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É pieno di gente che cammina, sosta, guarda, chiacchiera, canta, invadendo le strade della città per il Lucca Comics & Games. Il tempo è incerto, il cielo brontola e ogni tanto scende qualche lacrima di pioggia.
Il clima è quello giusto per chiudersi in casa, sotto le coperte, con una bella storia da leggere o guardare.
Sono molto lontano da casa, ma sono al Teatro del Giglio dove la storia c’è e le coperte anche. Sono qui per il debutto di Blankets (in italiano “Coperte”), il primo adattamento teatrale della graphic novel (romanzo a fumetti) autobiografica di Craig Thompson.
Blankets è un’opera che ha goduto di un successo enorme. Vuoi per la grande capacità narrativa di Thompson, molto bravo a gestire il ritmo della pagina, del capitolo e della storia. Vuoi per i disegni, dal tratto che ricorda un po’ quello di Will Eisner. Forse, soprattutto, per la storia in sè, per quello di cui parla. In Blankets infatti Thompson racconta del suo primo amore, per intero, dall’inizio alla fine dell’infatuazione, senza censure. Nell’esperienza del protagonista, adolescente, insicuro, sorpreso da un sentimento sconosciuto, alle prese con i problemi della crescita, delle responsabilità, della vocazione, è facile che ogni lettore ritrovi qualcosa di sé.
A portarla in scena questa sera sono i registi Cataldo Russo e Francesco Niccolini, anche autore del testo.
In un primo dialogo con l’autore, durante il periodo di prove dello spettacolo, mi era stata comunicata la volontà di riportare con fedeltà l’opera originale, per non tradire la sua delicatezza. Mentre assisto alla messa in scena mi rendo conto di come questo intento sia stato perseguito con la massima attenzione. Il testo del fumetto è riportato quasi parola per parola, pur con le sintesi del caso, e un grandissimo numero di disegni sono portati in scena, proiettati tal quali, con piccole e trascurabili animazioni.
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Lo spettacolo aderisce veramente tanto alla graphic novel. Ne è quasi la copia carbone, scevra da interpretazioni, aggiustamenti, riscritture.
In scena ci sono un divano bianco e un letto matrimoniale, due punti focali ai due angoli dello spazio scenico.
Davanti a questi si trova l’attore protagonista.
Dietro, l’enorme tela bianca su cui vengono proiettate le tavole del fumetto, la cui successione segue passo per passo i discorsi dei personaggi e presenta alla vista ciò che le loro parole raccontano.
È tutto molto semplice, schematizzato in pochi elementi, voluminosi, statuari, con un loro spazio dedicato, come le vignette nel loro riquadro in una classica tavola a fumetti.
E, come nei fumetti, buona parte dello spazio è riempito dalla parola, che procede a descrivere e ricordare, come una didascalia, e ad animare col dialogo, come in un balloon.
Qui forse c’è una prima differenza rispetto all’opera di Thompson, dove il flusso di pensieri è interrotto ogni tanto da tavole “mute”. Nello spettacolo infatti la parola è un accompagnamento quasi ininiterrotto, come un discorso unico che prosegue per tutto lo spettacolo.
A portarlo avanti è Davide Paciolla, che interpreta il giovane Craig Thompson ed è, allo stesso tempo, voce del Craig autore, quella delle didascalie, che ricorda e rievoca, e voce del Craig personaggio-attore, che vive in prima persona le situazioni e interagisce con gli altri. Il suo tono è dimesso, incerto, in contrasto con gli altri due personaggi in scena: Raina e suo fratello Ben.
Raina, giovane, irrequieta, è interpretata da Valentina Bartolo con grande energia. E’ lei a portare gli accenti, le interiezioni, il dialogo, che accendono il discorso.
Al contrario Ben, Manuel Ricci, porta le sue battute come punti. Brevi, rarefatte, scandite, ma soprattutto forti, da non ammettere repliche. Il suo personaggio è la sintesi di due diverse figure della graphic novel: Ben e Laura, entrambi affetti da sindrome di down, come anche l’attore Manuel Ricci.
È proprio il lavoro con gli attori, probabilmente, il cuore di questo spettacolo.
Lo si percepisce nel tono e nello sguardo un po’ commosso di Davide e Valentina al termine della prima e nel sorriso entusiasta di Manuel, che mi ha raccontato tutto lo studio e la fatica delle prove. Circa due settimane in cui si è confrontato con un personaggio difficile, che lo ha portato a riflettere e interrogarsi sulla propria esperienza di vita.
La storia di Thompson, che racconta l’amore e la perdita, arriva e parla quasi a tutti, facendo affiorare i ricordi. È successo agli attori, ma ho sentito anche molti commenti del pubblico, che si è sentito colpito da una certa nostalgia, soprattutto chi non conosceva già l’opera originale.
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Blankets è un fumetto fatto di grandi immagini e di grandi discorsi. E lo spettacolo lo segue in questa direzione: tante immagini (mi riferisco al grande numero di tavole originali, proiettate sul grande schermo bianco) e tante parole, che le seguono, aderiscono ai disegni, li raccontano e li descrivono.
Fa eccezione un momento: quello della notte d’amore tra i due protagonisti, in cui non è la proiezione di disegni a riempire la scena ma la neve finta della macchina teatrale, che scende leggera sul palco. Il teatro rispolvera i suoi effetti speciali e porta, in maniera molto concreta, qualcosa in più alla storia. Esce per un momento da un contesto in cui tutto sembra dover essere multimediale e ci ricorda che ogni mezzo artistico ha un suo linguaggio, una sua tecnica, e alcune specifiche potenzialità formali e comunicative.
Nel contesto di un festival dedicato al fumetto, al gioco (video e non), e al cinema, che sfornano prodotti sempre più domestici e fruibili individualmente, l’iniziativa del Teatro del Giglio ribadisce, con delicatezza, l’importanza del teatro come luogo d’incontro e di condivisione di esperienze e/o di emozioni, che può benissimo rimpiazzare qualche serata sotto le coperte a casa.
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