L’impeto di incominciare le cose. Catalysi, il festival “principiante” delle arti performative

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Noam Sandel, foto di Amit Mann

Dal pomeriggio alla notte di sabato 30 settembre a Cesena, un flusso continuo di appuntamenti performativi attraverserà gli spazi del Teatro Comandini e Arena San Biagio in occasione di Catalysi, il festival di arti sceniche prodotto da Socìetas, nato da un’idea di Claudia Castellucci e dallo scorso anno a cura di Guillermo de Cabanyes. L’attenzione della rassegna, che quest’anno conta 15 compagnie, è rivolta a creatori che operano nei recessi del sistema e ad artisti principianti, non importa di quale età anagrafica, dando così al festival un originale tratto intergenerazionale.

Quando e da quale urgenza nasce Festival Catalysi?

Claudia Castellucci: È la trasformazione di una serie di esperienze buone e fallite. Ci è capitato e ci capita di incontrare molte artiste/i, con cui discutiamo, dopo che esse/i manifestano la messa in prova delle loro idee nel nostro teatro, il Teatro Comandini, un luogo veramente comunale. Questi artiste/i si trovano fuori dal sistema dell’agibilità, dei teatri e dei festival, perché sono principianti –vecchi o giovani, ma principianti. Essi, nonostante dure difficoltà, continuano a creare. Ma questo non può durare a lungo, senza alcuna manifestazione.

Catalysi nacque come una residenza scolastica, dedicata precisamente a un/a artista che avrebbe creato un proprio lavoro e catalizzato –da qui il nome Catalysi– una serie di incontri di studi sulle sue idee e le sue tracce. Ma questo non ha funzionato, finché abbiamo immaginato una forma sistematica, la quale però, fedele al doppio principio della fiducia che abbiamo verso gli impulsi iniziali della creazione e dell’azione di “catalisi” di due o più elementi, ha indirizzato tutti i nostri sforzi verso la formula del festival. Abbiamo scientemente utilizzato questo termine popolaresco, perché in fondo la catalisi che più ci interessa, a livello di base, è il contrasto tra mondo sommerso degli artiste/i isolati, e il mondo indistinto e grezzo della folla. Vogliamo essere messi in questione da entrambi i mondi. Catalysi si situa nel mezzo. Dell’idea iniziale è rimasta comunque la residenza di un/a artista che crea un lavoro che poi debutta al Festival.

La ‘catalisi’, in chimica, è un fenomeno che, data una sostanza chiamata “catalizzatore”, varia la velocità di reazione dei reagenti senza entrare a far parte della composizione dei prodotti finali e senza variare l’equilibrio della reazione stessa. Perché questo titolo e come si declina nel senso del progetto Catalysi?

Claudia: Il nostro intendimento, con un nome così, era vagamente associato al contrasto: tra l’essere isolati e sconosciuti, e far parte di un Festival che porta alla luce le idee sommerse; contrasto tra una sorta di club raffinato –come è il teatro interessante– e una folla indiscriminata. La definizione esatta di Catalysi che hai riportato va bene anche per il Festival, ma l’avevamo scelta per la sua eufonia e icasticità nominale, rafforzata dalla ipsilon greca originaria, più che per una chiara spiegazione cui aderire simpaticamente.

Parliamo di festival, ma tutto avviene il 30 settembre, tra il pomeriggio e la notte fonda, quasi fosse il tempo di un’eclissi… Perché questa scelta “drammaturgica” e come sarà strutturata, quali gli appuntamenti?

Guillermo de Cabanyes: La scelta di fare solo un giorno è stata dettata soprattutto da una mancanza di fondi. Il Festival Catalysi 2023 sarà un atto unico –di resistenza– senza intervallo: dalle 17.00 due performance installative in contemporanea; poi, dalle 20.00, senza soluzione di continuità, cinque performance, un dialogo audiovisivo, videoproiezioni e musica fino a notte fonda.

Catalysi ricerca «l’arte nascente e nascosta e la porta alla luce». Dove andate a incontrare questo sottobosco e come scegliete i progetti?

Guillermo: Da una parte è stato diramato un invito a catena per la ricerca di progetti (non viene richiesto nient’altro che titolo e descrizione e, al di là di ogni biografia o lavori precedenti, l’incontro è con l’opera che in quel momento viene proposta e in un dialogo con l’artista per il suo allestimento nei luoghi del Festival); dall’altra parte c’è un’attenzione costante a ciò che emerge. Un lavoro lungo e difficile. Sicuramente mi sfuggono tante cose ma c’è un tentativo ostinato di portare avanti questa ricerca.

Chi sono questi ‘nascosti’ e perché lo sono? Come stanno e cosa significa nel concreto “portarli alla luce”?

Guillermo: Non vorrei che venisse frainteso questo tentativo di “portare alle luce” ciò che si muove nei recessi del sistema artistico contemporaneo. Io non mi faccio portatore di nessuna scoperta o promozione della novità a tutti i costi. C’è una difficoltà concreta e materiale nel manifestare l’arte, soprattutto, per quelle artiste/i che non hanno un nome (coloro che sperimentano nell’ombra). Non solo giovani bensì anche artiste/i che non producono in continuazione dietro alla frenesia istituzionale e alle esigenze di ricambio del mercato. In più, mancano gli spazi per mettere alla prova le spinte e gli impeti artistici che hanno bisogno di un luogo fisico per esistere, contemplando anche la possibilità del fallimento. È chiaro che non siamo gli unici che riescono a intercettare certe proposte. Ma il punto di Catalysi, forse, è proprio il sostare ostinatamente su questo, dedicandovi l’intero progetto.

Barokthegreat-L’attacco del Clone, foto di Lester Aerola

Quali sono i rischi a cui prestare attenzione in questa “fuoriuscita dal buio” e quali azioni mette in campo Catalysi in questo senso?

Guillermo: Il rischio risiede nel formato stesso di Festival. C’è un dialogo all’interno del gruppo di lavoro di Catalysi su questo: componiamo un palinsesto – per uno o tre giorni che siano – per l’emersione di alcuni lavori, ma poi queste artiste/i sono di nuovo nella precarietà, abbandonate/i a una ricerca di luoghi in cui investire il tempo necessario dello studio e della ricerca. Il rischio è che questi lavori si presentino come esplosioni che brillano per una notte e poi spariscono. Catalysi in questo momento non riesce a risolvere questa situazione complessa, perché è una questione più grande, che riguarda il sistema di sostegno e produzione artistica in cui pure Catalysi è parte debole. Così, per rispondere al bisogno di una continuità, abbiamo scelto di chiamare in residenza per il secondo anno la stessa artista, Stefania Rovatti, nel tentativo di sostenere in modo non episodico il suo lavoro e la sua ricerca. È chiaro che non basta e il problema non è risolvibile da una singola realtà.

Catalysi non è dunque solo il festival ma anche un progetto di residenze. Come sono pensate e a quali esigenze vanno incontro?

Claudia: La nostra idea di residenza è legata a un contesto di studio e di discussione. Per questo, intorno alla presenza di artiste/i in prova al Comandini abbiamo creato gruppi di osservazione e analisi critica, come il gruppo di studio tenuto da Carla Bottiglieri e Nina Rovera, nel Festival Catalysi di quest’anno, che si interesseranno del lavoro dell’artista residente, appunto, Stefania Rovatti, della Compagnia Cospicua. La sua residenza, tra l’altro, è parte di un contesto internazionale di festival e residenze internazionali.

Quali sono le prospettive e gli auspici futuri?

Claudia: Rafforzare il Festival economicamente è categorico se si vuole continuare a farlo a Cesena. Socìetas non può assolutamente sostenere un impegno così ingente e impegnativo. Quest’anno poi, per una serie di ragioni – su cui ora non val la pena di recriminare – siamo rimasti completamente a piedi, da parte del Comune di Cesena, che ha omesso in toto il proprio contributo al Festival. Questa è la principale ragione della durata di un solo giorno del Festival. Infatti, questa minima durata è assurda per la grande macchina che si mette in moto, ma non avevamo la possibilità di estenderlo a uno o due giorni in più. Abbiamo fatto di necessità virtù. Ma questo motto è estremamente vacillante… Si fa presto a sfracellarsi con le necessità e con le virtù, specie quando una condizione diventa un condizionamento sistematico.
La scelta era: o rimandarlo, o ridurlo o trasferirlo in altre città. Ci ha salvati in extremis la Regione Emilia-Romagna, riconoscendo il nostro impegno radicato e radicale, nell’arco dell’anno, qui, a Cesena, la nostra città.

Per il programma completo > Catalysi Festival 2023