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Kinkaleri torna a Milano, città dove quattordici anni fa la sua ottava produzione si aggiudicò l’Ubu categoria teatro-danza, e sta anche un po’ a Torino; quest’edizione di MiTo Settembre Musica ospita infatti Butterfly, un recente lavoro della compagnia pratense rivolto al pubblico più giovane e ispirato all’omonima opera di Puccini. In Otto a incidere la scena era lo stilema della caduta a peso morto. Anche ora i momenti che restano più impressi sono quelli sviluppati in orizzontale, a terra; la messa in scena ripropone una dialettica vuoto-saturo sviluppata attraverso gli elementi scenici, ordinatamente disposti a vista sul proscenio. Del nastro di carta, un ombrello e pochi fogli di cartone sagomato bastano a disegnare una scenografia che lo schermo a fondo palco sdoppia in verticale, traslando lo spettacolo con strane geometrie spaziali come in un gioco di specchi o una proiezione ortogonale in 3d.
Gli accorgimenti tecnologici giocano un ruolo importante nel funzionamento dello spettacolo e ne aiutano di molto la riuscita – i lunghi intervalli in cui vediamo apparire paesaggi di scotch sono giocati esclusivamente sulle note di Puccini e sulle suggestioni riprese e proiettate in tempo reale. L’inevitabile scarto tra i movimenti originali e quelli riprodotti consentono allo sguardo di passare in una frazione di secondo dal vero della performance live al fasullo della mimesi filmica, creando in più il gradevole effetto di un cortocircuito visivo in cui si è costretti a rincorrere immagini che fuggono le une sulle altre. Tuttavia Butterfly non è uno di quegli spettacoli che si adagia sulle possibilità offerte dall’età digitale: la tecnica è buona tanto per audio e luci quanto nel canto e nella recitazione. L’attore Marco Mazzoni e il soprano Yanmei Yang trovano un equilibrio tra le rispettive arti e, senza avventurarsi l’uno nel canto lirico e l’altra nella caratterizzazione del personaggio di Madame Butterfly, si compensano a vicenda ottenendo un gran risultato scenico, valorizzato da una regia in grado di comporre il ritmo giusto per farsi seguire e applaudire dalla platea di bambini.
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Le vicende del disgraziato amore della geisha Cio Cio San per l’americano Pinkerton non sono però facili da rimaneggiare in chiave teatro-ragazzi e infatti nell’attuare quest’operazione Kinkaleri si fa sfuggire gran parte delle grandi emozioni che l’opera lirica porta con sé. L’adattamento drammaturgico, epurato di importanti snodi narrativi, risulta perciò il lato più debole della messa in scena; lo schema strutturale basato su un avanzamento narrativo seguito da un intermezzo ludico non sostiene il senso profondo del dramma, che si riduce quindi ad essere una storia patetica ma senz’anima – e priva di molte delle bellissime arie della Madama Butterfly, delle quali purtroppo si offre un campionario piuttosto ridotto.
È uno strano paradosso che un adattamento di Puccini per bambini parli poco la lingua dell’emotività e si basi invece su un’accorta sintesi visiva delle simbologie liriche, gigli e pettirossi in primis, poiché attuando questo procedimento molto intellettuale non si può fruire appieno dello spettacolo senza aver prima visto l’opera originale. L’altro livello di lettura, più immediato ed istintivo, è invece basato sui giochi di colori che introducono il secondo atto, blu che vireranno in rosso nel corso del terzo, o sulla sorpresa nel vedere pochi contorni trasformarsi in un disegno di senso compiuto, epistemologie pop prese in prestito dalla land art o da Art Attack! che risuonano come un gong nella memoria collettiva.
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Un terzo ma goffo tentativo di dialogo coi bambini è la classica richiesta d’aiuto dell’attore ai suoi piccoli spettatori: vediamo così una ragazzina portare le battute del diplomatico Sharpless a Madama Butterfly, struggente d’amore mal riposto. Tuttavia lo stratagemma è troppo insistito e non sembra risolvere il dialogo, così che perdendo efficacia non convince appieno.
È comunque bello e utile che Kinkaleri affronti il dramma romantico di un altro secolo virandolo della sua poetica e introducendovi grazie allo stile chiaro e ben definito un ragionamento sulla contemporaneità. Schermi alla mano, sembra dirci che possiamo ancora concederci un po’ di lirismo (e magari qualche opera lirica) senza per forza scadere nell’individualismo dei nostri tempi. Di questo incoraggiamento li ringrazio.
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GIULIO BELLOTTO
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