Carlotta Nucci è educatrice cinofila APNEC e Tecnico Educatore Cinofilo. Collabora con il Centro Cinofilo StardogVillage di Faenza e Russi e sta seguendo un corso di Dog Trainer presso l’Ethology Institute of Cambridge. Affascinata oltre che dai cani anche dal mondo dei lupi, recentemente ha redatto, assieme a due colleghe, un progetto di monitoraggio dei lupi nell’Appennino Romagnolo che, tramite l’Associazione Pangea, è stato adottato dal Parco Regionale della Vena del Gesso. Lo scorso autunno, venuta a conoscenza del Wolfpark, centro di formazione e ricerca e oasi naturalistica nello Stato dell’Indiana (Usa), aperta al pubblico da maggio a novembre, ha fatto domanda di partecipazione a uno stage per operatori che la direzione del parco organizza periodicamente e, superati alcuni step di selezione, la sua domanda è stata accolta. Al suo rientro (e prima di partire per un’altra esperienza simile, sempre negli Usa) ha raccontato a Gagarin questa sua avventura a tu per tu con i lupi.
Il giorno del mio arrivo a Battle Ground è stato qualcosa tra lo scioccante e l’avverso.
Bufera di neve, temperatura a -15 gradi e quello scenario tipico (ma reso ancora più brullo dal gelo e dal candore) delle campagne Americane che ti ricorda un po’ la steppa Siberiana e un po’ quei racconti sulle stragi di provincia in cui un esaltato imbraccia il suo fucile e rade al suolo il vicinato.
Ad accogliermi, in quella domenica di Gennaio, 3 dei miei 8 compagni di viaggio; quelli che poi, per una strana (ma non troppo) coincidenza del destino sono diventati dei riferimenti durante la mia permanenza: tre ragazzi giovani, gentili e visibilmente molto stanchi.
Ci sarebbero un sacco di cose da raccontare riguardo questo mese-e-un-po’ trascorso a disintossicare corpo e anima da tutto ciò che realmente è superfluo: la metà della mia avventura è fatta di lupi, volpi, coyote e tutto ciò che li riguarda: dal macellare cervi freschi per nutrirli, al somministrare i medicinali quotidiani, al pulire i recinti, al trascorrere tempo prezioso con loro in piccole e non invasive sessioni di addestramento, all’osservare in turni di 24 ore la stagione riproduttiva del branco principale; l’altra metà è fatta di volti, anime, personalità, sapori, colori e odori che hanno lasciato un segno indelebile (così indelebile che l’ennesimo aereo sta per decollare per me da Bologna, ed è diretto in New Hempshire, ovviamente sempre Into The Wild).
Sono partita in cerca di lupi, e sono tornata con delle risposte alle domande di una vita.
Per questo mi piacerebbe, molto semplicemente e forse anche un po’ schematicamente (ma mi rendo conto che il tipo di lavoro che faccio, sia quello coi lupi, che quello coi cani, che quello in ufficio mi hanno ormai definitivamente deviata verso la razionalizzazione estrema di qualsiasi cosa – ahimè spesso anche dei sentimenti), stilare una «lista» che può sembrare arida ed impersonale, ma che in realtà sono tutti quegli spilli conficcati un po’ dolorosamente nel mio cuore che mi ricordano, ogni giorno, che fortuna ho avuto a poter prendere parte a quel pezzo di realtà, e che mi fanno sentire più viva di quanto non sia mai stata.
È l’elenco dei miei never forget – ovvero ciò che resterà per sempre:
I primi 90 kg di cervo che ho dovuto spostare dal freezer alla cella scongelatrice, sporcandomi di sangue fino alle sopracciglia e rompendo un po’ gli schemi del mio essere vegetariana;
L’ustione da freddo ad ogni singolo dito della mano destra il giorno che ho sostenuto l’esame con Pat Goodmann, direttrice del centro, per poter somministrare in autonomia i medicinali ai lupi: tempesta di vento e neve (come spesso accadeva), -23 gradi e le mani nude perché le polpette medicate vanno rigorosamente offerte senza utilizzare guanti, onde evitare che gli odori intrisi nel tessuto possano deviare l’attenzione dei lupi;
La pulizia dei recinti in qualsiasi condizione atmosferica, muniti di pinze e secchio, investigando il terreno come fosse un campo minato per raccogliere ogni singolo frammento residuo di ossa proveniente dalla carcassa del pasto precedente;
Le notti in osservatorio per la stagione riproduttiva. Interminabili notti in osservatorio. Il turno dalle 3 alle 6 del mattino, in cui lotti per tenere gli occhi aperti nella speranza che Kanti & Fiona abbiano intenzione di accoppiarsi sul serio e non di girare attorno alla situazione come solo noi umani riusciamo a fare;
Le riunioni con lo staff, che per lo più si tramutavano in brunch mattutini ai quali presenziavano più Donuts (ciambelle frittissime) e litri di caffè solubile che persone;
Il lavandino sempre pieno dell’IRV, la residenza degli Interns, la nostra casa, e i residui di cibo unto e indigeribile che solo gli Americani possono affrontare;
Gli interludi educativi, le diapositive che scorrono velocissime e le mani che non tengono il ritmo e ti ritrovi con buchi clamorosi negli appunti;
Le lezioni, i dibattiti, i confronti con persone che condividono con te la stessa passione;
E i lupi. La loro perfezione naturale. Nelle forme e nelle interazioni coi loro conspecifici. E la grazia che ci hanno concesso nel poterli avvicinare, toccare, e vivere;
E i lupi. Il lavoro che Pat, Dana & Monty hanno fatto (e tutt’ora stanno facendo) per rendere possibili tutti gli studi su cui noi ci siamo concentrati e che porteremo avanti ognuno coi propri mezzi, nella propria parte di mondo: allevare i cuccioli a mano, favorire l’imprinting umano, e infine reinserirli nel loro branco ed osservarne le dinamiche;
E i lupi. Poterli vedere così da vicino che i brividi diventano una parte costante di te. Perché tutto quello che hai sempre letto su quei tomi giganti che sono i trattati scientifici, diventa improvvisamente manifestazione reale, fisica, tangibile, e assolutamente unica dello spettacolo della natura.
E i lupi. Quel temperamento mitigato dal lavoro prematuro e costante di persone che ci spendono una vita, ma quello sguardo così primitivo che non può far altro che rievocarti mondi e sentimenti remoti, ancestrali.
E infine i miei compagni di viaggio. Coloro che hanno reso tutto questo, proprio questo. Perché anche senza uno solo di loro qualcosa sarebbe cambiato. Kelly e le sue ricette inavvicinabili. Aoifa e la sua esperienza, e la sua calma. Scott e il suo umore altalenante che mette in confusione. Jen e i suoi silenzi. Jenny e le sue stranezze. Sarah che beve Coca-Cola come se non ci fosse un domani. Julie e i suoi sorrisi. E Jeremiah, che è nel mio cuore, e qualsiasi forma prenderà, ci resterà comunque per sempre perché mi ha illuminata su tutto ciò su cui era piombato un grande buio da troppo tempo.
E infine io. Partita per il nulla con nulla. Carica di ansia, e aspettative, e incertezze, e paure, e dubbi, e curiosità. Riscoprirmi (anzi, forse scoprirmi) più determinata e forte di sempre. E finalmente pronta, alla «veneranda» età di quasi 30 anni, a iniziare a vivere.