.
Una macchina percorre a tutta velocità una strada deserta. Posta in mezzo alla carreggiata, la linea tratteggiata scorre davanti agli occhi dello spettatore: è una strada a doppio senso, ma viene percorsa come se fosse a senso unico. Questa è un’immagine tipica ed emblematica del cinema di David Lynch.
Tipica perché la possiamo trovare in alcuni dei suoi più grandi successi, come Velluto Blu, Strade Perdute e Mulholland Drive. Emblematica perché ha carattere filosofico, come molto del visibile in Lynch. L’indecisione, la sensazione di sentirsi in bilico, la difficoltà dell’interpretare e di comprendere a fondo quanto viene mostrato sono tutti elementi che emergono da questa immagine e che caratterizzano il cinema di Lynch. Nei suoi film, l’allucinazione penetra il reale e si confonde con esso, al punto che lo spettatore fatica a distinguere tra la storia e la mente distorta dei personaggi. “Preferisco ricordare le cose come le ricordo io, non come sono andate necessariamente”, afferma il protagonista di Strade Perdute. Un indizio che il regista gli mette sulle labbra e che ha come vero interlocutore non tanto il poliziotto della storia, quanto lo spettatore.
Sono queste le ragioni che fanno del cinema di Lynch un esempio calzante di mind-game film, così come teorizzato da Thomas Elsaesser. Gli elementi chiave ci sono tutti: forma narrativa non lineare composta da flashback e flashforward, ambiguità e parzialità delle informazioni fornite al fine di confondere lo spettatore, centralità dei processi psicologici e delle condizioni mentali dei protagonisti che incidono sulla storia. In questo senso, il suo cinema ben si sposa anche con la definizione che Elliot Panek fornisce di psychological puzzle film, nei quali la narrazione distorta è frutto della mente malata dei personaggi.
C’è però un aspetto singolare del suo cinema che lo rende particolarmente accattivante: la complessità, la distorsione, l’allucinazione sono inserite all’interno di un universo narrativo che al principio non ci appare solamente verosimile, ma anche intrigante, misterioso, come un giallo da svelare. Ecco che allora diversi elementi tipici del noir – una morte misteriosa, una strana perdita di memoria, una storia di ricatto, una bellissima femme fatale, un cattivo da eliminare – concorrono a tessere quella trama che cattura l’attenzione di chi guarda. Il mondo appare totalmente simile al nostro finché qualcosa non cambia le carte in tavola: è così che in Eraserhead tutto ci sembra più o meno normale, finché non ci viene mostrata la strana creatura uscita dal grembo di Mary, o che in Strade Perdute e Mulholland Drive i personaggi si confondono tra loro, scambiandosi identità e ruoli.
Quando questo accade, lo spettatore comprende improvvisamente di trovarsi in un mondo simile al suo, ma che si regge su leggi e regole completamente diverse. Sono le “non-regole” dell’allucinazione, del sogno, del delirio psichico. La realtà mostrata risulta anomala e enigmatica e i nessi di causa-effetto si perdono e si confondono, tanto che si ha l’impressione di vivere allo stesso tempo in due spazi e in due realtà differenti. Per questo motivo al cinema di Lynch si è spesso associato l’immagine della figura geometrica detta nastro di Möbius di cui Strade Perdute rappresenta il principale esempio. Scoperto dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius, da cui prende il nome, questo nastro ha la particolarità di essere una superficie non orientabile: possiede un’unica faccia, non è possibile distinguere tra interno ed esterno, tra inizio e fine.
Così risultano anche i film di Lynch. Eraserhead è una vera e propria esperienza psichica, dove il tempo e lo spazio si annullano e le connessioni causali si perdono. Le immagini si fanno via via sempre più ambigue e la storia, che sembrava narrare le tipiche difficoltà di una vita di coppia, assume tratti surreali e grotteschi. Allo stesso modo, Velluto Blu è un viaggio attraverso i desideri più reconditi e inespressi del genere umano, ma camuffato da una storia d’amore e di ricatto. Strade Perdute inizia come un giallo che ruota attorno a una misteriosa serie di videocassette che sembrano spiare una coppia di sposi, se non che ad un certo punto il personaggio di Fred si trasforma inspiegabilmente in Pete, quello di Renée in Alice e fa la sua comparsa un personaggio misterioso non a caso denominato Mystery Man. Qualcosa di simile accade anche in Mulholland Drive, nel quale la giovane attrice Betty incontra Rita dopo che quest’ultima ha perso la memoria in seguito ad un’incidente. La storia che vede le due donne impegnate nella ricerca della vera identità di Rita si fa sempre più complessa fino a quando Betty non diviene Diane e Rita diventa Camilla, i nomi e i ruoli delle due donne si invertono e tutto quanto mostrato in precedenza appare come il sogno distorto di una mente in bilico.
Nel libro dedicato al regista, curato da Paolo Bertetto e pubblicato da Marsilio, Andrea Minuz riporta un avvenimento che fa sorridere ma anche riflettere: durante la presentazione di Inland Empire al Festival di Venezia era stato proposto di istituire un “premio” al critico in grado di ricostruire nel modo più efficace la trama del film. Una sorta di gioco che effettivamente ogni spettatore può divertirsi a mettere in pratica, ma – consiglio – solo dopo essersi goduto a pieno l’esperienza della visione. Guardare un film di Lynch è un po’ come camminare su una corda sospesa: significa lasciarsi trasportare, catturare, immergere e, perché no, cadere. Ed è questo, a mio avviso, il suo bello.
.