Teatro ragazzi. Su alcune creazioni di Mario Bianchi, Accademia Perduta e Teatro Due Mondi

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Bella, bellissima! - ph Francesco Bondi

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«È bene tornare alle radici del teatro ragazzi riguardando a quell’esperienza di disubbidienza dell’inizio, reinterpretandone alla luce del nostro tempo istanze, utopie, speranze»: un frammento dell’ultima pagina della commossa e commovente postfazione di Alessandra Belledi a Il teatro ragazzi in Italia di Mario Bianchi (Franco Angeli, 2022) sintetizza la consistenza ideale e la matericità progettuale che abbiamo percepito con chiarezza in quattro creazioni di e sul teatro ragazzi in cui ci siamo imbattuti di recente, e di cui vorremmo brevemente dar conto.

 

 

DUE

Due sono i volumi che Mario Bianchi, il più autorevole esperto di teatro ragazzi in Italia, appassionato promotore del teatro che c’è stato, che c’è e soprattutto che verrà (parafrasando il nome di uno dei luoghi in cui da tempo condivide i suoi sguardi) ha pubblicato tracciando una doppia ricognizione di questo universo mobile e sfaccettato.

Atlante del teatro ragazzi, pubblicato da Titivillus nel 2009, è la prima parte di un poderoso e meticoloso dittico (la seconda parte è il succitato volume uscito due anni fa) che si pone come mappatura, memoria e trampolino: incoraggiamento a ricordare, a fare, ad andare.

È frutto di decenni di attraversamenti, incontri, sguardi, pensieri, restituiti in collaborazione con un manipolo di giovani studiose e studiosi.

Il primo volume articola un percorso su una forma etica ed estetica che, muovendo dalle radici animate a fine anni Sessanta in alcune scuole di Torino, evolve in forma di teatro popolare in dialogo con le utopie di rinnovamento sociale e politico di quegli anni (a partire dalla convinzione che «i bambini non sono piccoli uomini o donne imperfetti, ma persone dotate di individualità linguaggi e cultura propri», come osserva Pier Giorgio Nosari nella densa Introduzione critica), dà voce ad alcuni Padri fondatori (in primis il precursore Franco Passatore) per poi comporre un itinerario di decine di creazioni che, a partire dal fondativo La città degli animali del Teatro del Sole (1970), tocca modi e mondi diversissimi che nei quasi quarant’anni successivi han dato corpo  «a quell’esperienza di disubbidienza», per stare ancora un attimo con Alessandra Belledi, che il volume testimonia anche attraverso numerose, suggestive immagini d’archivio.

«A torto o a ragione, quello per i ragazzi e le ragazze viene considerato un teatro “minore”»: si apre, così, la prefazione al secondo volume del dittico di Mario Bianchi, mettendo in campo uno degli elementi che poi verranno ampiamente sviluppati, il rapporto dialettico con il proprio tempo, sia dal punto di vista della società che del Sistema teatrale.

La mappatura in questo caso è strutturata attraverso alcune macro-aree tematiche (spettacoli e progetti, linguaggi, forme e servizi), ma l’intento, azzardiamo, è il medesimo: costruire memoria, edificare futuro.

 

 

Vien da pensare alla celebre frase attribuita a Gustav Mahler («La tradizione è custodia del fuoco, non culto delle ceneri») nel leggere gli appassionati e appassionanti ritratti che Bianchi ha dedicato a parti della sua sterminata cartografia sentimentale e intellettuale, che qui restituisce con sintetica esattezza.

Dire grazie, almeno.

DUE

Due sono anche gli spettacoli visti a Colpi di Scena, biennale di teatro per i ragazzi e i giovani, a cura di Accademia Perduta/Romagna Teatri e ATER Fondazione avvenuta a Forlì dal 17 al 20 giugno, che han sollevato una questione forse a volte sottovalutata: l’imprinting.

Il segno teatrale, qui inteso come materia che si consegna a qualcuno di molto giovane, può comportare la responsabilità di una prima volta, con tutti i derivati simbolici che tale accadimento contiene.

La materia dell’arte, si sa, è fatta di un cosa e di un come.

Nel caso di Bella, bellissima! di Accademia Perduta / Romagna Teatri e di Candido del Teatro Due Mondi il cosa e il come rappresentano un’alterità che la maestria della scena rende molto vicina.

 

Candido – ph Stefano Tedioli

 

Entrambe queste creazioni fanno del teatro una questione in primis di composizione.

Ritmica, innanzi tutto.

Di continue variazioni di timbro, intenzione e volume delle voci, giochi vocalici e controtempi, sospensioni e sincroni, rarefazioni e affondi.

Di in-tensione dei corpi (biologici, materici, sonori, luminosi), innestando questi elementi in una fabula che davanti agli occhi di chi guarda diviene materia.

O, per dirla con Deleuze, diviene un fatto.

È un’esperienza peculiare, ben diversa dalla fruizione televisiva e cinematografica in quanto si è tutte e tutti immersi matericamente in un medesimo luogo -il teatro- che, etimologicamente, origina sguardi e visioni.

Da questa prospettiva, i due spettacoli propongono un’esperienza complementare: là dove Bella, bellissima! cela i propri trucchi in favore di una costruzione di immaginario che fa dell’incanto il proprio veicolo e modo di incontro con l’infanzia, Candido manifesta i propri strumenti (due esempi fra molti: numerosi cambi d’abito a vista e alcuni siparietti di brechtiana memoria in cui, in proscenio, si sospende per qualche attimo la rappresentazione per condividere un’ esortante lettura politica del mondo).

Almeno un cenno sui registri linguistici di queste due creazioni, che con ironia e ricercatezza (e con sublimi giochi autosignificanti dal sapore dadaista, dai pensieri che pizzicano al tremare come un filosofo) consegnano al giovane pubblico un’esperienza certo piacevole ma al contempo impegnativa: in un mondo in cui la levitas è il principio regolatore di qualsivoglia apprezzamento (e ogni giorno vediamo gli effetti nefasti di tale annichilente pigrizia) ben vengano occasioni di approssimarsi a lingue e linguaggi non banali, densi, sapienti.

In sintesi -anche se a lungo si potrebbe e forse dovrebbe continuare a ragionare su questi due spettacoli solidi e utili come una sedia, un utensile, un attrezzo- l’intima alterità (se è consentito il paradosso) che offrono a chi li guarda è la possibilità di vivere un’esperienza pienamente teatrale -dunque afferente a un’arte con precise regole e codici specifici- che riesce a parlare a ogni persona proprio perché altra rispetto alla normale quotidianità.

 

Bella, bellissima! – ph Francesco Bondi

 

Occorre infine almeno nominare una questione di posizionamento: in un mondo ancora del tutto dominato dal maschilismo (basti pensare che nel sistema dello spettacolo dal vivo, in Italia, oltre il 70% di chi ha ruoli di potere è uomo, e paradossalmente la stessa percentuale è ribaltata in relazione a chi fruisce, dunque di fatto fa esistere, ciò che viene prodotto e fatto circuitare) Bella, bellissima! è scritto, diretto, interpretato e matericamente realizzato da donne. Candido, d’altra parte, è creato da un gruppo che da quasi cinquant’anni fa della coerenza etica e dell’impegno sociale e politico con e per tutte e tutti il cuore e il motore della propria azione, anche e soprattutto nelle molte periferie urbane e sociali del Pianeta.

Reinterpretare istanze, utopie, speranze: Alessandra Belledi aveva proprio ragione.

 

Alessandra Belledi

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