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Credo si possa in tutta tranquillità affermare che Beatrice di Tenda, penultima opera di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani andata in scena al Teatro Carlo Felice di Genova nel nuovo allestimento, sulla edizione critica di Franco Piperno, curato dall’omonima Fondazione in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia, sia un limpido esempio di opera che va soprattutto se non esclusivamente cantata, nel senso che è stata concepita e creata per il Canto ed in cui la stessa partitura orchestrale, la drammaturgia della parola e quella scenica, lo scenario e la ‘recitazione’, sono essenziali certo ma sempre vassalle appunto del canto, in cui si realizza e fonde fino alla piena significatività il concepimento e il ‘parto’ estetico.
Infatti la narrazione è assai semplice, priva sostanzialmente di eventi e invece ricca di sentimenti scolpiti nel suono che tragicamente confliggono, mentre lo stesso libretto è una sorta di scheletro essenziale costruito più che sull’epica del racconto sulla reiterazione lirica della parola su cui poter esercitare le più ardite composizioni armoniche della voce, tra arie e cabalette che impongono improvvise digressioni significative attraverso le variazioni melodiche (e dunque di tonalità del sentimento), suggerendo in questo il giovane Giuseppe Verdi che forse ne fu in qualche maniera influenzato.
Ma non solo nella struttura musicale, anche nella scelta del soggetto, cinematograficamente inteso, utilizzato, magari oltre la stessa consapevolezza, da Vincenzo Bellini, e che il canto si incarica di far significativamente scivolare fin dentro il nostro animo, questa creazione è in qualche modo anticipatoria nel suo voler dire dello stato del tempo di allora e di quello attuale.
Lo è, purtroppo, nel rappresentare la più che attuale deformazione patriarcale del potere e del sentimento che si incarna nell’ipocrita e crudele Filippo avviato, con i suoi consapevoli e inconsapevoli sodàli, ad una sorta di femminicidio istituzionale, in quanto incapace di sopportare l’incorruttibile fermezza e dignità della consorte che, abbandonandolo man mano, lo smaschera ed inchioda alla sua perversità.
Un soggetto storicamente dato ma utilizzato efficacemente per trasfigurare i sentimenti psicologici, dalla gelosia di Agnese alla ingenuità di Orobello, dalla insensibilità di Filippo alla virtuosa fermezza e generosità (anche storica pare) di Beatrice, in valori universali e mimetici.
D’altra parte molti dicono che l’opera lirica nella sua invenzione italiana è stata la vera e profonda riproposizione del sentimento e del linguaggio del tragico alla maniera antica, inteso come conflitto insormontabile e irriducibile di sentimenti e di valori universali che nell’uomo vivono, e non soltanto nella compresenza rinnovata della ritualità del suono musicale, del movimento coreutico e del racconto, ma anche nella sua popolarità, come ben dissertava Massimo Bontempelli, quale vera espressione, dunque, dell’anima di un popolo e del suo tempo, quando riesce ad andare oltre il tempo.
Vi è poi anche un altro elemento linguistico della tragedia classica che nella Beatrice di Tenda è particolarmente evidente, ed è l’uso massiccio del Coro, non solo e non tanto per la sua quasi continua presenza in scena in tutta la sua forza e numerosità, ma soprattutto per la sua funzione scenica che, come nell’Atene del IV secolo, era deputata a raccontare gli eventi che accadono, o meglio sono già inesorabilmente accaduti, fuori scena e che in scena devono trovare elaborazione e catarsi.
Da qui anche la particolare struttura musicale, che l’ottima orchestrazione del bravo Riccardo Minasi valorizza a pieno; essa, infatti, appare una continua tessitura delle sonorità timbriche e ritmiche di ottoni e percussioni con gli slanci melodici degli archi, a costruire e rafforzare una trama abbastanza robusta da sostenere la suggestiva narrazione del canto, che si imprime su quella come un luminoso e illuminante ricamo.
Bene ha fatto, dunque, la regia di Italo Nunziata a mantenersi non invadente e misurato supporto, scegliendo una sorta di a-storicità universale, che le scene mobili di Emanuele Sinisi, simboliche quasi del carcerario deserto che circonda Beatrice ma anche i suoi Giudici, le luci espressioniste di Valerio Tiberi ed i costumi di Alessio Rosati, mantenuti con scelta felice uguali a se stessi per tutta l’opera ed anch’essi melange di tempi e luoghi diversi, confermano coerentemente.
Va da sé che un’opera così concepita e strutturata necessita di un grande cast vocale, e quello della prima lo è stato, a partire da Mattia Olivieri, un Filippo Maria Visconti protagonista, e forse quello con più tempo e presenza in scena, dalla voce forte, robusta ma di una limpidezza e chiarezza non sempre riscontrabile in un ‘basso’ di tale potenza.
La Beatrice di Tenda di Angela Meade, tra le più reputate interpreti internazionali del “Belcanto”, ci ha donato una voce assai melodiosa, capace di virtuosismi ma sempre attenta alla drammaticità della parola che naviga agevolmente dentro il suo canto, e che forse solo una volta, e per un attimo perde l’aggancio con la musica di Bellini. La Meade dà peraltro una interpretazione, per così dire, molto tradizionale di Beatrice, immota nella e della forza del suo sentire.
All’altezza tutti gli altri, dal più moderno soprano Carmela Remigio (Agnese del Maino) al dinamico tenore Francesco Demuro (il rivale Orombello), per finire con i più defilati Manuel Pierattelli (Anichino) e Giuliano Petouchoff (Rizzardo del Maino).
Ma in questo, più che in altri allestimenti del teatro genovese, può dispiegarsi pienamente la qualità di un coro, vera e propria voce della assemblea del popolo, che, diretto con maestria da Claudio Maria Moretti, credo non abbia molti eguali.
Un bell’allestimento, per concludere, che da piena ragione, in ogni suo aspetto, di un’opera complessa ma meno melodicamente belliniana di altre più note del suo repertorio, certamente non la più apprezzata e riproposta di Vincenzo Bellini ma in alcuni suoi passaggi, come detto, felicemente anticipatoria.
Alla prima del 15 marzo la consueta notevole, forse un po’ meno notevole del solito ad un titolo meno conosciuto di altri, confortante la presenza di tanti giovani, partecipazione con applausi a scena aperta e convinti nel finale.
Repliche previste in numero ridotto, con il medesimo cast ancora il 19 e 22 marzo.
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BEATRICE DI TENDA Dramma storico ambientato nella Milano del 1418. In scena in occasione di “Genova capitale del Medioevo 2024”. Tragedia lirica in due atti di Vincenzo Bellini, su libretto di Felice Romani. Personaggi e interpreti: Filippo Maria Visconti Mattia Olivieri, Beatrice di Tenda Angela Meade, Agnese del Maino Carmela Remigio, Orombello Francesco Demuro, Anichino Manuel Pierattelli, Rizzardo del Maino Giuliano Petouchoff. Maestro concertatore e direttore d’orchestra Riccardo Minasi. Regia Italo Nunziata. Regista collaboratore Danilo Rubeca. Scene Emanuele Sinisi. Costumi Alessio Rosati. Luci Valerio Tiberi. Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia. Orchestra, coro e tecnici dell’Opera Carlo Felice. Maestro del coro Claudio Marino Moretti.
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