Vivere una vita non è attraversare un campo. Su Paolo Nori

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Il mio primo incontro con la letteratura russa fu molto casuale, ero in una libreria e cercavo un libro da leggere e fra una pila di testi, presi a caso, scelsi una raccolta di poesie di Sergej Esenin. Lessi qualche pagina e la poesia che mi colpì con grande trasporto e meraviglia fu Arrivederci, amico mio, arrivederci!. Feci qualche ricerca, lessi la biografia di Esenin e la sua vita da poeta dissennato. In alcune righe di un blog dedicato agli appassionati di cultura russa, lessi inoltre che questa poesia era stata scritta, pare, con il sangue, poco prima di morire, ed era dedicata all’amico poeta Anatoli Marienhof.

Fu grazie a Esenin che iniziai ad appassionarmi a questa cultura, così vasta e trascinante e iniziai subito ad approfondire. Non conoscevo Paolo Nori, ma dalle mie prime blande ricerche in rete, capii che di fatto era uno dei più autorevoli esperti e affidabili conoscitori della letteratura russa, specialmente quella dell’Ottocento dedicata ai grandi scrittori. Durante la guerra Russia – Ucraina, la figura di Paolo Nori è balzata agli onori della cronaca, in quanto appena scoppiato il conflitto a Nori venne proibito di poter svolgere il ciclo di quattro lezioni su Dostoevskij che avrebbe dovuto tenere all’Università Bicocca, questo per “evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna”.

Iniziai a seguire il suo blog, mi annotai i suoi consigli, e trassi ispirazione dai suoi testi per iniziare il mio vasto processo di ricerca, che dura ancora oggi. Paolo Nori da anni organizza vari corsi, fra i quali alcuni di letteratura russa e di scrittura, inizialmente sempre in presenza poi durante il Covid tutto si è spostato online. Per questo motivo cercai più volte di iscrivermi ad uno dei suoi corsi, ma arrivavo sempre tardi e i posti erano già finiti. Nel 2022 venne a San Mauro Pascoli a presentare uno dei suoi libri, lo conobbi, mi presentai mostrando il mio russo claudicante e gli parlai del mio interesse verso la cultura russa. Mi disse di mandare una mail alla sua collaboratrice, in modo da mettermi in lista per uno dei suoi corsi. Così feci e alla prima occasione fui integrato in un nuovo corso.

 

 

Le lezioni furono particolarmente utili, leggemmo alcune novelle di Pushkin, Tolstoj, Pasternak per concludere con Il cappotto di Gogol; durante il corso inoltre presentammo alcuni nostri scritti. Nei giorni successivi riascoltai le registrazioni delle lezioni diverse volte, in modo da cogliere sempre il particolare che mi era sfuggito.

Qualche settimana dopo la fine del corso, su consiglio della rivista per la quale scrivo, gli chiesi un’intervista sul suo libro sull’Achmatova uscito da poco. Preparai una prima mail; le domande erano scritte con dovizia di particolari, non volevo farmi cogliere impreparato e volevo dare l’impressione di aver letto attentamente il libro e di conoscere bene la tematica. Alla prima mail non rispose, per cui gliene inviai una seconda, dove per spingerlo a rilasciarmi l’intervista allegai lo spartito per tromba del riff iniziale del cartone animato sovietico Cheburashka. Nori è infatti un neofita trombettista. Non rispose neppure alla seconda mail, per cui lasciai perdere. Forse, come disse lo stesso Nori durante lo spettacolo in merito a una cosa simile capitatagli, avrei dovuto insistere, come nelle favole russe, in cui le cose perché riescano vanno fatte almeno tre volte.

Lo scorso 30 Luglio Paolo Nori ha presentato un vero e proprio monologo intitolato A cosa servono i Russi a San Mauro Pascoli, durante l’ultima serata della rassegna Circuiti Narrativi, nel giardino di Casa Pascoli. In scena c’è solamente lui, accompagnato da alcune musiche e da 11 immagini. Paolo, gli darò amichevolmente del tu visto che a tutti i corsisti lo chiese espressamente, non è un attore, ma il suo modo di presentare le storie e gli eventi, grazie a una voce dal tono rilassante e accattivante, lo rende simpatico e stuzzicante, proprio per la sua capacità di aprire scatole, mondi su particolari della cultura russa che noi non conosciamo. E a me i particolari piacciono…

Il giardino di Casa Pascoli era affollato di persone, lui solo in scena con le sue poche immagini a raccontarci Achmatova, Brodskij, Dostoevskij, Mandelstam, Chlebnikov, Charms, Dovlatov, ma anche Dante e la sua figura, come lui la definisce, granitica.

Fra i vari racconti spicca quello di Anna Achmatova, che ha scelto di utilizzare il nome di una principessa tartara sua lontana ava, accantonando il suo vero cognome, all’anagrafe Gorienka la cui radice gor significa dolore. Per collegarsi poi a Brodskij e al racconto degli appartamenti statali. E cosa dire di Mandelshtam che studiava l’italiano per leggere la Divina Commedia?

La parte dedicata a Daniil Charms è stata molto stimolante, sicuramente perché è un autore che non conosco particolarmente. Secondo Nori “un artista non conosce limiti né spaziali né temporali”, questo mi spinge ad affrontare e studiare ancora di più cose che non so. Le informazioni che Paolo mi trasferisce sono tante, parte di queste le annoto, perché so che le andrò ad approfondire.

Le storie dei giganti della letteratura russa sono sempre rese contemporanee dai particolari della sua vita e della sua famiglia. Come per esempio la sua difficoltà nell’utilizzo della tecnologia o gli aneddoti sulla moglie, laureata in Storia dell’Unione Sovietica, che lui chiama Palmiro, come Togliatti, perché “ha sempre ragione lei”. Fra i vari racconti emerge in particolar modo quello dell’incidente in cui è uscito vivo, ma con il trenta per cento del corpo ustionato. In quel periodo particolarmente doloroso, gli veniva in mente continuamente un verso tratto da una poesia di Pasternak “Vivere una vita non è attraversare un campo”, che in russo è quasi un proverbio e la cui traduzione resa in questi termini ancora oggi lo commuove. Grazie a questo dettaglio rifletto su come le traduzioni a volte stravolgano il senso di alcuni testi.

Dal monologo emergono anche i racconti della figlia, già appassionata lettrice dai tempi dell’adolescenza e la nonna Carmela, di cui Nori parla molto frequentemente.

 

 

Seguendo Nori da qualche tempo, capisco che la figura della nonna ha avuto un impatto fondamentale nella sua vita, tanti sono gli aneddoti che lui racconta. Il suo volto si intinge di autentica tenerezza nel momento in cui parla di lei, anche se colgo sempre qualcosa di celato, non detto…

Nella dinamica del racconto degli eventi che hanno colpito la Russia e l’Ucraina negli ultimi anni “sembra siamo finiti così, in un vortice di paure, sanzioni contro sanzioni, di idiozie contro idiozie, che sarebbe l’ora che finisse presto, ma che è palese, presto non finirà”. Questa considerazione mi fa riflettere molto e penso anche che spesso le motivazioni politiche ed economiche siano la causa di blocchi culturali, che non hanno nessuna ragione e giustificazione.

È vero che Paolo Nori ha una modalità sul palco che a me sinceramente piace, e che i suoi racconti sono pieni di particolari, la sua sul palco è una vera e propria figura autorevole. A volte però tende ad essere un po’ ripetitivo, raccontando storie già sentite. Per sua stessa ammissione emerge la figura di una persona narcisista che sa come e quando intrattenere il pubblico con battute che lo rendono simpatico. Durante il corso tuttavia ho avuto infatti la possibilità di poter assistere anche al lato meno disponibile di Paolo Nori.

Ma ciascuno di noi ha di certo un dark side, che mostra solamente in certi particolari della vita quotidiana. Noi non siamo spesso come ci presentiamo al lavoro, come ci vivono nella vita, o chi siamo quando interpretiamo su un palco, perché viviamo un’esistenza di maschere che utilizziamo nella vita quotidiana che è essa stessa spettacolo e rappresentazione.

 

 

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