Corteo, riso e lana: il coro pacifista della Lisistrata alle Sementerie

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Estate, esterno notte. Un carro festante con colori arcobaleno pompa dalle proprie casse A far l’amore comincia tu di Raffaela Carrà remixata da Bob Sinclair mentre una folla plaudente lo segue. Il gruppo canta e muove le braccia a ritmo di musica. Potrebbe essere la fine della parata del Pride oppure una scena tratta da un film di Sorrentino che ha reso quel brano sineddoche delle feste romane. Eppure siamo lontani dai centri storici e dalle ZTL, siamo nella campagna bolognese di Crevalcore, nel vivo di Lisistrata delle Sementerie Artistiche. Quella massa è composta da spettatori che, guidati dal colorato carrozzone, stanno andando ad assediare, assieme alle donne greche, l’acropoli di Atene per dire “No” alla guerra contro Sparta. Non solo una parata o una festa quindi e neanche uno spettacolo di teatro, ma un evento capace di catalizzare tutte queste forme.

Questo è Lisistrata chi fa la guerra non fa l’amore, nuova produzione delle Sementerie Artistiche e spettacolo di punta della rassegna estiva Le Notti delle Sementerie. I due fondatori, Manuela De Meo e Pietro Traldi, sono in scena interpretando rispettivamente l’ateniese Lisistrata e due personaggi uomini, il vecchio Cedro e l’ambasciatore Cinesia, diversi per ceto ma entrambi ridicoli quanto divertenti nell’interpretazione dell’attore. La regia e il testo riscritto da Aristofane sono affidati a Gloria Giacopini, con il supporto di Giulietta Vacis nella drammaturgia. La creazione risulta spassosa e lirica, brillante e ironica, capace di generare alcune schegge di cui far tesoro. Le possiamo riassumere in ‘corteo’, ‘riso’ e ‘lana’.

 

 

Corteo

La prima è racchiusa nell’incipit dell’articolo. Il numeroso pubblico è artefice e viene più volte interpellato nel corso della rappresentazione. Non è un’entità passiva che seduta sulle sedie si gode (o subisce) un’ora e mezzo di spettacolo, ma è soggetto movente, motore energetico dell’intera performance. Certo viene guidato, condotto e solleticato con numerose azioni suggerite (“Alzatevi”, “Ripetete con noi”, ecc.), ma costituisce un elemento importante per la riuscita della creazione ed è in relazione continua con l’azione scenica, tanto da entrarne a far parte.

In questo è portato all’estremo il ruolo del coro che, come nel teatro greco del V secolo, ha la funzione di coordinamento e di ponte tra quello che accade sulla scena e gli spalti. Tale pervasività è ben visibile all’inizio dello spettacolo, quando i vari performer che ne fanno parte, tutti vestiti con tunica bianca, circondano gli spettatori in una camera sonora di voci. Il pubblico è costretto da subito a una sollecitazione immediata e a una multifocalità di sguardi.

 

 

Riso

In Grecia, sin dalle processioni dei fallofori da cui nacque la commedia, si sapeva che senza riso non c’è rito. E, possiamo dirlo, con questa Lisistrata si ride tanto e di gusto. La trama mantiene il suo gioco comico nello sciopero del sesso guidato da Lisistrata e a cui partecipano, non senza sofferenza, le donne spartane e ateniesi per far finire la guerra tra i popoli. Ma a questo conflitto eterno tra pacifismo femminile e bellicismo maschile, si affiancano nuove brillanti trovate. Il fronte delle donne è molto più vario e include uomini pacifisti e altre persone della comunità LGBTQIA+. Ne emerge una riscrittura sapiente, capace di tramutare e adattare i giochi aristofaneschi all’attualità e al nostro linguaggio (compreso le storture che i personaggi fanno delle desinenze inclusive), quanto alla bravura degli interpreti nel fare proprie le battute e adattarsi agli stimoli del pubblico.

La scrittura aristofanesca, infarcita di molti riferimenti alla sua attualità e alla sua polis, rivive così di nuova vita. Non sono più gli abitanti di Atene ad essere chiamati in causa, ma, anche attraverso i pezzi in dialetto, le comunità della bassa bolognese: da Crevalcore a Pieve di Cento, da Molinella a Minerbio. In questo senso la commedia, oltre a far man bassa di ciò che era e sarà sempre ridicolo, si rinnova nella situazione che trova.

 

 

Lana

Parlando della capacità di attualizzarsi del testo, è impossibile che sfuggano le ragioni per cui Sementerie ha deciso di lavorare su quest’opera ovvero la guerra, in particolare nel suo essere un immancabile e tragica compagna per l’umanità. Certo, si ride sul conflitto tra femminile e maschile, ma la guerra, quella degli uomini, è affare tragico a cui negli ultimi tempi ci siamo adagiati, incapaci come siamo di sovvertire una situazione che diventa sempre più grave.

Le cose sono complicate e il teatro non può sperare di risolvere i conflitti del mondo, ma, come fa Lisistrata, tanto nel V secolo quanto oggi, può sperare di prendere il bandolo della matassa e sbrogliarlo. Così i gomitoli di lana vengono lanciati in basso dal carro pacifista, di coloro che la guerra non la vogliono subire, mentre i loro fili si cominciano a tendere generando una rete che unisce tutti, pubblico e personaggi, e che nel legame connette tutta la terra e le diversità che lo compongono.

L’immagine di un mondo che si riunisce dentro quella lana colorata di diversità e concordia è la fiammella di speranza che lascia Aristofane e che il teatro ha la possibilità di continuare ad alimentare. Ma se per il nostro mondo ancora c’è molto per cui rimanere in attesa, il conflitto tra Sparta e Atene viene appianato dai due ambasciatori in voluminosa erezione, ormai stremati dallo sciopero del sesso. E allora lo spettacolo si conclude con l’ultima parata e si discioglie ricordando a tutti cosa sia la pace: una grande festa.

“A far la pace comincia tu!”

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