Pieces of a woman, il film di Kornél Mundruczó

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Due ore di film che condensano alcune delle più profonde emozioni umane: la paura, la gioia, il dolore. Pieces of a woman, primo lungometraggio in lingua inglese del regista e sceneggiatore Kornél Mundruczó, premiato alla 77esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e ora disponibile su Netflix, è un delicato racconto dell’anima umana.

Martha è una giovane donna e madre. La sua bambina appena nata muore tra le sue braccia dopo un parto difficile e un lungo travaglio in casa, assistita dal compagno Sean e dall’ostetrica Eva. Il massimo momento di gioia e il culmine del dolore si intrecciano tra loro, in una compresenza che dura qualche istante. A pochi minuti dall’inizio, il film cala il suo spettatore nell’impossibilità di comprendere una tragedia così grande e il modo giusto per affrontarla. Forse perché, in realtà, non esiste il modo giusto ma semplicemente quello più adatto a se stessi. Nessuno infatti sembra comprendere la azioni e le decisioni di Martha: né il compagno, né sua madre, né sua sorella sembrano appoggiarla in quello che è il suo percorso di dolore e rinascita, perché ognuno sembra avere bisogno del proprio. È quello che cerca di dire Martha a sua madre, quando quest’ultima la incita a prendere parte al processo per negligenza contro l’ostetrica. È il mio corpo, dice Martha. Non è di questo di cui ho bisogno, tu ne hai bisogno.

Una scansione temporale ben precisa accompagna il percorso del dolore e della perdita: la data di ogni mese è associata all’immagine della Boston Bay ghiacciata con sullo sfondo il ponte che Sean sta costruendo. Appena al principio, questo ponte piano piano avanza e prende forma. Una metafora del percorso che sta compiendo Martha stessa nell’elaborazione della tragedia. Contemporaneamente, attorno alla sua perdita, si srotolano tutte le relazioni famigliari che la legano a Sean, a sua sorella, a sua madre: rapporti già complicati che sull’onda del dolore si spezzano. E l’andare in frantumi è il primo passo per la rinascita.

In questo processo, la macchina da presa sta addosso ai corpi per cercare di carpire le loro emozioni, nel disperato tentativo di attraversali per arrivare alla loro anima, ma senza mai violarli. Li accarezza, quasi a volerli consolare di un dolore irrappresentabile.