A Narni tutte le arti in scena pensando al Sogno

0
153
Francesco Montanari e Davide Sacco

Da cinque anni, a metà giugno, il piccolo e scenografico comune umbro di Narni si trasforma in un laboratorio di idee artistiche a cielo aperto, fucina e vulcano di proposte, pentola nella quale ribollono il teatro, la danza, i talk, i personaggi, la musica, gli incontri, l’arte di strada in un crogiolo di colori e parate, in un vortice di appuntamenti, dal tramonto all’alba, dove è bello naufragare e perdersi per poi scoprire un angolo di città nascosto, un artista che ci fa vibrare, parole che ci alleggeriscono e altre che ci fanno riflettere. La quinta edizione del Narni Città Teatro, per la direzione dell’attore Francesco Montanari e del regista Davide Sacco (con la direzione organizzativa puntale di Ilaria Ceci), dal titolo Sogni sospesi ci ha colpito più per le proposte collaterali, per quell’insieme di tessuto connettivo che ha reso il festival un impianto collaudato tra la ricerca e il godimento per gli occhi, tra la conferma e lo stupore. Piccoli grandi happening che hanno scaldato l’atmosfera tra queste pietre antiche.

 

 

Come ad esempio Saurus della compagnia tedesca Close Act, inquietanti e giganteschi dinosauri (tre performer con i trampoli) che si sono aggirati per i tre giorni della rassegna (14-16 giugno) camminando e urlando suoni gutturali preistorici per la via principale della cittadina, con il loro respiro affannato e denso, beccando le teste dei passanti come grandi e pericolose galline, ululando alla Luna. Costumi neri che di notte si illuminavano e luccicavano dando a questi tre animali usciti da Jurassic Park una connotazione antica e allo stesso tempo futuristica, un mix tra l’ancestrale e misterioso e un prossimo eventuale tempo con i riflessi dei costumi che ricordavano metalli e acciaio in una sorta di mix tra RobocopPredator e Terminator. I loro vagiti di caverna riecheggiavano rimbombando creando quel dolce panico, quel brivido che faceva sobbalzare. Altra iniziativa che ha accompagnato i giorni umbri sono state le tante nuvole soft appese come canne al vento nel progetto La tete dans les nouages (ideazione di Mikael Martins Afonso e Caroline Escaffre Faure) sparse per il paese, fumetti soffici dove poggiare i propri sogni, nubi bianche gonfie come zucchero filato al Luna Park dove infilare la testa e scordare il grigiore della realtà. Ancora sospensioni cariche di senso con Suspended State (a cura di Nele Azevedo) un’installazione con centinaia di donne di ghiaccio, statuette ibernate, appese, quasi impiccate, ricordando sia il femminicidio che il riscaldamento globale, e con le gocce, sciogliendosi, che cadendo a terra formavano un tappeto sonoro, come una clessidra, che faceva rimbalzare il tempo come lo scoccare impietoso dei secondi, il ticchettio dei minuti e dei giorni che abbiamo perduto per poter fare qualcosa di significativo per il clima, per il nostro Pianeta, per la nostra sopravvivenza. Che queste figure fossero a forma di donna non è certamente casuale: la Dea Terra dopotutto è Gea, l’origine di tutto; la Natura è femmina perché porta nuova vita. No Planet b.

 

 

Altra piccola ma succosa iniziativa è stata Worktable (idea di Kate McIntosh) un gioco interattivo dove mettersi in gioco. Nell’anticamera i partecipanti, singolarmente e individualmente, possono scegliere da ampi scaffali degli oggetti, quelli che più li attirano e li attraggono. E qui il concetto consumistico e capitalistico si infrange e ribalta: scegliamo e prendiamo qualcosa che ci piace, per forma, uso o colore, dopodiché ci dicono che dovremo distruggerlo. Sì, avete capito bene: con il nostro oggetto stretto nelle mani scendiamo giù nei bunker, nelle catacombe di un palazzo storico e qui sono state attrezzate delle stanze di tortura, per le cose ovviamente, dove, con a disposizione martelli, forbici, taglierini, scalpelli, piedi di porco e cacciaviti, dovremmo spezzare, torcere, ridurre a pezzetti o brandelli, sminuzzare e polverizzare la nostra scelta. Potevamo prendere dagli scaffali piatti o macchine giocattolo, vasi, pattini, racchette da tennis, lampadine, tazzine, una macchina fotografica, una mela, scarpe, carte, dischi, peluche, un binocolo, un mappamondo, una radio, conchiglie varie. Il gioco non è finito; dopo averlo scelto, dopo averlo rotto, mettiamo tutti i pezzi frammentati della nostra opera demolitrice e distruttrice su un vassoio, come fossimo al self service, e li portiamo in un’altra stanza. Qui sono posizionati i vassoi che contengono i pezzi rotti da altre persone che prima di noi hanno compiuto gli stessi gesti e lo stesso rituale. Adesso dobbiamo prendere un oggetto fratturato da qualcun altro e tentare di ricomporlo, con la colla, con lo scotch, con ago e filo, e ridargli nuova vita e linfa. Non è banalmente il mettere l’oro sulle crepe in stile vasi giapponesi per evidenziare la cicatrice invece che cancellarla ma bensì rimettere a posto i cocci di altre vite e situazioni, aiutare chi si è fatto male, chi ha sentito crack nella propria esistenza. L’importante sta proprio nel fatto che non rincolliamo i nostri pezzi ma quelli che qualcun altro ha prodotto, anche se non lo conosciamo. Come dice il saggio: Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso. Rinfrancante e stimolante.

 

 

Ed ancora Tra le nuvole de La Baracca dei Buffoni con le sue dame raffinate in bianco a volteggiare dentro grandi ombrelli che sembravano, ruotando su se stesse per le strade di Narni, grandi meduse galleggianti, sospese nel liquido amniotico, fluttuano come carillon, dame ottocentesche candide e velate a girare su un perno come dervisci ipnotizzanti.

 

 

Altro spettacolo che ci ha veramente colpito, per la freschezza dei quattro interpreti (Valentina Dalsigre CirilloClaudia GrassiJacopo RiccardiAgata Sala) e per i testi mai banali (di Matei Visniec), è stato REM Sogni Paradossali, un viaggio itinerante all’interno delle stanze di un monastero e camminando si incontrano vari tipi strani che si raccontano e ci fanno immergere in mondi strani, in esistenze al limite, in vite borderline. Nella prima stanza rimaniamo completamente al buio mentre ci viene esposta la memoria di un uomo e dei suoi animali, il rapporto stretto, viscerale con serpenti e rane, cani e gatti, tartarughe e cervi, topi e pappagalli, relazione talmente intensa e profonda da decidere, consapevolmente, di farsi mangiare, ingurgitare, ingoiare dalle stesse bestioline domestiche per diventare un tutt’uno con loro, con la Natura: il desiderio di sparire. La seconda narratrice ci porta dentro le pieghe di un racconto che ha tutto il sapore delle atmosfere post covid: in una società distopica, non siamo neanche troppo lontani, è stato inventato un cerchio magico (forse la casa, il chiudersi dentro le proprie convinzioni, il non avere contatto con l’esterno) all’interno del quale c’è la salvezza da ogni male. Tutti stanno da soli nel proprio cerchio, in silenzio, è un toccasana per la felicità perché lì dentro, in questo recinto virtuale istituzionalizzato e decodificato, non esiste discordia né conflitto, e la gente è serena. Talmente tranquilla che non sa più se si sta proteggendo dal fuori o se ne è prigioniera, se evita qualcosa o se si è autoreclusa perdendo i propri diritti di cittadino: la solitudine. Il terzo ci racconta dell’uomo-pattumiera ovvero di una persona la quale ogni giorno deve subire le angherie degli altri che lo vedono e lo considerano come un cestino, come un cassonetto contro il quale si possono gettare oggetti, sporcizia e ogni tipo di rifiuto: il senso di colpa e il sentirsi marginali. Il quarto pezzo, stipati in un bagno ricolmo di piccole paparelle gialle e sonanti, è l’allucinazione di un cavallo che segue costantemente il nostro antieroe: tra Pirandello e follia.

 

 

Altro delizioso spettacolo, semplice per fattura ma ben recitato, è Teresa Zum Zum con Franca Abategiovanni (regia Nadia Baldi, testo di Cesare Belsito) dove una donna aldomovariana, nel suo monologo partenopeo, sgrammaticato e squinternato, si reca dallo psicologo per raccontare i suoi drammi d’amore che si miscelano, inevitabilmente, con quelli esistenziali. Una popolana, ci ha ricordato Olivia di Braccio di Ferro, che parla di sesso senza averlo mai fatto, che si frequenta virtualmente con Faustino (non a caso San Faustino è il santo dei single, è il 15 febbraio, il giorno dopo San Valentino, quello degli innamorati) che non si sa se esiste o è soltanto frutto della sua fantasia e immaginazione e voglia d’essere amata. A livello di scrittura e atmosfere ci sono venuti in mente Manlio Santarelli e Annibale Ruccello, quella solitudine espansa, quella logorrea per nascondere il grande vuoto, il silenzio abbacinante.

.

Previous articleFernando Marchiori racconta il festival Scene di paglia
Next articleI Nirvana di Charles Peterson al Mazapegul
Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.