Ci stanno tutti. Su Gerico Innocenza Rosa con Valeria Solarino

0
154

Chi frequenta i teatri lo sa: quella della scena è un’arte composita, che si realizza nella messa in vita di elementi in relazione, chiamati a creare tensioni significanti e significative.

Chi era presente al Teatro Piccolo di Forlì martedì scorso 28 novembre (o chi ha già incontrato o incontrerà questo fortunato spettacolo) ne ha avuto un cristallino exemplum in Gerico Innocenza Rosa interpretato da Valeria Solarino.

Obiettivo di queste poche righe è elencare alcuni di questi fattori: senza la pretesa di esaurirli, ça va sans dire, piuttosto con la speranza di condividere e fors’anche incoraggiare qualche piccola riflessione.

.

CONTENUTO REFERENZIALE: TRANSIZIONE MtF

La prima lampante questione è la vicenda che lo spettacolo racconta: la transizione MtF di una persona del Sud Italia, con il corollario di complessità relazionali che tale movimento biologico e biografico non può non generare, in uno spettro che va dall’amorevole incoraggiamento al più tagliente disprezzo.

In tal senso pare funzionale alla massima chiarezza comunicativa l’esplicita, calda partecipazione emotiva che l’interprete consegna alle persone in platea: «E se il corpo non è l’anima, l’anima cos’è?», si potrebbe sintetizzare con Walt Whitman.

Calda: si usa qui questo aggettivo collocandolo del tutto arbitrariamente su un’asse freddo-caldo mutuata da Marshall McLuhan. Vale forse ricordare che per il sociologo e filosofo canadese “freddi” sono i medium a “bassa definizione” (che richiedono una “alta partecipazione” dell’utente per riempire, completare le informazioni non trasmesse), mentre “caldi” sono quelli caratterizzati da un’alta definizione e di conseguenza da una minore partecipazione richiesta/necessaria a completare lo scambio comunicativo.

.

PRENDER POSIZIONE

A tal proposito: parallelamente a quanto raccontato sul palco, a seconda di chi riceve questa fabula si apre in platea un ventaglio di possibili reazioni: da faccenda privata e affatto legittima, che può sembrare addirittura pleonastico porre al centro di un’opera, a inaccettabile, finanche inconcepibile, abominio contro-natura.

Ogni persona collocherà il proprio giudizio là dove crede e può. Non è nostro compito, né nostra intenzione, entrare nel merito del posizionamento di ciascunə.

Da par suo, la drammaturgia di Luana Rondinelli pare prendere posizione ancor prima che la vicenda si sviluppi, o forse proprio per questo: dando ampio spazio alla costruzione dell’habitat in cui essa accade sta a significare, forse, che questa transizione MtF è un elemento -ancorché centrale e affatto complesso- di una vicenda umana e sociale più larga, che non in esso si esaurisce.

In un momento storico in cui la riduzione delle altrui complessità è regola, ci pare un posizionamento non irrilevante.

,

UNA E TANTE

Vien da pensare all’etimologia della parola persona. Voce probabilmente di origine etrusca, propriamente significava «maschera teatrale» e poi prese il valore di «individuo di sesso non specificato», «corpo»: un allargamento semantico tematicamente perfetto al nostro caso!

A questo fan pensare gli habitus vocalici (accadimenti materici-sonori, puri significanti più e prima di essere trasmettitori di significati) che, con repentini cambi del corpo-teatro dell’interprete, sono offerti alla ricezione della platea.

Continui scarti (dentro-fuori, persona-maschera, presentazione-rappresentazione), come forme sonore in movimento a suggerire, più che a descrivere, la varia umanità che popola questa (dis)umana vicenda.

Ciò avviene mettendo in dialogo coppie di opposti: dialettismi e lingua italiana, interpretazione dei diversi personaggi e narrazione, passaggi fisicamente didascalici (dunque, etimologicamente, esplicativi) e segmenti evocativi, finanche astratti, equilibri e disequilibri dell’asse corporea, centratura e decentratura del peso, segmentazione e morbidezza degli arti, soprattutto superiori.

Parafrasando Walt Whitman, ancora: «Siamo vasti, conteniamo moltitudini».

,

FARSI LUOGO

Lo spazio amplifica, in maniera matericamente significante, la molteplicità di condizioni delle figure, a partire dalla persona protagonista.

Ciò si invera attraverso una parallela moltiplicazione di piani: praticabili di diverse altezze e direzioni e fondali di differenti misure e materiali rendono spazialmente articolato ciò che avviene in scena.

Mobile, come la vicenda che lì si racconta.

E l’attrice lì, a far(si) geometria.

Nel teatro rinascimentale si parlava di “sguardo del principe”, concependo un punto privilegiato a favore del quale le prospettive convergevano per dare il miglior risultato possibile di fruizione.

Ne conseguiva, in tutta evidenza, che lo sguardo fosse espressione e strumento di potere.

Mettere in crisi tale gerarchia (le Avanguardie ce lo hanno insegnato) è gesto etico forse prima che estetico, politico ancor più che poetico.

 ,

FARSI LUCE

La stessa cosa si potrebbe dire per le luci: di taglio, oblique, nette.

Con vago sapore espressionista, a tratti.

Alcune figure luminose appaiono sul fondale, in alcuni momenti sospesi, a far da contraltare a quella che -in carne e ossa e voce e partecipe presenza- abita la scena.

Di luce e buio siamo fattə: è sempre bene ricordarlo.

.

FARSI RITMO

Per dirla con Friedrich Hölderlin: «Tutto è ritmo».

Lo sa bene chi frequenta i teatri, su o giù dal palco.

Valeria Solarino varia la consistenza emotiva del flusso comunicativo palco-platea modificando l’andamento ritmico del suo fare: comicità generata da sezioni sincopate, con agire e dire puntato, alternata a passaggi emotivamente caldi costruiti allungando, come in un legato musicale, elementi difformi.

In tal senso la regia (o l’auto-regia attorale, non sappiamo) pare procedere con logiche musicali, dunque componendo (ritmicamente, ancora) significanti e possibili significati.

Su queste feconde ibridazioni disciplinari, come non pensare al rivoluzionario suono giallo di Vasilij Kandinskij?

.

CI STANNO TUTTI

Tornando, per concludere, al contenuto referenziale da cui siam partiti: sul finire dello spettacolo nonna e nipote sono salvificamente insieme, ancora una volta.

La nonna dice una cosa piccola e smisurata.

Basterebbe ricordarsela, per far la rivoluzione verso quel senso di umanità di cui in tantə sentiamo la mancanza: «Vola Vice’, vola! Che il cielo è grande, ci stanno tutti».

Ci stanno tutti.

A volte un composito sistema linguistico consegna, a chi lo incontra, anche una piccola speranza: e non è poco.

Sarebbe proprio bello, se andasse così, il mondo.

A volte quello strambo della scena, di mondo, ne prefigura un altro, possibile.

«L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro»: Kandinskij, ancora.

E noi, con lui.

.