La Festa del Cinema di Roma – Tre consigli e una valanga di spunti

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Benvenuti alla Festa del Cinema di Roma. Anche quest’anno il programma è ricco e il cartellone vario, a ricordarci che il cinema è prolifico e produce continuamente una valanga di nuovi film. Da questa valanga è facile farsi travolgere, confondere, spaventare, e molto spesso, quando ci si siede sul divano davanti allo schermo, si finisce per non sapere che cosa guardare.

Festival e rassegne sono utili per orientare lo sguardo in questo labirinto multimediale di prodotti artistico-commerciali, integrando la visione con incontri e masterclass, per andare alla radice di ciò che si guarda. È il caso anche del festival cinematografico di Roma.

Qui, come ogni anno, ci sono alcuni generi che dominano il programma. Primi fra tutti i film e documentari biografici: quelli su Luigi Pirandello, Amedeo Modigliani, Eleonora Duse, Franco Califano, Bruce Springsteen, Oriana Fallaci, Liliana Segre, Bruno Sulak e molti altri.

Hanno una buona rappresentanza anche i film tratti da opere letterarie, come Reading Lolita in Tehran, La casa degli sguardi, Il Conte di Montecristo. Ma a farla da padrone quest’anno è William Shakespeare, con ben tre titoli ispirati ai suoi testi (Grand Theft Hamlet, Aspettando Re Lear e Ghostlight), forse a ricordarci, come ha saputo dire in un’intervista Alessandro Gassman, che il cinema è figlio del teatro.

Tra i nomi, compaiono quelli di molti registi che in passato hanno saputo stupire, come si suol dire, “con effetti speciali”. Alcuni di questi sono Viggo Mortensen, ospite speciale, con il suo The dead don’t hurt; Teemu Nikki, che, fresco del successo de La morte è un problema dei vivi, presenta 100 litres of gold; Steve McQueen con il suo Blitz; Tony Kaye che porta The trainer, un film sul sogno americano, dorato e stroboscopico, che fa strabuzzare gli occhi e girare la testa.

Ma iniziamo a mettere un po’ di ordine in questa fitta kermesse, sperando di poter dare utili consigli a chi è alla ricerca di nuove visioni.

 

 

Come se non ci fosse un domani, di Riccardo Cremona e Matteo Keffer, è un documentario che racconta e riassume un anno di vita del movimento Ultima Generazione.

Per chi non lo sapesse Ultima Generazione è un gruppo organizzato di persone, soprattutto giovani, finalizzato ad ottenere misure di contrasto al collasso eco-climatico. Le loro azioni non violente si basano sulla disobbedienza civile e comprendono manifestazioni, blocchi stradali e danneggiamento temporaneo di beni artistici.

Il documentario li segue nel corso del tempo, partecipando alle riunioni, ascoltandone le storie personali, mostrando alcune delle loro azioni di protesta, come quella davanti al parlamento, alla fontana di Trevi, i blocchi stradali sul Monte Bianco e sul Grande Raccordo Anulare, fino alla protesta davanti alla Venere di Botticelli.

Pur non facendo parte del movimento, i due registi ce lo raccontano in modo sincero, profondo e intimo, raccogliendo frammenti di realtà e di vita dei singoli partecipanti, registrando le loro paure prima di un’azione, la loro rabbia nel dialogo con i genitori, il dolore di fronte alla violenza della folla. Si costruisce così un racconto dall’interno, ben diverso da quello, spesso paternalistico, di molti media, che tende a semplificare, etichettare, chiudere lo sguardo in una sola linea di direzione.

Come se non ci fosse un domani, al contrario, apre a molte e diverse linee di riflessione. Non c’è solo l’essere d’accordo o l’essere contrari. C’è l’urgenza di andare al fondo della natura umana, per capire chi si ha davanti, chi si ha intorno, in che mondo ci troviamo. E soprattutto per cercare un dialogo, magari senza risposte, ma la cui urgenza è forte e sentita, come quello che viene mostrato tra Beatrice Pepe, una dei protagonisti, e il padre.

Se il tema è spinoso e tende ad allontanare e dividere, questo film avvicina, colma un abisso, facendo leva sull’esigenza umana di una relazione viva e libera tra sé, gli altri, il mondo.

Il tema della libertà ricorre spesso in diversi titoli di questa edizione.

 

 

Reading Lolita in Tehran, di Eran Riklis, è un film tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Azar Nafisi in cui l’autrice racconta la sua esperienza di insegnante e letterata nell’Iran di Khomeyni.

La scrittrice narra di un paese pieno di speranze per il futuro, tradite da un governo che si rivela sempre più repressivo. Tra libri messi al bando, soprusi in università, discussioni con il marito, Azar Nafisi decide di fondare un club di lettura privato, per sole donne, dove cercare tutte insieme una strada per la libertà individuale.

Eran Riklis si approccia con fedeltà al testo letterario. Il suo film non è tanto una cronaca di eventi, ma più un ritratto della protagonista, di cui cerca sempre e con attenzione il volto, per mostrare, tramite la finestra degli occhi, il mondo interiore della donna. In questo ritratto leggiamo l’eco dei fatti, mentre Azar Nafisi vive la delusione, l’abbandono, la paura, ma anche la gioia e la speranza, sottolineate quasi sempre, a livello stilistico, da un raggio di luce calda.

 

 

La libertà è al centro anche del, più commerciale e scanzonato, Libre, di Mélanie Laurent. Il film narra le vicende del famoso ladro gentiluomo Bruno Sulak, romanzandole abbondantemente. La regista ha uno stile chiaro, pulito e ben riconoscibile, che fa del movimento circolare il suo tratto distintivo: che sia nel movimento di un attore, nella telecamera che compie un giro a 360 gradi, nell’inquadratura che viene capovolta. C’è addirittura una scena dove i protagonisti stessi girano in tondo per cinque minuti attorno ad una rotonda.

In questa opera si parla tanto di libertà. Ne discutono i due personaggi principali, il rapinatore Bruno e il detective Georges. Il primo finisce sempre in manette, ma si proclama libero e indipendente, da governi, giurie, sistemi capitalistici, e rinfaccia al suo avversario di essere una marionetta nelle mani di altri. I due non giungono mai ad un accordo, ma, pur essendo avversari, si confrontano con sincerità e rispetto fino alla fine. Un piccolo e semplice invito al dialogo in un film che, pur raffigurando un mondo machista e quasi unicamente maschile, diverte e tiene col fiato sospeso, mostrando le rocambolesche imprese di una banda di criminali per cui si sente di parteggiare.

Questo e i due titoli sopracitati, molto diversi per generi e stile, sono i miei personali consigli di visione tra le proposte  di quest’anno della Festa del Cinema di Roma.

Potrei allungare l’elenco, ma ho paura di cadere di nuovo nell’effetto valanga e scoraggiare, anziché invitare alla visione. Mi auguro che i film proposti possano essere utili suggerimenti, non solo per una serata all’insegna dell’intrattenimento, ma per far fiorire riflessioni e dibattiti.

Il bello del cinema, dopotutto, è che, raccontandoci la storia di altri, in qualche modo riesce a parlare, a noi, di noi stessi.

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