo… Pronto? Mamma? Ti posso richiamare, sto facendo un’intervista, perdonami, ciao…».

A proposito… Come ti rapporti, teatralmente parlando, a due genitori così ingombranti?

«Il mio stile, la mia modalità di far teatro, che è poi il monologo, viene certamente da mio padre e da mia madre. È una tecnica che ha in sé delle regole molto precise, io non ho inventato nulla. Semplicemente io mi sono messo a raccontare sistematicamente storie diverse dalle loro, forse più direttamente autobiografiche».

Da ragazzino sei stato figlio d’arte, nel senso che lavoravi con loro?

«No. Io ho iniziato a recitare tardi, clandestinamente, sotto pseudonimo: volevo vedere se ne ero capace, a prescindere dal nome dei miei genitori. Ho debuttato in un teatro vero solamente a quarant’anni. In precedenza recitavo in posti assurdi, come discoteche e ristoranti, perché volevo raggiungere un certo livello tecnico, prima di andare in teatro».

Quale era il tuo pseudonimo?

«Giovanni Karen. Con questo nome ho sempre disegnato sul giornale di satira politica Il Male. Ho iniziato a firmarmi Jacopo Fo solo quando ho iniziato a collaborare con il supplemento settimanale de l’Unità: c’erano stati dei forti dissapori tra i miei genitori e il Partito Comunista, negli anni Settanta, così mi sembrava giusto lavorare lì con il mio vero nome. A quel punto avevo già sperimentato il successo sotto pseudonimo, non avevo più il problema di capire se era merito mio o se veniva dal fatto di essere figlio di Dario Fo».

C’è qualcosa, oggi, che ancora ti stupisce, ti incanta?

Innanzitutto, vivere qui ad Alcatraz è uno spettacolo notevole. E poi, navigando su internet, mia moglie e io passiamo ore a vedere cose sorprendenti. Ho la sensazione che negli ultimi cinque anni, dal punto di vista artistico, si sia fatto quanto negli ultimi due secoli, anche come quantità di produzione: non c’è più l’idea di artista inteso come ingegno raro. Oggi nel mondo ci sono una moltitudine di artisti scatenati dalla mattina alla sera, con gente che fa delle cose straordinarie: percorsi totalmente nuovi, in tutte le discipline artistiche. Stiamo vivendo un grande Rinascimento, non ce ne rendiamo pienamente conto, ma la mente delle persone sta cambiando in modo drastico, c’è una cultura completamente nuova che si sta affacciando sul mondo.

A proposito di cambiamenti: cosa ne pensi del risultato delle ultime elezioni?

«È una grossa novità. Ci sono almeno cento cose su cui PD e M5S sono d’accordo, se le realizzassero cambierebbero il volto dell’Italia: tagliare i tempi dei processi, razionalizzare la burocrazia, ridurre lo spreco e le spese militari e dei partiti… Sarebbe una vera rivoluzione. Anche se, non lo si può dimenticare, in Italia esiste una larga fascia di popolazione che vive in nero: aziende che se ci fosse un sistema fiscale sensato avrebbero grossi problemi, evasori, piccoli furbetti. C’è una radicata cultura dell’anti-Stato, e permane una grande ignoranza: metà degli italiani sono analfabeti di ritorno. È diffuso un odio per lo Stato, per la giustizia, per le tasse, per cui un ragionamento anche solo vagamente astratto come ‘conviene a tutti rispettare le regole, perché poi il sistema funziona’ fatica ad attecchire. Il centrosinistra, a differenza di Beppe Grillo, non è stato assolutamente in grado di comunicare: è fermo a una vecchissima concezione di propaganda politica. Tempo fa ho scritto su questo argomento un articolo intitolato Elezioni 2013, perdere è facile, se sai come si fa!. È scomparso l’elemento fondamentale, cioè la politica tra la gente. Io vengo da quella esperienza, in Italia abbiamo cinque milioni di volontari, c’è la finanza etica, c’è un mondo che non è riassumibile dalla politica, che sta molto più avanti. È quello che sta facendo argine, oggi, in Italia, contro la disperazione. Bisogna rifondare la politica, ripartendo da quello che serve alla gente».

febbraio/marzo 2013

Escono nelle sale, nelle prossime settimane, alcuni film interessanti presentati in anteprimaal 30° Torino Film Festival.

Il figlio dell’altra (Le fils de l’autre), di Lorraine Lévy, Francia 2012

Il giovane Joseph, uno studente di Tel Aviv con la passione per la musica, è in procinto diiniziare la sua leva obbligatoria nell’esercito israeliano. Gli esami compiuti durante la visitadi leva pongono lui e la sua famiglia di fronte ad una scoperta sconvolgente. Al momentodella nascita, avvenuto nei caotici giorni della prima guerra del Golfo, nel 1991, è stato pererrore scambiato con Yacine, nato da una coppia palestinese della Cisgiordania. Quello delloscambio di neonati nella culla e delle sue conseguenze nella vita e nell’identità delle personecoinvolte è un tema più volte trattato dalla letteratura e dal cinema. Il contesto particolarein cui si colloca questa storia, nel cuore del conflitto più radicale degli ultimi decenni, quelloisraelo-palestinese, la rende tuttavia particolarmente coinvolgente. Superato il trauma, idue ragazzi e le rispettive famiglie avviano un percorso di confronto e scoperta difficile mapromettente. Costretti a superare i confini che la storia e la cultura hanno eretto tra i popoli,risulta forse possibile parlarsi e guardarsi negli occhi senza dover necessariamente vederenell’altro il nemico. Il film, pur non essendo privo di limiti (ad esempio una rappresentazionetroppo schematica di alcuni personaggi di contorno), colpisce per la sua capacità di affrontarecon credibilità temi di grande complessità e per la profonda emozione che suscita nellospettatore. Questa emozione scaturisce dalla graduale scoperta, di cui fanno esperienza iprotagonisti del film, che l’identità nell’uomo non è mai data una volta per tutte ma cheessa può ridefinirsi in base alle vicende della vita. E che in tale possibilità, mai scontata, èracchiuso il significato più profondo della libertà.

The sessions, di Ben Lewin, USA 2012

Il film racconta un episodio della vita di Mark O’Brien, poeta e scrittore morto nel 1999, adappena 49 anni di età, la cui esistenza è stata segnata da una grave malattia, la poliomielite,che lo ha privato di ogni forma di autonomia (era in grado di muovere solo la testa) e loha costretto a trascorrere gran parte della vita all’interno di un polmone d’acciaio. Sostenutoda una grande vitalità, non rinuncia a cogliere ciò che di bello la vita è comunque in gradodi offrirgli. Un cruccio lo tormenta, quello di non aver avuto la possibilità di sperimentare ilsesso. Superati i dilemmi morali che la sua fede cattolica gli poneva, grazie al conforto diun prete illuminato, decide di rivolgersi ad una consulente sessuale (Helen Hunt, coraggiosainterprete del ruolo di surrogato sessuale). Il tema della sessualità delle persone invalideè affrontato con la stessa leggerezza ed ironia con la quale Mark si è posto di fronte alladramma della malattia (ecco ad esempio il testo di un annuncio che fece pubblicare: Mark,38 anni, scrittore, cerca una donna intelligente per compagnia e forse sesso. Sono completamenteparalizzato, quindi no lunghe passeggiate sulla spiaggia).

Anna Karenina, di Joe Wright, Gran Bretagna, 2012

Signori, benvenuti a teatro! Questa nuova trasposizione cinematografica del romanzo di Tolstoj(la settima, escludendo le versioni televisive), rinuncia alle classiche ambientazioni russee al contrasto tra campagna e città, concedendo agli esterni solo le immagini di un treno,che percorre tutto il film in un viaggio che ha per capolinea il destino, ineluttabile, dei dueprotagonisti, Anna (interpretata da Keira Knightley, in un difficile confronto con un mostrosacro come Greta Garbo, che la impersonò due volte tra gli anni Trenta e Quaranta) e il conteVronskij. Il regista gioca a carte scoperte, raccontando la storia attraverso il dietro le quinte,i cambi scena e la ricchezza dei costumi, in un vorticoso movimento che trova il suo apicenell’incontro dei due amanti in occasione dell’interminabile ballo durante un ricevimento acasa Scerbackij. Il regista sceglie di lasciare sullo sfondo molte delle storie raccontate nelromanzo, dandole forse per già acquisite nella memoria degli spettatori. Cerca di mostrarequalcosa di diverso, la finzione di una messinscena teatrale; il romanzo diventa un pretestonarrativo per mettere in moto un affascinante quadro scenico in cui i personaggi sono adisposizione della regia per la rappresentazione della sua immagine visionaria del dramma.

Bio front garden

I front garden, ovvero i tradizionali giardini di casa, sono per lo più prati di erba non autoctona che per essere mantenuti sempre ben curati richiedono una grande quantità di acqua, pesticidi e fertilizzanti. Questo uso spropositato di sostanze chimiche porta inevitabilmente ad una grossa dispersione di CO2 e rilascio di inquinanti, senza tenere conto dello spreco di acqua.

Ora, soprattutto negli States, sempre più proprietari di immobili, stanno gradualmente convertendo i loro giardini in aree biologiche, con fiori o anche solo pietre. Il caratteristico prato all’inglese lascia spazio ad aree verdi con piante locali lasciate crescere spontaneamente, mantenendo intatti gli habitat di vari animaletti e uccelli. Solo negli USA, delle 800 principali specie di uccelli presenti, oltre 200 sono quasi a rischio di estinzione. La parola d’ordine è quindi biodiversità.

In questo modo, bisogna incrementare alberi e arbusti che offrono il maggior rifugio e alimento alla fauna. Se avete poco spazio, inserite almeno qualche nido, sia per uccelli sia per insetti; e lasciate un mazzo di fascine per dare riparo ai ricci. Per risparmiare l’acqua si impiegheranno piante che hanno richieste idriche più appropriate al clima locale, ad esempio lavande e timi, sedum e ginepri, phlomis e rosmarino. Oltre ad alberi e arbusti, sono importanti piante decorative. Un prato fiorito dove possano crescere e disseminarsi i fiori selvatici è la soluzione migliore per invitare le farfalle: basterà seminarvi crescione dei prati, ginestrino, papavero, nigella, gipsofila, fiordaliso, malva, viole, potentilla. Ed ecco pronto un front garden che ama la natura.

L’assalto dei pop corn calmi – I Parte

La famiglia Piccipoci, da poco ha acquistato un camper igienico, e ha deciso di trascorrere il finesettimana a casa degli zii del fratello della nuora del vicino di casa che, uscito per raccogliere l’immondizia, è stato mangiato dall’albero indemoniato.

Perché era uscito a raccogliere l’immondizia, il signor Pantaloni? Perché si era accorto che, la sera precedente, durante la visione del film Feroci ma acclimatati estremisti, in cui alcuni giocatori di pelota basca si danno al sesso virtuale e scoprono la fenomenologia di Brecht, non aveva finito di mangiare il suo sacco di pop corn.

Mentre l’albero, lautamente pasteggia, la reazione chimica del sangue di Pantaloni sull’erba, ricrea una formula alchemica dimenticata dai tempi di Agenore Patatini (notissimo furibondo, autore di alcuni segreti della Cola Di Rienzo, la bevanda del macho passeggiatore).

I pop corn, che prima se ne stavano calmissimi nel sacco del pattume, ora si eccitano, scoppiettano e si lanciano nel tubo di scappamento del camper igienico dei Piccipoci. Questi, ignari, partono alla volta del campeggio del Lago di Cristallo (evidente plagio), e lì incontrano il gestore, orbo da un occhio ma attentissimo alle parole crociate del venerdì mattina. Dopo aver sistemato il camper, scendono in paese per far la spesa e qui notano, con un certo disgusto, il sindaco che si pettina i capelli sotto la statua del suo predecessore. La figlia, birichina perché sedicenne e biondina, si avvicina all’anziano signore e gli propone una partita a Secca Ramazza; lui sulle prime tentenna, poi si accorge di un impegno improvviso e fugge.

I Piccipoci non si accorgono che il tempo sta cambiando rapidamente, uno scroscio di pioggia invade la piazza… loro continuano a passeggiare come se nulla fosse. Intanto, nel campeggio, i pop corn, ormai calmatisi di nuovo, assaltano le provviste dei vicini di tenda dei Piccipoci, gozzovigliando in memoria di Pantaloni.