Oltre il palcoscenico. La nona edizione de Le Notti delle Sementerie

0
464

In un teatro composto da fili di paglia nel mezzo della campagna emiliana, da nove anni a questa parte Manuela De Meo e Pietro Traldi realizzano Le Notti delle Sementerie, una rassegna di spettacoli che anima la città di Crevalcore (Bologna) e, nello specifico, Sementerie Artistiche, un presidio culturale nato nel 2015 all’interno degli spazi di un’azienda agricola. Teatro e contesto rurale qui si incontrano e insieme creano esperienze performative che hanno come obiettivo quello di rompere le barriere tradizionali scena-platea e instaurare con gli spettatori una relazione teatrale più diretta, accessibile e partecipata.

Quest’anno Le Notti delle Sementerie si tiene dall’11 luglio al 3 agosto e vede alternarsi due spettacoli, Sogno di una notte di mezza estate da Shakespeare e Lisistrata – chi fa l’amore non fa la guerra da Aristofane (prima assoluta), entrambi realizzati con il coinvolgimento di un ampio gruppo di cittadine e cittadini partecipanti a un laboratorio, che affiancano il cast d’interpreti professionisti.

Come e quando è nato Sementerie Artistiche? 

«Il progetto – racconta Manuela De Meo – è nato a seguito del terremoto del 2012 in Emilia. In quel periodo l’azienda che ora ci ospita – attiva dagli anni ‘30 –  stava trasformando la sua produzione, perciò quando i magazzini e gli edifici sono stati danneggiati dal terremoto, poi sono stati ricostruiti diversamente. Io e Pietro lavoravamo già come attori, non avevamo uno spazio ma avevamo accumulato esperienze in diversi luoghi da cui abbiamo tratto ispirazione per Sementerie. Così abbiamo colto questa occasione inaspettata, nel 2013 sono iniziati i lavori e nel giro di un paio d’anni, a fine 2015, abbiamo ufficialmente fondato le Sementerie Artistiche. Il nome è scelto proprio in onore dell’azienda, conosciuta per la sua attività di ricerca genetica sui semi. Inoltre, in questo concetto di seme, volevamo intendere anche il germogliare di qualcosa di nuovo in un luogo inaspettato e non deputato alle attività culturali». 

Quali sono le progettualità all’interno di questo spazio?

«Ci occupiamo di produzione di spettacoli, che nei primi anni erano realizzati in collaborazione con il Banfield Teatro Ensamble di Buenos Aires; e di altre attività culturali come laboratori di teatro, danza aerea, workshop di lettura, residenze, dando anche la possibilità agli artisti di soggiornare nella nostra foresteria.  

A partire dal 2016 abbiamo inoltre dato il via a Le Notti delle Sementerie, che ha visto fin da subito la costruzione del teatro di paglia, nato inizialmente da un problema: la sala al chiuso non poteva ancora ospitare gli spettacoli e il pubblico perché mancava la gradinata, il graticcio etc. Così, relazionandoci con l’azienda, abbiamo costruito il teatro di paglia, poi divenuto il simbolo del Le Notti, luogo che unisce il mondo agricolo a quello teatrale. Sembrano universi inconciliabili, ma è proprio in virtù della non convenzionalità degli spazi che si apre la possibilità di immaginare progetti originali, diversi rispetto a quelli che avvengono nel contesto urbano». 

Quali sono le interlocuzioni con l’azienda e come si è sviluppato il rapporto in relazione alla gestione dello spazio?

«L’interazione è viva e collaborativa. Fra le interazioni principali c’è proprio la costruzione del teatro di paglia: bisogna attendere il momento dell’anno in cui il grano viene mietuto e quando le macchine sono a disposizione. Inoltre, prima che esistessimo noi, l’azienda era un luogo dedito alla sola produzione e quindi anche sul piano estetico lo spazio era funzionale al solo lavoro. Ora invece è diventato un luogo da attraversare e in cui passare del tempo e questo ha dato la possibilità non solo a noi di esistere, ma anche all’azienda di immaginare attività diverse: ha infatti affiancato alla tradizionale produzione, anche un orto a cui è collegato un agriturismo, che negli ultimi due anni ha cominciato a prendere piede e che si occupa della sezione ristoro durante Le Notti. Sementerie è quindi diventato uno spazio pubblico, un’occasione per accogliere persone e per invitarle a restare». 

Le Notti delle Sementerie è oggi giunto alla sua nona edizione. Come è cambiato negli anni e come si configura ora?

«È un’iniziativa che in effetti è cambiata nel tempo. Nei primi anni la direzione artistica era condivisa con Ignacio Gomez Bustamante del Banfield Teatro Ensamble di Buenos Aires e la rassegna prevedeva una serie di spettacoli ospiti, a cui affiancavamo format alternativi, come il “teatro alla carta”, una sorta di varietà. Si trattava di formule in cui cercavamo di sfruttare tutti gli spazi dell’azienda, allargando i confini della scena per invadere luoghi inediti. L’obiettivo è stato di avvicinare le persone togliendo le barriere tra artisti e pubblico, liberandosi cioè dell’artificio dell’attore che appare-scopare da dietro le quinte, un espediente che di certo contribuisce alla magia, ma al contempo crea una distanza relazionale. Questa necessità deriva anche dal luogo decentrato e non debuttato in cui siamo, che ha richiesto la costruzione di un pubblico da zero. Abbiamo quindi cercato un linguaggio accogliente e morbido, in linea con la nostra poetica che si fonda sull’essere diretti e non mascherati, con l’obiettivo di stabilire una relazione di presenza con il pubblico, per un teatro popolare e dunque accessibile. È infatti proprio questo carattere di accessibilità che ci permette di lavorare su più livelli per diversi pubblici, sensibilità e attitudini.

Dopo il Covid il rapporto con l’Argentina, per ovvie ragioni, si è allentato e abbiamo dovuto trovare nuove modalità e rapporti. Così nel 2022, per recuperare la relazione col pubblico che si era disgregata, oltre agli spettacoli ospiti nel teatro di paglia, abbiamo organizzato un laboratorio per la cittadinanza lavorando su Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, poi divenuto una performance itinerante, realizzata coinvolgendo il gruppo di cittadine e cittadini del workshop che affiancano il cast di professionisti. L’operazione è stata davvero soddisfacente sia da un punto di vista artistico, sia sul piano della relazione con il territorio e i suoi abitanti». 

Lo spettacolo torna in scena anche quest’anno, insieme a un altro lavoro simile, Lisistrata di Aristofane…

«Esatto, quest’anno riprendiamo Sogno di una notte di mezza estate (regia di Federico Grazzini)  per la terza volta e abbiamo proposto un altro laboratorio di avvicinamento al teatro, coinvolgendo poi i partecipanti nella produzione di Lisistrata – chi fa la guerra non fa l’amore (regia di Gloria Giacopini). In scena, quindi, ci sono sette interpreti professionisti affiancati da un coro composto da quaranta cittadine e cittadini. Sebbene il teatro di paglia resti il cuore pulsante, entrambi gli spettacoli si diffondono negli spazi di Sementerie. L’idea è di offrire un’esperienza unica, difficile da trovare altrove, anche perché per arrivare a Sementerie è necessario un piccolo viaggio». 

Avete scelto due classici, da due epoche diverse. Perché questi due testi e come ci avete lavorato? 

«I classici contengono un’universalità che permette di essere plasmata su qualsiasi tempo: è la loro capacità di oltrepassare le epoche a renderli dei testi potenti. Ci sembrava quindi la giusta chiave per coinvolgere la cittadinanza. Si tratta inoltre di due opere adattabili a diversi contesti e molto comiche. Nel caso di Shakespeare, soprattutto, ci si trova di fronte a un testo poetico in versi, con tante metafore difficili per le nostre orecchie del 2024 e perciò abbiamo lavorato mantenendo la struttura drammaturgica ma inserendola in un contesto più moderno. È sempre interessante notare come alcune questioni individuate secoli fa siano ancora parte del nostro modo di relazionarci tra individui: viviamo in un mondo radicalmente cambiato, eppure alcuni aspetti propriamente umani restano inevitabilmente immutati». 

I classici, come dicevi, permettono di connettersi ad alcune tematiche calde del presente. Lisistrata, in particolare, ha una forte impronta femminile e si incentra sul tema, purtroppo attualissimo, della guerra. Come avete affrontato queste questioni, sia preliminarmente sia con la cittadinanza? 

«Il motivo per cui abbiamo scelto Lisistrata è proprio per le tematiche contemporanee che porta in sé, anche quelle legate al discorso sul potere e alla possibilità di immaginare un’alternativa a quello già noto. Nell’opera originale, a essere protagoniste sono le donne del coro che si contrappongono ai vecchi potenti, mentre noi abbiamo scelto di comporre un gruppo allargato di persone: non solo donne, quindi, ma tutte le persone contrarie o che subiscono la “guerra”, termine con il quale intendiamo non solo il conflitto armato, ma lo scontro in generale. Si è trattato quindi di proporre una riflessione attorno a tutte quelle situazioni in cui ci trinceriamo in categorie escludendone altre, mettendoci l’uno contro l’altro anche quando il conflitto potrebbe essere superabile. Abbiamo inoltre lavorato sull’aspetto comico-grottesco del testo, che scaturisce dal nucleo della trama: le donne indicono uno sciopero del sesso per convincere gli uomini alla pace. Questo porta a un messaggio politico molto forte, quello che mostra la distinzione tra sesso e amore mostrando come proprio quest’ultimo sia la chiave di risoluzione: solo attraverso concordia e diplomazia è possibile chiudere e superare il conflitto». 

Qual è l’orizzonte ideale a cui Sementerie Artistiche tende?

«Sementerie Artistiche è un luogo aperto e allargato, non si capisce nemmeno bene come entrarci: questa caratteristica fisica è parte anche della nostra poetica. Immaginiamo quindi di collaborare con persone sempre diverse, realizzare progetti fluidi che partano dal teatro come linguaggio e strumento per espanderlo e coinvolgere le persone in prima persona. La presenza infatti vuole essere il nodo fondamentale delle nostre proposte, a fronte di una comunicazione digitale che ha completamente trasformato il nostro modo di relazionarci. Se il teatro ormai non è più il mezzo per parlare a molti, resta il luogo in cui si dà centralità al corpo e alla presenza: è da questa consapevolezza che continuiamo a costruire il nostro lavoro. 

Sementerie è inoltre un posto decentrato, la partecipazione qui implica una scelta, faticosa per certi versi. Da una parte questo aspetto può essere un problema, dall’altra però ci permette di instaurare relazioni diverse, forti: l’essere decentrati comporta infatti riuscire a coinvolgere persone anche da molto lontano, perché venire qui da 30 o da 200 km cambia poco. Si genera quindi una strana chimica, per cui Sementerie diventa un’isola in cui si torna e da cui si parte. Immaginiamo quindi che Sementerie Artistiche sia una porta tra il mondo e il territorio allargato. Questa è l’immagine che ci guida, la nostra bussola». 

Programma completo: https://www.sementerieartistiche.it/rassegne/notti-delle-sementerie-2024