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Assistere ad una rappresentazione della Compagnia Carlo Colla e Figli è fare un viaggio nel teatro, è assaporare l’autenticità dell’artigianato, è fare un’esperienza nella storia, è vedere la maestria all’opera, è gustarsi i particolari, i colori, le maschere, la grazia, la costruzione di personaggi senza tempo.
Nel mettere in scena La Tempesta shakespeariana, i Colla (i burattini li costruiscono da soli, così come i costumi, hanno quattro magazzini pieni a Milano di scenografie e soprattutto di 3.000 marionette) hanno effettuato un’ulteriore coraggiosa scelta: le voci dei personaggi sono quelle registrate per lo spettacolo del 1982 che Eduardo De Filippo preparò, e soprattutto tradusse. La traduzione de La Tempesta fu l’ultima opera, come è stato per lo stesso Shakespeare, su cui Eduardo lavorò: infatti interpretò e incise le parti di tutti i personaggi, tranne quella di Miranda.
Burattini, scene complesse di fili e carrucole e binari a scomparsa su più livelli a creare profondità e prospettiva, la traduzione in un napoletano stretto seicentesco e popolare. I burattini vengono manovrati dall’alto, grazie ad una decina di movimentatori, per due ore di magia, meraviglia, incanto, stupore, allegria.
Un lavoro complesso e impegnativo, di grande costruzione intellettuale, di sforzo collettivo, un’idea davvero mirabile e da sottolineare, un’opera raffinata di cesello e cura dei dettagli.
Niente è lasciato al caso, tutto è filologico, pensato ma anche giocato e sentito e vissuto.
Ecco la grotta rossa e dantesca dove Prospero (il suo volto ci ha fatto pensare a Michele Placido) attua i suoi malefici per vendetta contro il fratello Alonso impostore, ecco il palazzo fiabesco e sfarzoso (che ci ha ricordato il Castello di Sammezzano in Toscana), sul fondale il mare in movimento così come le galee in navigazione, il tutto accompagnato dalla musica partenopea e la voce roca e flebile di un grande uomo che si apprestava al suo tramonto, a chiudere il suo sipario.
Ariel, lo spirito aiutante di Prospero, è su un cavalluccio a dondolo, è cangiante e fluido ed ora ha le fattezze di una donna, quasi Fata Turchina, adesso di un ragazzo.
La scritta sopra il palcoscenico nel palcoscenico è raggiante: Nuje simme fatte cu la stoffa de li suonne. E sta tutto lì: l’inventiva, la trasformazione, l’equilibrio, il tradimento.
Le scene (vere e proprie opere d’arte) si muovono orizzontalmente mentre, ad esempio, il ruscello verticalmente, per un impianto tecnicamente sbalorditivo, commovente, preciso e perfetto.
Ogni scena è come una matriska dentro la quale se ne anima un’altra, uno zoom.
Colpisce, e non può essere il contrario, Calibano il mostro dell’isola imprigionato da Prospero: un mix tra Maui, il gigante tatuato della Disney in Oceania, Shrek, Sloth dei Goonies, Dwayne Johnson, attore di Fast & Furious, e Jason Momoa, Aquaman e Conan.
Divertenti le scimmie e i cani in pelouche davvero realistici. Un grande presepe semovente d’impatto, granitico, eccezionale, raro. E poi si crea, grazie alla prospettiva che inganna l’occhio della platea, una sorta di miraggio riguardo alle dimensioni dei personaggi che dal basso sembrano dominanti e alti ma che in realtà non superano il metro, un effetto ottico che sbalordisce ulteriormente.
Geniale è infine il teatro nel teatro all’ennesima potenza: marionette che tengono e muovono i fili di altrettante marionette più piccole in un teatrino sul palcoscenico.
Nel finale il coup de théâtre e ciliegina sulla torta è assolutamente il burattino dello stesso Eduardo che appare come per benedire e suggellare questa prova, il regista che viene a prende l’applauso della platea grata.
I Colla sono abilità, bravura, perizia, padronanza dei linguaggi, competenza della scena, che si tramandano da generazioni: impossibile non amarli. Un sogno barocco esaltante nel quale immergersi perché siamo fatti della stessa sostanza ed è bello riscoprirsi bambini pieni di fantasia, illusioni, desideri.
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