Farsi trasformare dalle visioni. Conversazione con Agata Tomšič e Davide Sacco | ErosAntEros | Polis Teatro Festival

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ErosAntEros - Davide Sacco e Agata Tomšič - ph Dario Bonazza

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Dal 7 al 12 maggio torna a Ravenna POLIS Teatro Festival, che ha aperto la settima edizione con lo spettacolo Santa Giovanna dei Macelli di Bertolt Brecht, in un prologo andato in scena il 24 aprile al Teatro Alighieri.

Dramma barocco tedesco: sintetizzerei col titolo del celebre saggio di Walter Benjamin il vostro nuovo spettacolo, in cui ancor più che in precedenti produzioni la stratificazione di segni (verbali, visuali, sonori, interpretativi, …) diviene un amalgama di per sé significante e agente. Cosa sta alla base di questa scelta e quali accortezze compositive richiede? 

Agata: Benjamin è come sai un autore a noi molto caro, da più di un decennio. I concetti di montaggio e citazione da lui espressi nei Passage e nelle tesi Sul concetto di storia sono diventati dei punti cardine all’interno della nostra poetica e lavorare su una drammaturgia solida, per quanto estremamente complessa – per il tema in primis, ma anche per la forma multilinguistica e multidisciplinare che abbiamo deciso di dare allo spettacolo – ci ha permesso di mettere alla prova all’ennesima potenza quello che è l’idea di teatro estetico -politico che da 14 anni perseguiamo. La sfida è stata creare una partitura dove tutti questi elementi possano entrare in rapporto dialettico in maniera armonica: sembra un ossimoro, ma il ritmo, l’armonia dei diversi elementi, sono fondamentali sia tra ciascun elemento (esempio tra le lingue utilizzate in scena) che a livello più generale nella macrostruttura dello spettacolo. Si tratta di comporre un’opera “totale”, dove oltre alla partitura musicale, la recitazione e il canto dei performer, le scene, i costumi, le luci, entrano in gioco e si fanno portatori di senso drammaturgico il video, le diverse lingue e culture teatrali portate in scena dagli attori.

Dietro e dentro l’azione, vi sono le musiche originali dal vivo della cult band slovena Laibach. Come è avvenuto l’incontro tra voi e quali sorprese e disorientamenti ha portato, a livello creativo? 

Davide: L’idea di coinvolgere i Laibach in questo lavoro è nata circa quattro anni fa. Abbiamo riletto molte volte e riflettuto molto su questo testo che ci è sempre interessato molto in particolare perché Brecht in esso tenta di dispiegare il sistema capitalista finanziario della borsa. E lo fa attraverso la metafora della fabbricazione della carne in scatola: da una parte i proprietari delle fabbriche e la relativa filiera che si fanno concorrenza e i loro affari in borsa chiudendo fabbriche e giocando con i prezzi della carne, dall’altra gli operai, sorta di rivoluzionari nascenti, che disperati per la perdita del lavoro e letteralmente morendo di fame tentano di organizzarsi per lottare. Al centro di questi due poli Brecht pone i Cappelli Neri, una sorta di salvation army a metà tra il militare e il religioso, che l’autore stesso indica arrivare sempre marciando e suonando. Tutto questo ci ha fatto pensare ai Laibach (band che entrambe conosciamo da sempre come cultori e della quale avevamo già utilizzato quattro brani nel nostro spettacolo Allarmi! nel 2016, e io già avevo utilizzato una loro canzone nello spettacolo LEBEN del Teatro delle Albe del 2006 che prese il titolo proprio da una loro canzone da me portata a Ermanna e Marco). Sin dalla prima lettura del testo abbiamo pensato a loro. Non mi dilungo ora, ma è davvero incredibile come i Laibach e i Cappelli Neri si sovrappongono. Sembra che Brecht abbia scritto pensando a loro! La collaborazione con i Laibach è stata fantastica e in qualche modo molto semplice, sin dal primo giorno. Ci siamo capite sempre subito. E in sostanza quello che abbiamo fatto è stato fornire a loro i testi delle canzoni di Brecht presenti nello spettacolo e indicare loro quali tipi di atmosfere cercavamo per ciascuna canzone. E loro si sono occupati non solo di scrivere le musiche delle undici canzoni originali (su testi di Brecht) presenti nello spettacolo, ma hanno curato, in stretta relazione con noi, tutto il sound design dell’intero spettacolo, che dall’inizio alla fine ha solo pochi attimi di silenzio, precisamente definito, come molti dei nostri lavori. Inoltre, i Laibach / Cappelli Neri in alcuni momenti del lavoro parlano con parti di testo presenti nel dramma di Brecht che abbiamo per quanto possibile ridotto insieme alla squadra di dramaturg senza snaturare il senso del testo.

Agata: Aggiungo soltanto, che non abbiamo adattato la presenza, l’immagine dei Laibach al testo di Brecht, ma scelto i Laibach proprio perché fin dall’inizio abbiamo creduto che la loro estetica fosse già di per sé perfetta per far loro incarnare il ruolo dei Black Hats all’interno della favola post-espressionista dark che volevamo creare portando in scena Santa Giovanna dei Macelli. E anche dal punto di vista del mio personaggio, ho semmai spinto la mia interpretazione di Giovanna Dark in direzione dei Laibach, per avvicinarmi a loro e fare da ponte tra loro e gli altri personaggi-attori del nostro spettacolo.

 

Santa Giovanna dei Macelli – ph Daniela Neri

 

I colori predominanti, nel vostro Santa Giovanna, sono il bianco, il nero e il rosso. Tale scelta ha significati simbolici? 

Davide: Bianco, nero e rosso sono i colori di ogni elemento scenico, di costume, video e luci che vanno a comporre l’immagine della nostra Santa Giovanna. E questo tipo di ricerca e astrazione nell’immagine è qualcosa che spesso ha in qualche modo caratterizzato i lavori di ErosAntEros. Nel caso di questo spettacolo l’idea dell’atmosfera dark proviene dal nome dell’eroina, nominata da Brecht stesso appunto Giovanna Dark, e dall’esercito della salvezza dei Cappelli Neri da noi mantenuti nell’inglese Black Hats, di cui lei fa parte. Poi c’è il bianco della neve che è anche il colore con il quale abbiamo voluto caratterizzare la Giovanna più fragile, non più parte dei Cappelli Neri, che si unisce alle lotte delle tute bianche degli operai. E poi c’è il rosso del sangue (e del nostro sanguinario Mauler), che viene prodotto da un meccanismo, un sistema, e cade tutta la durata dello spettacolo all’interno della simbolica vasca da bagno trasparente di Mauler man mano che il bloody business viene portato avanti. E pian piano la vasca si riempie, e il livello del sangue si alza come simbolo dello scorrere del tempo e degli avvenimenti. E nel finale quella vasca piena di sangue diventa strumento con il quale Giovanna sconfitta e deceduta viene santificata dal capitale vittorioso. 

Ancora, dal punto di vista visivo: diverse croci monocrome su campiture bianche, anche nei costumi di scena, mi han fatto pensare alle creazioni di Joseph Beuys. È stato un vostro riferimento? E soprattutto: come nel suo caso vi è una funzione anche medicamentosa, oltre che di denuncia, nei vostri intenti? 

Davide: La Black Cross! Si tratta di uno dei simboli principali dei Laibach dall’inizio degli anni ottanta! E loro stessi hanno dichiarato più volte di essersene appropriati da Malevic. Come dicevo i Laibach e i Black Hats si sovrappongono perfettamente e anche nel caso del simbolo è evidente come sia assolutamente perfetto per questo esercito della salvezza tra il religioso e il militare (questioni che come dicevo hanno sempre caratterizzato anche i Laibach). E comunque sì, Joseph Beuys è un artista citato e manipolato dai Laibach in diverse occasioni.

 

Santa Giovanna dei Macelli – ph Daniela Neri

 

Azione dal vivo, immagini di figure umane proiettate con cui chi è in scena dialoga, live cam come ibridazione fra presentazione e rappresentazione: che cosa il vostro spettacolo, o ogni spettacolo, non può linguisticamente significare, della realtà sociale e civile che pur lo muove? 

Davide: All’interno dello spettacolo facciamo un uso importante dell’elemento video, per il quale abbiamo collaborato con il collettivo di videoartisti sloveni basati a Berlino Komposter. Ci sono sostanzialmente tre elementi. Uno di questi sono le videochiamate attraverso le quali abbiamo voluto non-rappresentare la borsa. Non c’è mai un luogo in questo nostro spettacolo. E in particolare abbiamo voluto disumanizzare la borsa trasferendola totalmente nel mondo virtuale. Quello che si vede sono delle videochiamate tra Mauler nudo nella sua vasca da bagno o comodamente in déshabillé accompagnato dal suo assistente-broker Slift e gli altri proprietari collegati in call. Un altro elemento sono dei visual che accompagnano le canzoni della band e che contengono vari elementi simbolici. Infine abbiamo i video di realtà che sono l’unico elemento che connette direttamente lo spettacolo all’oggi, non come scenografia video, ma come ulteriore livello di drammaturgia che, mentre sul palco e nel testo si mostrano e si parlano operai in lotta, mostra nel video cortei e lotte di lavoratori di oggi in Europa, soprattutto in Italia, Slovenia e mondo tedesco (luoghi di provenienza dei teatri coproduttori). E a proposito di questo, l’attualità del lavoro ci ha travolte al punto che durante le ultime giornate di allestimento al Teatro Arena del Sole di Bologna (dopo aver passato l’intero mese precedente in prova a Lubiana) ci siamo trovate il corteo nazionale dei lavoratori sfilare in protesta (a seguito di un terrificante evento avvenuto in una centrale idroelettrica non lontano da Bologna) esattamente davanti alla porta del teatro. Ovviamente siamo corse in strada insieme ai Komposter e quel corteo che passa davanti alla facciata del teatro è ora parte integrante dello spettacolo.

«Trasforma il mondo: ne ha bisogno!»: citate Brecht, in esergo ai materiali di presentazione di Polis Teatro Festival 2024. Questa esortazione mi sembra perfettamente in accordo con la veemenza del vostro dire e di tutto il dispositivo scenico di Santa Giovanna. Sapendo che ogni fruizione culturale si costituisce di reti di persone affini, quali azioni ponete in essere per incontrare chi non è già d’accordo con voi? 

Agata: Uno dei progetti di cui siamo più fieri e che ogni anno porta a teatro spettatori che mai vi avevano messo piede sono i biglietti sospesi: grazie alla collaborazione con diverse cooperative sociali del nostro territorio avviciniamo il teatro a persone che per motivi economici o sociali solitamente non frequentano i luoghi culturali della nostra città. In realtà Santa Giovanna dei Macelli, come il saggio Cinque difficoltà per chi scrive la verità, sempre di Brecht, con cui debutteremo a POLIS mercoledì 8, danno voce a una critica radicalissima e spietata della nostra società e del capitalismo che in essa campeggia, con la quale certamente la maggioranza degli spettatori non è d’accordo. Per il drammaturgo tedesco, il fascismo contro cui si batte negli anni di composizione di questi testi, durante il suo esilio in Danimarca, altro non è che la “forma più nuda, più sfacciata, più oppressiva e ingannevole di capitalismo”. Le ultime parole che Giovanna afferma prima di morire durante la sua santificazione ad opera del capitale stesso, dopo aver tradito la rivoluzione proletaria, sono di una ferocia inaudibile: “dove regna la violenza/ solo la violenza può servire,/ e dove ci sono uomini,/ solo uomini possono dare aiuto”. Entrambe sconvolgono con la loro violenta verità il perbenismo con cui noi “gente di sinistra” riempiamo le sale teatrali, ma quando bisogna rischiare la vita per scendere in piazza o anche soltanto rischiare di rinunciare ai privilegi a cui siamo abituati, ci tiriamo indietro, perché abbiamo troppo da perdere, esattamente come fa Giovanna prima del finale.

 

She She Pop – ph Benjamin Krieg

 

In base a quali principi avete scelto ciò che sarà presentato a Polis Teatro Festival 2024? 

Agata: L’idea iniziale è nata proprio dalla coproduzione internazionale di Brecht che stavamo mettendo in piedi negli ultimi anni e che avrebbe debuttato ad aprile 2024, supportata dai rapporti che abbiamo costruito nell’area di lingua tedesca negli anni: già nel 2015 siamo stati coinvolti in un progetto formativo presso lo Schaubuhne di Berlino, con il Theatre National du Luxembourg siamo con Santa Giovanna alla seconda coproduzione, da diversi anni siamo in dialogo con Milo Rau per cercare di ospitarlo a POLIS (neanche questa volta ci siamo riusciti, ma ritenteremo!), mentre l’estate scorsa abbiamo conosciuto Stefan Kaegi e iniziato con lui uno lungo scambio per capire quale opera di Rimini Protokoll portare a Ravenna quest’anno. Con altri artisti e operatori è stato invece proprio il festival a fare da motore per generare nuove amicizie e collaborazioni. Il sistema teatrale tedesco è molto diverso da quello italiano (dedicheremo a questo argomento addirittura una tavola rotonda, sabato 11 alle 15 al Teatro Rasi!), il che ci ha spinto ad affacciarci maggiormente alla scena indipendente portando nella nostra città alcuni degli artisti più interessanti della scena europea, come, le berlinesi She She Pop e lo svizzero Mats Staub, con opere che sperimentano diversi linguaggi espressivi, forme multidisciplinari, come video-installazioni, camminate, monologhi partecipativi, che più esplicitamente rompono le convenzioni teatrali tradizionali.

Per chi fosse estraneə alle astruserie del contemporaneo: quali sono le opere più facilmente accessibili, tra quelle in programma?

Agata: Sorprendentemente, forse, sono gli artisti emergenti delle due reti nazionali Visionari e In-box, di cui POLIS è partner, e che ospiteremo nei primi giorni, a essere più “tradizionali” dal punto di vista formale. Detto ciò, però, ci tengo a sottolineare che le “astruserie contemporanee” che proponiamo a POLIS sono estremamente fruibili, a volte anche “leggere”, quasi giocose, seppur sempre intelligenti e collegate al tempo presente a livello di contenuti, come nel caso di The Walks di Rimini Protokoll, Posseduto di She She Pop e Millenovecento/89 di Le Cerbottane; altre volte più profonde e commoventi, come nel caso di Death and Birth in My Life di Mats Staub; altre ancora algide o provocatorie, come Autodiffamazione di Barletti/Waas e il nostro nuovissimo Sulla difficoltà di dire la verità, entrambi figli di due grandi drammaturghi del ‘900 come Peter Handke e, ancora una volta, Bertolt Brecht.

Il gruppo berlinese Rimini Protokoll proporrà The Walks, performance itinerante ripensata appositamente per il Festival «che utilizza lo spazio pubblico come uno scenario teatrale», leggo nei materiali di presentazione. Come ciò avverrà? 

Agata: Sono due gli spettacoli di collettivi berlinesi che vengono ripensati appositamente per il festival. Ancor più fortemente dei Rimini Protokoll è il collettivo femminista She She Pop a mettersi in dialogo con il territorio, riscrivendo fino all’ultimo giorno il proprio monologo collettivo Posseduto che andrà in scena al teatro Rasi la sera dell’11 maggio. Prima a distanza con il mio “supporto drammaturgico locale” (sono in relazione telematica con loro da dicembre!) e poi con la cura di Francesca Mambelli che nelle ultime settimane ha organizzato per loro una serie di incontri con “esperti del quotidiano” della Romagna, per indagare il tema della proprietà e del possesso (nelle sue molteplici accezioni). In tal modo incontreranno tra l’8 e il 10 maggio a Ravenna giornalisti, attivisti climatici, lavoratori portuali, sindacalisti, per riflettere su alcuni temi centrali per la nostra città, come la transizione ecologica, il rigassificatore, il patrimonio architettonico industriale e la sua conservazione. Ma non mancheranno anche momenti ludico-catartici all’interno del particolare dispositivo in cui sarà appunto il pubblico presente in sala a prendere la parola. The Walks è invece un format che è stato messo alla prova in diverse città del mondo, in diverse lingue, e che noi festival POLIS abbiamo voluto collocare nella cornice speciale dei giardini pubblici di Ravenna, per un gioco di coppia, una danza che riflette sul nostro essere società, essere polis, democrazia, attraverso quella che apparentemente è una delle cose più semplici al mondo: camminare.

 

 

Infine: con quale attitudine è consigliabile venire a un Festival esplicitamente militante come Polis? 

Agata: Con la voglia di farsi sorprendere e “trasformare” dalle visioni che seguiranno, ma anche di passare insieme a noi un tempo speciale fatto di sorrisi, incontri, scambi internazionali, un tempo speciale e sospeso che è quello proprio del festival: dove per una manciata di giorni solo il teatro esiste, e ora dopo ora, minuto dopo minuto, tutto ruota attorno ad esso: parole, sogni, caffè, aperitivi, cappelletti, ma anche mosaici, mostre fotografiche e ovviamente libri, spettacoli, ascolti sonori.

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