Corpi come territori sacri. Conversazione con Valentina Caggio | Compagnia di danza Iris

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Fertile - ph Luca Mugellesi

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Sabato 7 settembre, dalle 17 alle 19 al Parco Malmerendi di Faenza, festa per i vent’anni della Compagnia di danza Iris, fondata da Valentina Caggio e Paola Ponti.

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Valentina, perché Iris?

Iris è un fiore, è vivo, è bello, Iris era anche la dea dell’arcobaleno, che metteva in comunicazione cielo e terra, l’uomo col dio, ponte tra il visibile e l’invisibile, forse anche tra ciò che c’è di divino e di umano in ciascuno di noi.  Abbiamo sempre voluto essere “messaggere”, danzare la sacralità: una sacralità umana pervade tutta la nostra ricerca, corpi come territori sacri. Sacra è la centralità della persona, la danza intesa come epifania di vita, ma anche di rappresentazione della sacralità della vita.

Crediamo che l’arte sia una priorità, che sia necessaria come il pane e le scarpe, che ci debba essere la possibilità di poterne usufruire. Vogliamo rendere concreto quello in cui crediamo, per questo abbiamo sempre fatto molta formazione e organizzato rassegne per tutti. Sentiamo l’arte come trasmissione, come strumento per educare e formare, democrazia è anche avere accesso all’arte e alla cultura.

Quello che abbiamo sempre voluto fare è incontrare e incontrarci. Il 7 settembre sarà un’occasione per farlo.

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Azzardo: una parola per sintetizzare due decenni di vita?

Trasformazione. In venti anni ci siamo continuamente adattate a nuove situazioni, abbiamo cambiato il nostro modo di creare, di danzare, di stare tra di noi.

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Nei molti laboratori che proponete quali prioritarie attenzioni indirizzano il vostro fare?

Vogliamo condividere esperienze di senso, con il corpo, attraverso l’azione.

Con educatori ed insegnanti, con gruppi di neonati, con gruppi di bambini, con gruppi di adolescenti, con gruppi di adulti con e senza esperienza, nei servizi psichiatrici del territorio, con persone fragili e che richiedono maggior attenzione e cura, io ora anche come docente universitaria (faccio anche danzare gli studenti!). Un progetto a cui tengo moltissimo, che conduco a Bergamo è con tutti i bambini della scuola primaria Valli e con i pazienti psichiatrici di un day care. Sono tanti i motivi dell’eccezionalità di questo percorso: è in essere da diversi anni, è un incontro intergenerazionale tra adulti e bambini, quasi tutti parte di famiglie extracomunitarie o di seconda generazione, è un incontro tra varie difficoltà identitarie, inciampi evolutivi e malattia mentale.

Tutta questa diversità e tutta questa umanità sono una grande ricchezza, una grande complessa ricchezza.

Le nostre attenzioni sono rivolte alla relazione: con noi stesse, con gli altri, tra gli altri, con l’ambiente. Facciamo attenzione a incentivare la creatività e valorizzare l’insieme, la condivisione, l’ascolto, l’osservazione valutativa ma non giudicante. Il corpo è il veicolo dell’essere al mondo diceva Maurice Merleau-Ponty, attraverso il corpo instauriamo le relazioni e i rapporti con gli altri. Siamo il nostro corpo al mondo.

Dal 2012 al 2018 avviammo un progetto che per noi fu veramente importante, Corpo e azione, un seminario intensivo sulla performance rivolto a tutti, di ogni età e abilità. Nel tempo parteciparono moltissime persone e si formò un gruppo, che chiamammo la Formidabile Compagnia Popolare perché fu un gruppo davvero formidabile: con persone provenienti dagli ambiti più diversi creammo un’esperienza sociale collettiva, il focus era l’importanza e la valorizzazione del singolo attraverso il gruppo, aiutava a costruire un senso di appartenenza ad una comunità, un senso di socialità e condivisione.

Il prossimo laboratorio che faremo sarà il 15 settembre, alle 6 di mattina, durante il Festival dei Calanchi e delle Argille Azzurre. Tra i calanchi appuntiti, facendoci ispirare dall’opera del ceramista scultore Zauli, partiremo da una domanda precisa, che era anche una domanda dell’artista: non tanto quale forma artistica sia opportuno introdurre nel mondo, ma quale mondo creare con le forme, o comunque quale forma dare al mondo.

Ecco: i laboratori ci aiutano a definire meglio che tipo di mondo noi vogliamo.

Ci piacerebbe che le persone che entrano in contatto con noi avessero il nostro entusiasmo e la nostra gioia, che sentissero forte un senso di appartenenza, nuove chiavi di lettura dell’altro e della relazione: domande, domande, domande, domande, incontri con nuove persone, scoperte, dubbi, passione, gioiosa disponibilità verso l’altro, senso di possibilità.

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In che modo questa esperienza nutre gli spettacoli per adulti che create?

Qualche tempo fa un amministratore locale ci disse ridendo «I soldi li dovete chiedere all’assessorato ai servizi sociali, più che alla cultura». A noi va benissimo che si pensi questo di noi, che il nostro lavoro sia considerato un servizio sociale, che il nostro segno sia attento e rivolto alle persone e non all’élite culturale dell’ahimè ristrettissimo pubblico della danza contemporanea.

Una delle nostre produzioni, Beth, verteva anche su qualcosa che continua ad accompagnarci, sia nel nostro lavoro performativo che in quello formativo: la fondamentale importanza dell’altro, per esserci, il poter crescere solo se guardati, sostenuti. Solo se possiamo incontrare l’Altro in noi. Siamo esseri insieme all’altro fin da subito, in relazione da ancor prima di nascere, come sostiene Stern. Siamo e abbiamo il nostro corpo come fondamento per la comunicazione e interazione. In questo momento di grande disintegrazione e individualismo ogni forma di collante sociale creativo inclusivo, che non crei una separazione, può essere utile. Ogni azione, ogni parola creano una reazione nell’altro, nel mio vicino. La danza è l’arte simbolica per eccellenza, il corpo è il luogo di unione dell’aspetto fisico, cognitivo, emozionale, espressivo di ognuno di noi e ci pare che praticarla possa aiutare a decifrare meglio gli orizzonti simbolici degli altri, che praticarla insieme possa creare un immaginario simbolico comune, unico modo per integrarci e stare bene con gli altri (e non pensiamo necessariamente a qualcuno che venga da chissà dove).

Il contatto, la relazione, l’occupazione di uno spazio comune possono essere uno straordinario allenamento per la convivenza sociale: non dimentichiamo che la danza è sempre stata presente nelle feste, nei momenti rituali, nei riti di passaggio. Abbiamo un gran bisogno di tempo di festa.

Data la nostra idea educativa e vocazione formativa, nel tempo abbiamo organizzato una rassegna, Per una comunità danzante: un’avventura di incontro, scambio, dibattito su come l’arte e nello specifico la danza possa recuperare un elemento identitario comune a tutti e possa contribuire a un vivere sociale sereno, costruttivo, dove circoli cultura e rispetto, dove le differenze possano trovare cittadinanza, dove il rapporto con l’Altro da noi non sia solo possibile, ma anche gioioso e fertile.

Per noi di Compagnia Iris, la danza è una pratica etica e politica, crediamo che per un danzatore sia normale e ovvio prendere posizione: politica, non partitica.

Come costruire la nostra società, le nostre società, la nostra città, le nostre città?

Abbiamo nel tempo agito diverse performance, manifestando il nostro impegno: in modo evidente è stato dichiarato con Chairs, azione non violenta contro la pena di morte, Florazione, azione non violenta contro la lapidazione e D’acqua, danza venduta all’asta in alcuni luoghi in cui è presente l’acqua (fontane, fiume, laghetti, eccetera) nella città di Faenza, a sostegno della campagna referendaria.

Riflettiamo da tempo su un’educazione all’identità, similitudini e differenze: cosa degli altri risuona in noi e come ci rispecchiamo negli altri.

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Beth – ph Mattia Pasini

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Essere donne come ha condizionato, nella sensibilità e nella fatica, il vostro percorso?

Come persone, siamo state influenzate dalle nostre storie e dai nostri temperamenti.

Essere donne ci ha sempre portato a riflettere sulle relazioni e molti dei nostri lavori vertono su questo. I nostri percorsi formativi ci fanno incontrare continuamente uomini che fanno un grande lavoro su di sé e sui rapporti. Forse ogni nostro lavoro parla un po’ di tutto: di amore, di morte, di vita. Notiamo che le donne sono più pronte a parlare e ad ascoltare di amore, di morte e di vita.

Nell’essere donne, probabilmente ci ha condizionato la nostra arrendevolezza, il farci andare bene le cose, cercare il compromesso a ogni costo, piuttosto che lo scontro… o forse è il nostro carattere, non è perché siamo donne.

Sicuramente in situazioni aggressive e competitive (il nostro mondo del lavoro…), non siamo persone che si sanno imporre, neppure siamo mai state tanto capaci di raccontarci e venderci. Sono condizionamenti femminili?

Come donne percepisco che dobbiamo dimostrare il nostro valore continuamente, che le lauree non sono mai abbastanza, che da discenti facciamo corsi di formazione continuamente e sembra che non basti mai.

Come donne ci si aspetta da noi una presenza totalizzante: sul lavoro e nella cura della famiglia.

Siamo due mamme, le nostre figlie hanno sicuramente condizionato il nostro lavoro per l’attenzione all’altro, il decentramento dell’asse da noi stesse all’altro, le priorità, la gestione del tempo.

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Quali artiste e artisti del presente e del passato, di danza e non solo, senti particolarmente affini al tuo mondo poetico?

La lista potrebbe essere lunghissima. Sicuramente sento che Pina Bausch e Carolyn Carlson, con i loro epigoni con cui ho maggiormente studiato, mi hanno formato, non posso dire di essere affine a loro perché chissà se loro direbbero che sono affini a me.

Paola e io abbiamo fatto lavori insieme, ma anche tantissimi soli, abbiamo sempre intrecciato i nostri percorsi, quindi direi che è l’artista e la persona con cui mi sento più affine.

Ho fatto lavori ispirandomi a Christa Wolf e Friedrich Dürrenmatt, la letteratura tedesca mi appartiene molto, ma anche la prosa poetica di Erri De Luca, l’immaginario di Beatrice Alemagna e Arianna Papini, la poesia di Mariangela Gualtieri… sarebbe troppo lungo fare un elenco completo, ma non posso certo tralasciare le fiabe e chi le ha narrate e rinarrate nei secoli, che così tanto mi hanno influenzato.

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Cosa accadrà sabato 7 settembre?

Ci sarà una festa, con gli amici e i colleghi che potranno essere presenti: chi ha partecipato al nostro lavoro nel tempo, chi ha stimato il nostro lavoro. Faremo una performance, dagli ultimi lieder di Strauss, Früling, la primavera, per nuovi inizi, per germogliare ancora e ancora (abbiamo danzato Le Sacre du Printemps, le primavere ci piacciono…).

Danzeranno artiste che ci sono vicine.

La festa è di tutti, quindi non sappiamo ciò che succederà di preciso, come spesso succede ci saranno incognite.

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Una parola, per concludere questa conversazione?

Vorrei terminare con una filastrocca che avevo scritto per uno dei nostri primi spettacoli.

Tapparella caramella
c’è una corda che ricorda
se vai giù, non sali più.

Due bambine con le trecce
son veloci come frecce
due ragazze come pazze
bevon gli anni dalle tazze.

Donne belle bianca pelle,
ridon forte delle sorte
mentre guardano la morte.

Lunghi lacci laggiù stacci
lacci corti passi forti
onde fari baie porti.

Nel vestito da marito
corri incontro a questo rito
via i polsini, via il colletto
c’è una donna dentro il letto.

Prendi il centro fatto a mano
da una madre piano piano
segui il filo
c’è un indizio
c’è una fine e c’è un inizio.

Passa poi di mano in mano
presto svelami l’arcano:
il tuo sguardo adesso è il mio
in quel centro ci son io.

Di ricordi cucio trame
canto favole di rane
sono ponti tra me e te
questo vale i miei perché..

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