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La complessa e talora modernamente contraddittoria relazione tra Cinema e Teatro scivola e si declina all’interno del sottile limes-discrimine tra contenuto e forma che, soprattutto nel recepimento, traslazione e trasfigurazione della drammaturgia ‘dentro’ la settima arte, evidenzia come quest’ultima sia capace di deformare il contenuto narrativo aprendolo anche a suggestioni inattese ma coerenti, ma nel contempo come spesso il contenuto narrativo determini slittamenti nella stessa forma in cui è rappresentato grazie alla incompiuta elasticità dello sguardo quando è filtrato dalla cinepresa o comunque dal video.
La premessa, non superflua, consente di avvicinarci, dal lato più perspicuo viene da dire, a questo La belva nella giungla, opera-video (così lui stesso la definisce) di Federico Tiezzi sulla traduzione e drammaturgia di Sandro Lombardi dalla novella di Henry James, in cui tra l’altro questo terzo elemento linguistico, tra epos e poesia, viene ad integrarsi ai due precedenti.
È come se, alla fine, il senso stesso della perturbante narrazione del grande scrittore americano, in un certo qual modo anticipatore della sintassi letteraria del flusso di coscienza, venisse man mano filtrata (dalla letteratura al video) in una osmosi che cerca di distillarne la limpida e ultima purezza, oltre la storia, la sociologia e la stessa psicologia in un territorio prossimo alla metafisica.
La storia è nota: un uomo e una donna incontratisi per caso percorrono il loro tempo in una sorta di distanza ravvicinata che mai si chiude e conclude, in percorsi paralleli che, come per i pianeti la forza di gravità, si influenzano, attraendosi e respingendosi in un equilibrio instabile ma inamovibile, pericoloso ma insieme confortante.
Su tutto domina un evento atteso e sconosciuto, una catastrofe che si aggira nell’animo di lui come, appunto, una belva nella giungla pronta a divorarlo, un evento che lei in un certo senso sollecita in un tentativo disperato di salvarlo da sé stesso che lui inconsapevolmente rifiuta pervicacemente di riconoscere.
Solo alla morte di lei quell’evento si chiarifica ed ha in fondo un nome: Vita, o meglio la paura della vita, che gli affetti e la donna stessa rappresentano come estuario che apre al mare della sensibilità, in un gioco di incomunicabilità, che però, paradossalmente, lancia segni e segnali come zattere di salvataggio abbandonate in quello stesso mare.
Fuga e nascondimento, attrazione e paura per nascondere qualcosa di terribile (l’anaffettività, la mancanza d’amore che si maschera a volte in inespressa misoginia) che ci minaccia ma che è già dentro di noi.
La belva che, come la Balena Bianca di Melville, ci cerca e ci fugge, ma che da sempre ci ha catturato se non sappiamo superarla.
In questa che sembra anche essere un’opera sul tempo, più che una ‘ricerca’ una vera e propria fuga dal tempo perduto, la mano di Sandro Lombardi, prima, e di Federico Tiezzi, poi, disegnano una umanità dispersa e molteplice, perduta nello spazio tempo di un universo sempre più grande e sempre più sconosciuto, in cui dunque il rapporto umanistico e rinascimentale macro-microcosmo appare come ribaltato, quasi rifrangendo dentro la nostra coscienza quella inconoscibilità e incomunicabilità universale.
Ben si adattano a tutto questo muoversi interno ed esterno, restando alla letteratura nordamericana, i versi di Walt Withman, tra l’altro ispiratore di questa edizione di Kilowatt Festival: “E pensare al tempo! Pensare al tempo passato! / E pensare all’oggi e ai secoli che da oggi cominciano! / Hai mai pensato di non avere un domani? Hai mai avuto paura di quegli insetti sottoterra? / Hai mai temuto che il futuro fosse inutile per te?
Questo continuo fluire è linguisticamente reso evidente, nel video, dagli interventi pittorici di Jacopo Stoppa, un’unica ma insieme molteplice raffigurazione figurativa capace di seguire (ricordiamo il ritratto di Dorian Gray) il fluire del tempo nel variare delle stagioni dell’uomo e della donna.
Protagonisti, verrebbe da scrivere in scena, due tra gli attori di maggior qualità oggi in Italia, Anna Della Rosa (May) e Graziano Piazza (John) capaci di espressiva mimica, tra malinconia e disperazione, in un fluire di sequenze che privilegia ovviamente il primo piano ed il cosiddetto piano americano, in fotografia e montaggio di Nicola Bellucci assai efficaci.
Come scrive Federico Tiezzi nel foglio di sala, dunque questo “È teatro progettato per il video, non la registrazione di uno spettacolo”, e il risultato finale dà ragione di un insieme di suggestioni, diverse per lingua e sintassi, che convergono felicemente nell’unicità-pluralità del nostro sguardo di spettatori di cinema e di teatro.
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LA BELVA NELLA GIUNGLA, the pale blue dot project: capitolo I, da Henry James, opera video Federico Tiezzi, traduzione e drammaturgia di Sandro Lombardi, con Anna Della Rosa e Graziano Piazza, costumi Giovanna Buzzi, luci Gianni Pollini, interventi pittorici Jacopo Stoppa, fotografia e montaggio Nicola Bellucci, trucco Sofia Righi, operatore di macchina Stefano Dei, fonico in presa diretta Alessandro Di Fraia, co-produzione Vulpis Productions , con il contributo di Fondazione CR Firenze, con il sostegno di Regione Toscana e MiC. Lavoro di video-teatro sull’omonimo testo di Henry James, tradotto e adattato drammaturgicamente da Sandro Lombardi. Durata 40’
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