Gabriele Lavia mette in scena la pazzia dell’uomo ridicolo di Dostoevskij

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foto Teatro Comunale Cesenatico

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“Mi dispiace terribilmente, ma questa sarà l’ultima volta che metterò in scena Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij. La memoria ormai inizia a cedere e nonostante conosca alla perfezione quest’opera, a causa dell’età che avanza, non me la sento più!”

Sabato 13 aprile al Teatro Comunale di Cesenatico sono stato spettatore dell’ultima rappresentazione di questo racconto di Dostoevskij, messo in scena numerose volte nel corso degli anni da Gabriele Lavia regista-attore di origini siciliane ma nato e cresciuto a Torino.

È stata una vera e propria festa, solenne e gioiosa. Un momento perfetto, che i presenti ricorderanno come esempio di bellezza senza tempo.

D’altronde Gabriele Lavia non ha di certo bisogno di presentazioni: 82 anni portati con leggerezza attraversa da sempre – vien da dire – i palcoscenici internazionali con poliedrica disinvoltura. Magnetico e ieratico,  il suo talento abbacinante e cristallino gli ha permesso, strada facendo, di sperimentare,  innovare e stravolgere il canovaccio a suo piacimento, senza mai dimenticare la regola aurea ossia che   “il teatro è la cosa più importante che l’uomo ha inventato, cioè raccontare l’uomo attraverso l’uomo davanti all’uomo”.

L’attore, suoi la regia, l’adattamento e la traduzione, vestito di nero, si sposta a piccoli passi, compie movimenti nervosi attorno ad una sedia, sua unica compagna di scena, mentre recita il monologo, disegnando così uno spazio circoscritto entro cui, gesticolando e toccandosi il volto, esprime la rabbia e lo sconforto del protagonista.

Nel libro Dostoevskij parla di amor proprio; parte dalla descrizione di un personaggio che ha una certa considerazione di sé: un uomo orgoglioso che non accetta di trovarsi inadeguato di fronte agli altri, per cui ogni cosa nel mondo gli risulta indifferente. Il testo descrive l’incertezza umana e porta in scena il dramma della corruzione moderna. L’opera narra di un sogno che il protagonista fa durante uno dei suoi momenti di profonda e tragica introversione. Colpito dalla indifferenza del mondo acquista una rivoltella con l’intenzione di suicidarsi. Una sera però, a seguito dell’incontro con una bambina che smuove qualcosa nel suo animo, torna a casa e dopo essersi addormentato giunge alla sua “visione della verità” grazie a un sogno che lo trasporta in un’età dell’oro che sembra governata dalla saggezza e dal bene comune, ma che poi viene contaminata dalla paura e dall’ indifferenza dell’uomo moderno.

 

foto Teatro Comunale Cesenatico

 

Grazie alla perfetta padronanza della scena e al superbo uso della voce, non amplificata, Lavia infonde un significato profondo e attuale al testo di Dostoevskij, trasferendolo emotivamente agli spettatori: dal 1887 a oggi il senso di fallimento e di sconfitta, l’insofferenza dell’essere umano è sempre la stessa. L’uomo è e sarà sempre vittima delle proprie insicurezze, perché il mondo che lo circonda è governato dalla violenza, dalla sopraffazione e dalla vanità.

Dostoevskij ci insegna che la ricchezza materiale e la sete di sottomettere il prossimo per puro gioco, per diletto, sono alcuni dei drammi dell’umanità, a cui nessuno può sottrarsi; il suicidio sembra essere l’unica via di salvezza. Ma è proprio quando tutto sembra perduto che giunge un barlume di speranza e di salvezza: sta a noi scorgerlo per rialzarci e dare un nuovo significato alle nostre vite.

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