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Presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2022, è da qualche tempo nelle sale italiane Animali Selvatici film di quello stesso anno in coproduzione tra Romania, Francia e Belgio del regista rumeno Cristian Mungiu, già ben apprezzato dalla critica europea.
È, al primo sguardo, una acuta, feroce e anche dolorosa indagine sull’anima, forse ancora non del tutto perduta, dell’Europa, condotta, come su un vetrino al microscopio, in un suo luogo apparentemente piccolo ed in un suo tempo apparentemente ristretto, la Transilvania rumena da sempre fornace di esplosive fusioni etniche, ma proprio per questo capace di metaforicamente rappresentare l’intero nostro “Vecchio Continente”.
Un luogo periferico e però parte di un tutto e come questo tutto costretto a contenere inevitabilmente, del resto l’etimologia del sostantivo Continente nasce dal verbo latino continere cioè “tenere assieme”, pulsioni e tensioni che cercano un loro equilibrio e quando non lo trovano virano in esplosioni di violenza, talora incontrollata e cieca in quanto incapace di riconoscere sé stessa e le sue motivazioni.
Un luogo dunque in cui precipita molto di ciò che ci riguarda, dal punto di vista sociale e politico, come cittadini di una Europa che si immagina unita ma ancora non ci si ritrova (intimamente unita intendo).
Ma non è solo o soprattutto questo, è anche il racconto di una individualità che in quelle tensioni si è come perduta, la storia di uno sradicamento da sé di cui l’ambiente è l’occasione, nel non più equilibrato rispecchiarsi di ciò che siamo in ciò in cui siamo, ma la spinta è molto più profonda e riguarda la condizione umana ed esistenziale ed i suoi difficili e sempre più ostacolati rapporti tra il mondo dei suoi sentimenti e il mondo della socialità.
Un emigrato in Germania torna al suo villaggio in Transilvania in cui convivono in instabile equilibrio una comunità rumena, una ungherese ed una tedesca, esito di più grandi rivolgimenti della Storia. Alle spalle la cacciata della piccola comunità Rom non accettata da sempre.
Una fabbrica di panificazione, che vuole svilupparsi con i fondi UE, assume tre immigrati dello Sri Lanka e quell’equilibrio precario implode nello sciovinismo e nel razzismo che assume le forme che sempre assume in ogni parte della terra.
Dentro tutto ciò, quasi a rispecchiarsi ed esserne rispecchiato, l’emigrato Matthias cerca di recuperare sé stesso dentro i rapporti complessi e controversi con la moglie, il figlio e il padre malato e anche con la sua ex amante.
Sull’immediato orizzonte di quei boschi e quelle antiche montagne, parte stessa dell’antropologia che va dissolvendosi di quei luoghi e di quegli abitanti, antiche leggende di orsi che vivono ormai in riti tra il sogno e la realtà.
Un equilibrio altrettanto instabile, quello tra il desiderio di tornare alla natura del passato e quello invece di uscire da antiche povertà verso nuove e forse illusorie speranze, un equilibrio, nel film rappresentato dallo studioso mandato dalla UE a censire la popolazione di quegli stessi orsi, in cui anche le spinte ecologiste non sanno spesso ritagliarsi una immagine coerente ovvero profondamente convincente.
In questo ricorda altre produzioni recenti, come ad esempio As Bestas di Rodrigo Sorogoyen oppure Piccolo Corpo di Laura Samani, e, insieme ad altre, è apprezzabile questa rinnovata attenzione, quasi una rinascenza, di molti giovani intellettuali verso le tendenze, o meglio le sbandate, impresse alla società da uno sviluppo economico capitalista che ha perso per strada ogni valore di umanità.
Un film interessante e intelligente, dunque, e in certi passaggi anche reattivamente perturbante, perché sa tenere insieme e ben amalgamare tutte queste diverse angolature interpretative, dalla sociologia alla antropologia, dalla politica alla psicologia dei sentimenti e fin alla metafisica di un esserci che continua a cercare di rappresentarsi dentro un universo che non capisce e per di più non lo capisce.
Cristian Mungiu, regista rumeno della generazione maturata dopo l’89, lo ha scritto, prodotto e diretto con grande qualità narrativa e drammaturgica, utilizzando un approccio che utilizza sintassi realiste quasi a cercare la o una realtà che sta al di là, sopra o sotto poco importa.
La fotografia predilige toni notturni che ben si addicono alla figuratività del raccontare cinematografico, e tutti gli attori sono all’altezza trasformando le loro maschere, quasi icasticamente simboliche dei luoghi e del tempo, in segni narrativamente espressivi.
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Animali selvatici Data di uscita: 06 luglio 2023. Genere: Drammatico. Anno: 2022. Regia: Cristian Mungiu Attori: Judith State, Marin Grigore, Orsolya Moldován, András Hatházi, Macrina Barladeanu, Zoltán Deák, Mark Blenyesi Paese: Romania, Francia, Belgio Durata: 125 min Distribuzione: BIM Distribuzione Sceneggiatura: Cristian Mungiu Fotografia: Tudor Vladimir Panduru Montaggio: Mircea Olteanu Produzione: Filmgate Films, Les Films du Fleuve, Mobra Films, Why Not Productions.
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