Eric Clapton a Lucca, la “strato” e l’umidità

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Il concerto di Eric Clapton a Lucca è stato un bel concerto, vissuto collettivamente come uno dei sui ultimi se non l’ultimo.
Complice la molta pioggia caduta nel pomeriggio, c’era un’umidità che si ammazzava coi bastoni e lui era imbacuccato come un vecchietto che esce in un piovoso pomeriggio di gennaio per fare la spesa.


Partono e i suoni (forse per l’umidità) sono orrendi, ma loro sapientemente allungano i primi due pezzi con “carriolate” di assoli per permettere ai fonici di rimediare.
Lui ha una Stratocaster dipinta come la bandiera della Palestina e la sa ancora far gemere come se fosse la loro prima estate al mare insieme.
Con l’acustica invece fa più fatica, le dita sui riff incespicano per un po’ fino al momento in cui decide di ritirarle ordinatamente dietro i contrafforti delle armoniche e degli arpeggi.
Poi riprende la Strato e ritorna a sciorinare pentatoniche blues come se avesse una febbre elettrica che gli percorre le vene.
Intorno a lui suonano dei marinai della musica che hanno visto ogni bestia mitologica di cui si racconta nelle bettole del porto più alcune altre di cui non hanno mai parlato a nessuno per timore che gli neghino un altro bicchiere.
Ognuno di loro potrebbe avere il comando di una propria nave, ma sanno che al suo fianco gli Dei del blues saranno sempre propizi.
Poi arriva “Cocaine” e saltano tutti gli schemi: la gente di ogni età in platea si alza dalle sedie e corre a ballare sotto il palco in una messa elettrificata e tarantolata, mentre lui ha di nuovo trent’anni e piega la sei corde come se fosse un fabbro-sciamano, e la sua ciurma sorride come un branco di gatti che hanno appena mangiato un’intera famiglia di canarini gialli.

Visto il 2 giugno 2024.

MASSIMILIANO BELLINI