Bevano Est, trio dai molti colori

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foto di Enrico Battistini

Il Circolo culturale La Rimbomba di Bertinoro ha ospitato lo storico, indefinibile ensemble romagnolo. Alcune note.

Monologhi teatrali il venerdì, concerti preceduti da cibo genuino il sabato e film d’essai la domenica: il vivacissimo programma del Circolo culturale La Rimbomba nel centro storico di Bertinoro ha accolto, ieri sera, il concerto dei Bevano Est.

Nell’accogliente sala molte decine di persone di ogni età hanno accompagnato Stefano Delvecchio (organetto diatonico), Davide Castiglia (violino) e Giampiero Cignani (clarinetto) in un itinerario di un’ora e mezza di suoni terrigni e raffinati, a evocare e condensare la quasi trentennale storia del gruppo che, dopo varie formazioni e collaborazioni, è ora approdato a una triade di minimale e al contempo lussureggiante efficacia.

Variazioni dinamiche e sospensioni, abbellimenti e controtempi, passaggi sincopati e frammenti melodici, composizioni di pieni e vuoti a restituire un intarsio di sonorità popolari con echi folk e jazz che, vivaddio, sfugge a ogni facile e riduttiva classificazione: una impossibilità (o almeno difficoltà) di inquadramento che costituisce una delle peculiarità più interessanti dell’ensemble romagnolo.

Secondo Umberto Eco per capire cosa accade quando parliamo di cani, gatti, mele o sedie, abbiamo bisogno di categorie, che gli schemi cognitivi ci aiutano a creare: per attribuire un significato a qualcosa bisogna riuscire a metterlo in una cornice, a dargli un’etichetta. Uno dei modi, nel mondo dell’arte, per inquadrare un’opera è collocarla in un determinato genere: è una nozione da tutti noi continuamente utilizzata, anche se spesso in maniera inconsapevole, come strumento per individuare caratteristiche testuali a cui riferire significati. Quando andiamo al cinema, ad esempio, sappiamo che stiamo vedendo un melodramma, un western, un horror, un classico, un moderno, un postmoderno, un action movie o chissà che altro e, a partire da questa etichetta possiamo, ad esempio, valorizzare il film proprio per l’individuazione di una variazione, di uno scarto, rispetto al genere in cui lo abbiamo incasellato.

La stessa cosa accade, se ci pensiamo, negli universi dello spettacolo dal vivo. Il plurale non è casuale: chi di noi frequenta, anche saltuariamente, i teatri e le sale da concerto conosce bene le enormi differenze esistenti tra i pubblici. Vale ora nominarne almeno due, fra i molti possibili in ambito musicale: quello “del jazz” (solitamente persone di mezza o tarda età, di buon livello economico e culturale) e quello “della musica popolare” (di solito un pubblico giovane -o giovanile-, con non grande disponibilità economica e una discreta cultura off, politicamente orientati a sinistra, con le mille varianti del caso). I diversi pubblici di solito non si incontrano, non si conoscono, non si siedono accanto, nel buio della platea. Mai. Si sta ben divisi, ognuno nei propri spazi e momenti, avendo cura di non mescolarsi, di non confondersi. Dovesse interessare: di tali questioni si è intensamente occupata, negli ultimi quarant’anni, la “sociologia del gusto”, a partire dal fondativo saggio La distinzione. Critica sociale del gusto, di Pierre Bourdieu. La tesi è (detta schematicamente): le pratiche di apprezzamento e di consumo culturale sono determinate da network sociali pre-esistenti. Gli studi successivi arrivano a valutare vero anche l’esatto contrario: sono i diversi stili di consumo e apprezzamento culturale a generare le reti sociali. Cioè: abitiamo una società in cui il gusto si converte “all’istante” in forme di relazione tra individui, e il consumo culturale offre una base per interagire tra soggetti con interessi simili. Il gusto diventa un modo per costruire reti, insomma.

La rete informale costituita dal pubblico presente nella calda saletta bertinorese è quanto di più trasversale si possa immaginare: persone di diverse età e provenienze pronte ad accogliere l’indefinibile universo sonoro proposto da Delvecchio, Castiglia e Cignani con vigoroso, esplicito affetto.

Ciò è accaduto, è forse lecito azzardare, non tanto e non solo per la pluridecennale frequentazione di molti dei presenti con le composizioni (e con i componenti) del gruppo, quanto per la centralità della funzione e fruizione del pubblico nel discorso musicale proposto dai Bevano Est. Soprattutto per i brani più datati (quelli presumibilmente meglio conosciuti dai più) gli arrangiamenti proposti hanno dato spazio, mediante aperture rarefatte e accordi sospesi, a ciò che il musicologo americano Peter Kivy definisce il meccanismo del «nascondi e cerca» (che costituisce, a suo avviso, uno dei piaceri della fruizione musicale): l’inserire, da parte del compositore e/o dell’esecutore (figure che, in questo caso, coincidono), la melodia o il tema in una struttura più o meno complicata permettendo gradualmente al pubblico, di ri-conoscerle. Di conoscerle di nuovo. In questa dinamica il compito degli artisti è quello di variare queste melodie, nasconderle, alterarle, smembrarle offrendo agli ascoltatori “rebus sonori” da risolvere. Da parte dell’ascoltatore il massimo piacere si colloca in una strada intermedia fra l’atteso e l’inatteso: se gli eventi musicali di un’opera o di un concerto sono tutti completamente conosciuti l’esperienza sarà prevedibile, dunque noiosa. D’altra parte se essi sono tutti sorprendenti la performance risulterà caotica e l’ascoltatore sarà frustrato in quanto non avrà alcuna possibilità di costruire una propria strada all’interno dell’esecuzione esperita. La maestria dei Bevano Est, pare di poter affermare, sta nel collocarsi in questo giusto mezzo, in un’attenzione al pubblico posta nella sostanza della relazione palco-platea, e non in facili ammicchi.

Ciò non faccia pensare a cervellotici concettualismi: son vivacissimi corpi saltellanti, fisici e sonori, quelli che il folto pubblico ha incontrato a Bertinoro. E certamente molti altri saltelli e giravolte sarebbero avvenuti anche in platea, ci fosse stato lo spazio necessario.

Bevano Est alla Rimbomba: incontro di anime antiche, di cose che sanno di buono.

Dire grazie, almeno.

MICHELE PASCARELLA

Visto / ascoltato al Circolo culturale La Rimbomba di Bertinoro (FC) il 2 febbraio 2019 – info: bevanoest.com, facebook.com/larimbombabertinoro