Claudio Sanna è un futurista, un lavoro molto poco noto che ricorda più il mondo della fantascienza che quello dell’università. Lavora presso la Financial Conduct Authority, l’ente che regola i mercati finanziari in Inghilterra (la Consob inglese). In precedenza ha lavorato per il Copenhagen Institute for Future Studies e l’Imperial College di Londra.
In Inghilterra come nella maggior parte dei paesi occidentali, ci sono ambiti accademici che si occupano di “foresight”, o “future studies”, teorizzando i possibili scenari verso i quali ci stiamo dirigendo.
Lo abbiamo intervistato per riflettere sul rapporto uomo, tecnologia e tempo, sui risvolti sociali della diffusione di invenzioni come l’Intelligenza artificiale, i cibi sintetici e i computer quantistici.
Per provare a parlare di futuro credo sia necessario uscire da una prospettiva lineare del tempo. Quanto, secondo te, il futuro è già nel nostro presente?
William Gibson diceva che il futuro è già qui, solo che non è equamente distribuito. I cambiamenti avvengono spesso ai margini della società, e serve tempo affinché entrino a far parte della realtà di tutti. Facciamo molta fatica a immaginare qualcosa che non stia già accadendo perché siamo abituati a ragionare con una mentalità a breve termine. Abitiamo ciò che conosciamo, eppure molti segnali dal futuro sono già qui con noi. Il futuro è una zona oscura abitata da possibilità, è un’area del presente non ancora esplorata. Ci concentriamo di più a studiare l’origine dell’universo, piuttosto che ipotizzare quale possa essere la sua fine. Il futuro, per come lo si studia nel mio campo, è un paesaggio psicologico. Non avviene, ma viene creato. Senza gli strumenti mentali adatti per comprenderlo, tuttavia, non possiamo agire su di esso, ma ne subiamo le conseguenze e ci ritroviamo nel futuro immaginato da altri.
Da anni ti occupi di foresight. È un campo completamente sconosciuto ai più. Puoi spiegare di cosa si tratta?
È un campo enorme, che ha avuto inizio negli anni ‘60 come strumento strategico in ambito commerciale. In quegli anni la Shell stava pianificando gli scenari di estrazione petrolifera per gli anni successivi. Creò un metodo, lo “scenario planning”, con cui riuscì ad anticipare la crisi del petrolio degli anni ‘70 e questo permise all’azienda di non fallire. La maggior parte delle aziende tende a pensare al futuro come una continuazione del presente, privo di cambiamenti radicali. Questo è il motivo per cui sono crollati colossi come Blockbuster o Nokia. La Nokia non vedeva Apple come un competitor (in quanto produceva computer, non cellulari) e non si rese conto della rivoluzione che stava arrivando anche se già nel 2005 Apple aveva depositato centinaia di brevetti per l’Iphone. Non aveva prefigurato la possibile convergenza tra telefonia, internet e computazione. Lo stesso accadde a Blockbuster: vendeva videocassette, poi DVD. Il futuro che teorizzava poteva prevedere un DVD più piccolo ed evoluto, ma non il fatto che il servizio di film sarebbe potuto passare in streaming perché in quel momento la tecnologia di internet era scadente e nessuno aveva una buona connessione a casa. Ecco, a questo servono i future studies, almeno a livello commerciale: sono uno strumento strategico per anticipare il cambiamento e prepararsi ad esso. Se parliamo di oggi possiamo pensare, ad esempio, al mondo dei semiconduttori. Come possiamo immaginare il settore informatico se si dovessero inasprire ulteriormente le relazioni tra Cina e Taiwan e non ci fossero materiali per sviluppare i componenti elettronici? Questi sono i segnali che si analizzano nel mio campo. Si cercano situazioni critiche con un enorme impatto potenziale e si creano tanti scenari diversi per mappare tutte le possibilità e creare strategie di innovazione e adattamento.
Negli ultimi decenni il nostro rapporto con il futuro sembra essere completamente cambiato. Lo vediamo, ad esempio, anche nell’enorme produzione di fantascienza in letteratura e nel cinema.
Non ci rendiamo conto di quanto l’evoluzione ci stia cambiando e abbia cambiato il nostro concetto di futuro e di realtà. La tecnologia è il risultato del nostro tentativo di colmare il divario tra sogno e realtà, tra il desiderio di volare e la realizzazione di un aeroplano. La più grande scoperta che ha modificato il nostro rapporto con il futuro migliaia di anni fa è stata quella dei cicli naturali. Prima di allora ci svegliavamo, andavamo a cacciare o raccogliere bacche, e il giorno dopo facevamo la stessa cosa. Non avevamo un concetto del domani tale da permetterci di pianificare o immaginare. Quando abbiamo scoperto i cicli naturali (ciclo lunare, ciclo delle stagioni, ecc.) abbiamo iniziato a pensare che il futuro fosse un ripetersi di eventi. E in effetti, se pensiamo a cinquecento anni fa, il trascorrere di cento anni non modificava profondamente la realtà: i vestiti erano uguali, i carri erano uguali, le spade erano uguali.
Invece con la rivoluzione industriale il concetto di futuro cambia radicalmente, e lo fa di pari passo alla tecnologia. Abbiamo cominciato a pensare alla realtà come un progresso, un sogno alchemico di trasformazione del piombo in oro, dell’inutile in utile. Abbiamo iniziato a creare valore dal nulla, a modificare la materia per ottenere quello che volevamo. E questo negli ultimi cinquanta anni è ancora più incredibile perché ci ha portato a non sapere minimamente dove saremo tra dieci. Siamo già nel tempo della biologia sintetica, nella possibilità di manipolare i feti in modo che i nostri figli abbiano particolari caratteristiche. Siamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale. La natura umana cambierà completamente, ed è una cosa per cui non siamo minimamente pronti.
Forse la grande differenza rispetto al passato è il passaggio da una tecnologia che ci facilita la vita (penso alla macchina a vapore o agli elettrodomestici) a un’altra che modifica il rapporto dell’uomo con se stesso, e dunque con la vita.
Vero. Prima il sogno era alleviare la fatica, ora il sogno è avere il controllo totale sulla natura. Già l’idea di creare un’IA è qualcosa di incredibile perché, comunque la si veda, significa che abbiamo creato qualcosa di completamente nuovo e di assolutamente alieno. Il discorso della biologia sintetica è proprio quello: se riusciamo a programmare i nostri geni per esprimere caratteristiche nuove oltre a quelle previste dalla natura e avere il controllo su di essa stiamo arrivando a un livello superiore di azione sulla realtà, qualcosa di completamente inesplorato. Non si tratta più di conoscere e manipolare la realtà, ma di controllarla e modificarla a piacere. Stiamo arrivando al livello che Harari definisce “homo deus”.
Si parla di ricreare animali estinti o nuove specie animali, oppure di ibridare l’homo sapiens con il Neanderthal. Si parla di cibi sintetici e uteri artificiali esterni al corpo, solo per fare qualche esempio. Sono cose realmente possibili?
Sono tutte cose tecnicamente possibili già adesso. Non si stanno portando avanti e sperimentando semplicemente per via delle regolamentazioni e di un discorso etico. In fondo selezionare solo i migliori della società e creare una razza superiore è lo stesso principio eugenetico dei nazisti. Però ci sono paesi, come la Cina, in cui le regolamentazioni sono molto più blande. Qualche anno fa, ad esempio, hanno cercato di modificare geneticamente due bambini per renderli resistenti all’HIV. Il risultato è che hanno creato dei bambini più intelligenti. Questo per dire che in paesi in cui non c’è una regolamentazione particolarmente stretta non sai nemmeno dove sono già adesso.
Al di là delle questioni etiche, che sono evidenti, quali pensi possano essere le implicazioni sociali?
Questa tecnologia, almeno inizialmente, sarà nelle mani dei più ricchi, e quindi porterà a enormi divisioni sociali. Le persone più abbienti potranno fare queste cose, che costeranno tantissimo, e magari le faranno nei paesi dove non ci sono particolari regolamentazioni. Ci saranno quindi persone che potranno creare bambini super intelligenti, immuni a certe malattie o con super capacità sensoriali, e che ipoteticamente avranno più successo degli altri. Ci saranno persone che avranno accesso a tecnologie che invertono l’invecchiamento, su cui si stanno investendo enormi capitali. Per fare un esempio molto banale, pensa al fatto che magari tra dieci anni avremo tutti la macchina senza conducente. La domanda è: quante abilità rischiamo di perdere? E come cambierà il nostro processo di apprendimento delle cose e della realtà? Già oggi ci sono tante discussioni su come l’uso del cellulare e l’accesso a qualsiasi informazione stia facendo degradare la memoria e la capacità intellettiva dei bambini.
Rimane il grande tema dell’IA, un tema che probabilmente non abbiamo compreso a pieno.
L’IA pensa in maniera diversa, fa connessioni in maniera diversa. Facciamo un esempio: facciamo finta che la nostra intelligenza arrivi a un massimo di 180 QI (anche se sappiamo che il QI non è un misuratore di intelligenza, ma è solo per capirci). Con un QI di 180 possiamo arrivare a una certa comprensione del mondo, in cui non riusciamo neanche a immaginare la realtà a quattro dimensioni, per dire, perché è troppo difficile. Alcune teorie fisiche dicono che la realtà abbia undici dimensioni. Certe teorie ipotizzano che avere accesso alla quarta dimensione significherebbe poter esplorare liberamente passato, presente e futuro (ricordi il tesseratto nel buco nero di Interstellar?). La quinta dimensione, invece, sarebbe uno spazio che contiene ogni possibile stato parallelo dell’universo dopo il big bang, dove ogni probabilità può essere esplorata e il concetto di causalità non esiste più. Ti immagini esplorare un mondo in cui i dinosauri non si sono mai estinti? Ovviamente queste sono tutte speculazioni, ma contenute nell’ambito delle possibilità matematiche, come la teoria degli universi paralleli di Hugh Everett. Il punto è che ci sono frontiere del pensiero umano che sono davvero difficili da comprendere e immaginare. Prima di accettare la teoria della relatività di Einstein ci sono voluti decenni, mentre è da cento anni che cerchiamo di comprendere la meccanica quantistica. Dove potremmo arrivare se riuscissimo a modificare il nostro DNA per arrivare a un QI di 1000, ad esempio? Come percepiremmo la realtà? Cosa significherebbe essere umani? Nel momento in cui usiamo l’IA per scoprire nuove cose, è facile che essa possa scoprire qualcosa di nuovo che non siamo nemmeno in grado di comprendere perché il nostro livello di intelligenza o immaginazione non ce lo permette. Siamo pronti a vivere in un mondo che non possiamo più comprendere? In un certo senso ChatGPT è già più intelligente di noi perché è in grado di spiegare un concetto di fisica quantistica in dieci secondi, cosa che quasi nessun umano è in grado di fare. Chissà dove sarà arrivata tra qualche anno…
Ecco. Secondo te quanti anni ci vorranno per vedere queste cose nella nostra vita quotidiana?
Quando sono arrivato all’Imperial College, nel 2020, abbiamo mappato il futuro dell’IA e non abbiamo assolutamente predetto che due anni dopo sarebbe arrivato ChatGPT, per farti un esempio. Questo mi ha fatto pensare tantissimo, perché tra due anni potrebbe esserci una rivoluzione che non riusciamo neanche a immaginare. In Italia è appena arrivato il 5G, ma in ambienti accademici si parla già di 6G e di come la rete cellulare possa trasmettere energia oltre che informazione. Tra meno di dieci anni la maggior parte dei dispositivi tecnologici potrebbe non avere più una batteria. Gli ologrammi stile Star Wars potrebbero diventare una banale realtà quotidiana e gli avatar dei nostri manager potrebbero invadere la nostra casa durante lo smart working. Ora, ad esempio, si parla molto di Post-quantum criptography. Tutti i sistemi di crittografia attuali sono basati su una tecnologia che al momento viene considerata sicura, ma pare che non lo sarà più con l’avvento dei computer quantistici. Per questo motivo c’è chi propone di far passare sin da subito il sistema finanziario a questi nuovi sistemi, altrimenti la gente potrebbe rubare dati oggi e decriptarli in futuro quando arriveranno i computer quantistici. Stiamo parlando di tutti i dati di tutto il mondo. Fino a poco tempo fa si pensava che questa tecnologia sarebbe arrivata nel 2040, o nel 2050. Ora si prevede che arriverà nel 2028, ma ovviamente potrebbe arrivare anche prima.
Per rispondere alla tua domanda, secondo me entro massimo dieci anni avremo computer quantistici che possono risolvere la fotosintesi (quindi potremo creare pannelli fotovoltaici organici che assorbono il 99% di energia solare, per farti un esempio), potremo scoprire nuove medicine e nuovi materiali che al momento non esistono. Potremo fare di tutto. Per questo, secondo me, il mondo del 2030 sarà un mondo molto diverso dal nostro. Il punto è che potrebbe essere abitato da uno 0,1% della popolazione che avrà accesso alla tecnologia del futuro (l’interfaccia neurale, ad esempio, che crea una comunicazione diretta tra cervello e computer), e un 99,9% che vivrà “solamente” con la tecnologia che conosciamo oggi.