Consigli di partecipazione: I rom d’Europa, lettura al cosmo di Ateliersi

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ph Andrea Mochi Sismondi

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Proseguo l’esperimento di una (per me) nuova modalità di restituzione.

Lo faccio recuperando la funzione che la critica aveva quando nacque, nel Settecento: farsi ponte tra le creazioni e il pubblico.

E, per chi scrive, assumere in sé l’onere del consiglio.

Nessuna analisi specifica, come sono invece solito fare nelle mie scritture: piuttosto mettermi al servizio di una creazione, a partire da un chiaro apprezzamento, da un esplicito posizionamento (cosa che cerco di non mettere mai in evidenza, nelle mie pubblicazioni più analitiche).

Qui scrivo con arbitraria soggettività, apodittica sintesi, smaccata partigianeria.

Buona lettura, se vi va.

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IL DEBORDARE DI UN GRANDE SILENZIO

La faccenda è controversa, ma c’è chi attribuisce a Marguerite Yourcenar una frase bellissima: «Ho sempre creduto che la musica fosse il debordare di un grande silenzio».

Bellissima.

Ed esatta per introdurre un’esperienza a cui ho assistito qualche giorno fa e che consiglio di incontrare, a Bologna e dintorni: un laboratorio annuale di lettura condivisa ad alta voce a cura del collettivo bolognese Ateliersi.

I rom d’Europa, è il titolo-tema.

Lettura al cosmo, è l’attitudine.

L’11 dicembre, è la data del prossimo incontro (info e calendario completo QUI).

L’incontro a cui ho assistito, il 27 novembre scorso ad Atelier Sì, ha alcuni elementi di interesse che voglio ora almeno nominare.

Il primo è, appunto, il silenzio.

Ho pensato alla Yourcenar, mentre guardavo.

E al Walter Benjamin delle Immagini di città, che quando raccontando di Marsiglia scrive «Ogni suono e ogni cosa hanno il proprio silenzio, come sulle alture a mezzogiorno c’è un silenzio dei galli, un silenzio dell’accetta, un silenzio dei grilli».

E, ancora, ho pensato a un libretto edito da Sellerio nell’89 che mi è capitato di leggere qualche tempo fa. L’arte di tacere, si intitolava. L’aveva scritto un abate settecentesco, tal Joseph Antoine Toussaint Dinouart: ecclesiastico mondano e poligrafo, si occupò soprattutto di donne (compresi rifacimenti di opere altrui che gli guadagnarono il titolo di Alessandro dei plagiari). Pubblicò nel 1749 un Trionfo del sesso a causa del quale entrò in grave attrito con la sua gerarchia.

Per dire: il silenzio non annichilisce alcunché.

È cosa viva, direbbe Chandra Candiani.

È danza, forse, prima e insieme alle parole.

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DANZA DI SILLABE

«Pronunciate le sillabe come primi passi di una danza che fate delicatamente».

E ancora: «Provate a sentire il movimento che le consonanti possono donare».

E ancora.

E ancora.

Dà indicazioni di senso e incoraggiamenti di poetica, non mere istruzioni su come leggere, Fiorenza Menni, nella grande sala tra legno e funi e incensi e musica barocca e un manipolo di corpi che un po’ alla volta si aggrovigliano sempre più.

«Create la possibilità che i corpi possano essere di riposo per altri corpi».

«Studiate la situazione e infilatevi».

Si coltiva, qui, un’attenzione sottile allo stare di biologie nello spazio condiviso, prima di prender parola.

Vi sono corpi che con precisa semplicità vengono invitati (o, molto meglio, posti nelle condizioni) di farsi sensibili, attenti.

Corpi di poesia, dunque etimologicamente in creazione. Creaturali.

«La poesia è un dono fatto agli attenti» diceva Paul Celan, uomo saggio.

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LETTURA AL COSMO

Vien da pensare alle origini rituali del teatro.

Al rito come forma di conoscenza: eccoci.

Al rito come tentativo di definire la condizione umana e i suoi rapporti col mondo: eccoci.

Al rito come iniziazione a uno stato altro: eccoci.

Al rito come celebrazione di un possibile noi: eccoci.

Non vi è un referente esterno, diverso da chi agisce, in questo fare.

Sì, è vero che lunedì 8 aprile prossimo, in occasione della Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti, vi sarà un reading finale.

Ma, a quanto ho visto, azzardo che non sia quell’occasione pubblica il punctum di questa avventura.

Un grande silenzio, scrivevo in apertura di questo consiglio: quel che precede il prender parola, qualunque essa sia, o almeno dovrebbe farlo.

Quello che circonda un tema scivoloso, un mondo scomodo, in cui Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi si son trovati e tuffati una quindicina di anni fa e che da allora nutre con andamento rizomatico il loro fare arte-in-vita.

Segnalo due strumenti per meglio conoscere questo loro affondo, attraverso altrettante scritture di Andrea Mochi Sismondi: un ampio articolo pubblicato su ANUAC – Rivista delle Società Italiana di Antropologia Culturale e il suo reportage narrativo in forma di libro Confini Diamanti. Viaggio ai margini d’Europa, ospiti dei rom (Edizioni ombre corte, 2012).

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ACCOGLIERE E ABBRACCIARE

Fiorenza Menni con delicata fermezza incoraggia senza posa a stare in una relazione viva con le persone presenti: dandosi il tempo di prender parola, guardandosi negli occhi, prendendosi cura delle altrui orecchie, percependo il corpo collettivo immobile e al contempo vibratile che dà voce a un testo che qui, come direbbe Jerzy Grotowski, funziona come trampolino.

Si intitola I rom d’Europa. Una storia moderna, il trampolino. E lo ha scritto Leonardo Piasere. Io non ci provo nemmeno, a fare il riassunto, non è certo questa la sede: leggete piuttosto QUI e QUI.

È una sorta di gruppo di studio incarnato, esperienziale, sotterraneo e splendente, ciò che sono andato a incontrare.

Un noi incarnato e battagliero.
Incarnato e battagliero e attento.

A fare con cura.
A decostruire stereotipi.
A dire e ascoltare.

Poi, è chiaro, mica è facile.

Perché son tre ore.
Perché arrivano alla fine di giornate che son spesso troppo, troppo lunghe per tuttə.
Perché mica ci siamo abituatə, a questa cura.

Delle parole e dei silenzi.
Delle comunità temporanee che attraversiamo.

Qui ci sono umani che, con semplice determinazione, ci provano.

«Fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto» ha scritto Andrea Zanzotto in un’amata poesia che, non a caso, si intitolava Al mondo.

E che, ancor meno a caso, era parte della raccolta La beltà.

Pubblicata, udite udite, nel 1968.

In quel caso, come in questo, si sta(va) a far la rivoluzione con la bellezza. E con le parole.

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PLAYGROUND

È un habitat, o meglio un campo da gioco, quello che vedo costituirsi tra corpi e pagine: con le sue regole connaturate, i suoi spazi, i suoi intrecci, i suoi guizzi, le sue stasi.

L’artista, qui, in pieno spirito avanguardistico è la persona che attiva percorsi estetici, dunque etimologicamente conoscitivi.

La persona che mette in moto azioni che solo la partecipazione del fruitore può portare a esistenza.

Due altri consigli di lettura, a tal proposito, su queste dinamiche co-creative tra artistə e chi fruisce le opere: il saggio seminale di Umberto Eco Opera aperta del 1962 (info QUI) e, molto più recente, il prezioso studio in cui Carmen Pedullà mette ordine tra le diverse forme di teatro partecipativo (info QUI).

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APERTURE

Ne nomino due, in chiusura di questo consiglio: una pubblica e una di struttura.

Prima apertura.

Ad ogni incontro sono presenti persone che portano testimonianze dirette, che offrono la condivisione di esperienze peculiari e spesso non immaginabili da chi non le vive. Lunedì scorso, ad esempio, era ospite una famiglia sinta.

Una donna luminosa e battagliera e i suoi tre figli adolescenti.

Alcuni racconti autobiografici della madre sono stati letti da due partecipanti al laboratorio.

Affidare le proprie precise parole ad altre persone, per di più sconosciute.

Farsene carico, incarnarle, rilanciarle con semplice cura.

Per come va il mondo, non è cosa da poco.

Seconda apertura.

Il progetto è realizzato con il finanziamento del Centro per il libro e la lettura, che lo rende possibile e gratuito.

Per come va il mondo, non è cosa da poco.

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Sempre di più e più spesso, mi dico e dico, ciò che è vivo e vivifica, nei molti mondi del teatro, è sideralmente distante dai velluti, dai premi, dalle mode.

Il resto quasi sempre è faccenda di élite, snobberie, conventicole: convenienze private pagate con soldi pubblici.

Viva il teatro vivo, quando è tale: a rendere più esigente di vita la vita di ciascunə.

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