Pane e petrolio: dialogo “dalla parte del petrolio” con Luigi Dadina

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ph Marco Caselli Nirmal

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Pane e petrolio, lo spettacolo edibile del Teatro delle Ariette e del Teatro delle Albe andrà in scena al Teatro Socjale di Piangipane dal 12 al 15 marzo.

Edibile perché ricrea l’atmosfera di un pranzo in famiglia e, tra aneddoti, ricordi e racconti, offre agli spettatori un pasto completo.

Per l’occasione abbiamo conversato con Luigi Dadina, che insieme a Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini ha scritto e interpreta lo spettacolo.

Lo spettacolo nasce dall’incontro di due Teatri, le Albe e le Ariette. Come vi siete trovati?

C’è stata una lunga frequentazione e conoscenza negli anni, e anche una vicinanza su certi temi. Io ho sempre raccontato delle mie origini operaie e loro (le Ariette) della loro vita contadina. Ci prendevamo anche un po’ in giro per questa differenza. A un certo punto, poco prima della pandemia, abbiamo deciso che era il momento, nel segno di Pier Paolo Pasolini, di trovarci e provare a costruire qualcosa assieme. E così è nato Pane e Petrolio, facendo riferimento, appunto, anche alle nostre due diverse origini quella contadina del pane e la mia, operaia, legata al petrolio.

Pasolini dunque, con la sua sensibilità sulla questione sociale umana, ha fatto da punto d’incontro.

Assolutamente. Anche se è difficile dire se lo spettacolo sia partito da una cosa o da un’altra. C’è stato un periodo in cui ero in ospedale e rileggendo Pasolini sono stato colpito da una cosa che non avevo mai notato: la sua capacità di raccontare i paesaggi e in questo modo far trasparire tutti i cambiamenti, dalla società contadina alla “apocalisse contemporanea”, per dirla con un po’ di esagerazione. Sono racconti di paesaggi che narrano la catastrofe del consumismo e quello che è venuto dopo. Così ci siamo fatti guidare da questo grande maestro.

Le storie che raccontate sono ricordi personali? 

Assolutamente sì, tutte. Da quelle più familiari ai racconti di paese, come l’aneddoto della nascita della pornografia nella nostra regione. E sono parallele ad alcuni racconti di Pasolini, parte di Petrolio, dove ci sono descrizioni ad esempio dei cumuli di immondizie, che compaiono anche nei nostri racconti. Raccontiamo cose che conosciamo bene e penso che ogni narratore debba fare riferimento a ciò che sa.

Sono storie personali ma non perché ci interessava raccontare i fatti nostri. Pensiamo che riverberino i racconti di tanti. Sono episodi che rappresentano un po’ il panorama regionale e nazionale. Un padre muratore comunista nella piana emiliana, una famiglia aggrovigliata e il lavoro in fabbrica…

Anche il menu che proponete viene dalle vostre storie familiari? 

Quando ho deciso di collaborare con il Teatro delle Ariette sapevo che loro hanno questo meccanismo di lavoro con il cibo. In tutti gli spettacoli propongono una situazione conviviale, anche se il termine non è del tutto corretto. Dividere il cibo è un gesto che fa pensare a cose alte e a cose basse, è un fatto che ha a che fare con la quotidianità, ma anche con la sacralità della vita.

Dunque, con loro era ovvio che si stesse a tavola. Così quando abbiamo iniziato a lavorare insieme ed è arrivata la domanda “Cosa si fa da mangiare?”, ho tirato fuori la ricetta dei tortelli di mia mamma. È piaciuta anche a loro e siamo andati avanti con quella.

Il menù che proponiamo è sempre lo stesso. La partitura della cucina ha lo stesso rigore di quella teatrale, non potremmo cambiare perché ha tempi e ritmi precisissimi.

Per me è stato molto emozionante misurarmi con una materia così viva come il cibo e doverci lavorare durante lo spettacolo.

 

ph Sara Colciago

 

A fianco della partitura ritmica dettata dai gesti della cucina, c’è la partitura musicale, che avvicina brani classici come l’Ave Maria di Schubert ad artisti pop come Jimmy Fontana. Come mai questa scelta?

Abbiamo pensato a diverse declinazioni del popolare. L’Ave Maria fa parte della cultura popolare dei nostri nonni, come Il Mondo fa parte della cultura pop degli anni Sessanta. Volevamo rimanere in un ambito musicale che fosse molto riconoscibile nel sentire comune. 

Lo spazio scenico è quello di un tavolo quadrato. Attorno ci sono gli spettatori e al centro gli attori e la cucina. Ciò permette di entrare in una relazione diversa con il pubblico? 

Certo. Io avevo già sperimentato la vicinanza, in spettacoli per poche persone, in spazi ristretti. Ma qui è il cibo su cui si gioca tutto. Sai che stai facendo un lavoro per costruire un prodotto che poi darai a qualcun altro, gli spettatori. Si crea una relazione intima di scambio… di storie, di sguardi, di sorrisi, ma anche del cibo, che passa dalle nostre mani a quelle del pubblico.

Grazie Luigi, per questo dialogo, che è un po’ un primo assaggio di Pane e Petrolio per chi verrà a vedervi al Teatro Socjale. Ci auguriamo che possa essere un’occasione di incontro e di relazione, come quella che ci raccontavi e che ha dato vita allo spettacolo.

Intanto buon lavoro e buon appetito.

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