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«È tempo d’essere non più mitici / ma inattuali, audaci, randagi»: prendiamo a prestito tre parole-mondo dai primi versi del folgorante Icaro scritto, diretto e interpretato da Serena Gatti, in scena insieme a Raffaele Natale -l’altra metà di Azul Teatro– nello spazio antistante il suggestivo Eremo francescano di Santa Illuminata il 20 luglio scorso per accennare, seppur di sorvolo, ad alcune linee curatoriali che paiono emergere con evidenza nell’edizione 2024 del Verdecoprente Umbria Fest, multiforme proposta curata da Rossella Viti e Roberto Giannini.
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INATTUALI
È uno dei molti paradossi dell’impermanente arte della scena, quello di accadere in un ineludibile e insostituibile qui e ora (detto altrimenti: nel presente di chi, da diverse prospettive, quell’accadimento lo vive e lo fa vivere) e al contempo forzare le regole e le convenzioni -dunque, per così dire, le serrature- che quello stesso presente formano e informano.
Questione smisurata, si sa.
Per restringere il campo nelle poche righe che è ragionevole proporre alla lettura in questa sede, va sottolineato almeno un aspetto: di tipo linguistico.
Nei diversi possibili mondi dell’arte scenica dal vivo, quello che tra le colline del sud dell’Umbria l’associazione Ippocampo ha portato alla ricezione, dunque ha letteralmente fatto vivere, è un modo artigianale, antico di intendere il mestiere, un’attitudine che trova nella meticolosa, lenta, rigorosa costruzione del proprio linguaggio la legittimità del proprio farsi, finanche del proprio esistere.
Si pensi -solo tre esempi fra molti possibili- alla poesia inscritta nei e sui corpi maturi di tardito/rendina, al loro offrirla con trasparente semplicità a persone di ogni età.
Alle molte migliaia di chilometri che nei decenni ha percorso, in giro per il pianeta, la parata Fiesta del Teatro Due Mondi, al tempo lunghissimo di adattamento e consegna di forme e figure (la vita, si sa, vien prima e dopo, e sfora ovunque), in una pratica che fa del rapporto generativo tra corpi biologici, sonori e materici con uno specifico luogo geografico e sociale la base -o, per dirla grotowskianamente, il trampolino– della propria efficacia.
I corpi-teatro in scena nel già nominato Icaro, che attraverso le maglie ora larghe ora serratissime della poesia e dell’ironia -dunque, letteralmente, creando mondi sempre in bilico tra affezione e distanza- hanno incarnato con lieta maestria il «desiderio di vivere l’estasi dell’esistenza fino all’ultima goccia», citando le parole che il sapiente critico Carlo Lei ha utilizzato nel suo poderoso resoconto (qui).
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AUDACI
Pare esserci una fiducia larga nel canto alla durata, per dirla con Peter Handke, che Verdecoprente Umbria Fest de facto è stato, è e auspicabilmente continuerà ad essere.
L’audacia del prendersi e richiedere un tempo lungo: della semina lenta, dell’ancor più lento raccolto.
Lo abbiamo sperimentato nel proteiforme Al passo, parte di una trilogia che Teatro Ippocampo sta realizzando in stretto dialogo con diverse realtà produttive del territorio, secondo una idea larga, lungimirante, su dove il teatro possa (o debba) arrivare, se e in quanto cosa viva tra persone vive.
Un tempo lungo di maturazione dei frutti della terra e del lavorio con e su di essa e con le persone che la abitano, come è stato mostrato e raccontato in questo poetico progetto in cammino.
Il compito che Viti e Giannini paiono essersi dati, qui: ascoltare e inserire in una struttura espressiva -dunque, ancora una volta, linguistica- i contenuti di alcuni abitanti.
L’esito, per il pubblico: una fruizione in parte live e in parte in cuffia, in parte frontale e in (buona) parte interattiva, multifocale e multisensoriale, in una forma fortemente connotata dal punto di vista geografico e sociale di teatro dei, dai e per i territori.
Un teatro che contempla, in ogni senso, il tempo lungo della crescita, di frutti della terra e delle persone.
La pervicace fiducia che esso richiede.
Si pensi a tal proposito, altro esempio fra i molti appuntamenti del Festival, al Pulcinellesco di Valerio Apice, monologo creato con la sua compagna d’arte e vita Giulia Castellani in seno alla poetica famiglia teatrale che con lei e con i loro due giovanissimi figli dà carne e respiro al Teatro Laboratorio Isola di Confine.
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RANDAGI
La Commedia dell’Arte ce lo ricorda. E prima e dopo è (quasi) sempre accaduto: l’arte della scena richiede movimento, spostamento, delocazione.
A chi la fa e, spesso, a chi la fruisce.
Nella proposta artistica -o, meglio e più ampiamente, culturale– che Verdecoprente Umbria Fest ha consegnato a chi ha desiderato fruirla, vi è stata la concreta necessità di spostarsi sia verso che all’interno dei singoli appuntamenti.
Movimento come pre-condizione: per muovere percezioni e codici, conoscenze ed esperienze del reale, età e discipline, vita dei sensi e costruzione di senso.
In conclusione quel che più è emerso, azzardiamo, è una fiducia -fenomenologica e un po’ zen- nell’imbattersi fortuito: «Non ci restava che prendere il coraggio a due mani e tuffarci e nuotare in tutto quel materiale, e, in apnea, con il respiro sospeso come quando stai cercando sotto sotto e non ti puoi fermare a pensare troppo» ci han raccontato, in un’intervista di un paio di anni fa, a proposito della genesi del poderoso libro-paesaggio Verdecoprente book «osservare come le cose si sceglievano tra loro, lasciarle andare a una logica interna alla natura delle cose, verso la quale ti devi porre in ascolto ed essere pronto ad acchiappare quel che puoi».
Bisogna volerlo fare.
Bisogna saperlo fare.
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