Luglio Bambino: 30 anni di teatro ragazzi di qualità

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Chi ha paura di Denti di Ferro

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Sembra ieri ma sono passati trent’anni dalla prima edizione di Lugliobambino, il festival di teatro per ragazzi e bambini, diretto da Manola Nifosì e Sergio Aguirre, che ha cambiato molte formule, ha cambiato location, si è allargato, partendo da Campi Bisenzio, agli altri comuni della Piana fiorentina, ma ha lasciato intatta la sua identità di gioia, di scoperta, di curiosità, di vicinanza, di stare insieme.

Ricordiamo le edizioni al Parco Iqbal con i gonfiabili e i coniglietti a correre liberi nel prato e fino ad approdare al Giardino di Villa Rucellai nel cuore di Campi per quanto riguarda i quattro giorni del Premio dove, come ogni anno, saranno due le giurie a decretare il o i vincitori, quella popolare dei bambini delle scuole dei comuni interessati (quest’anno oltre 40) e quella tecnica dei critici teatrali e dei giornalisti delle testate locali capitanata dal presidente Gabriele Rizza.

Una rassegna lunga tre settimane, dal primo al 20 luglio, cominciando a Signa passando per Sesto Fiorentino, arrivando a Calenzano, poi Lastra a Signa, la parte centrale e più corposa appunto a Campi per chiudere a Scandicci.

Il titolo di quest’anno è Nuovo Umanesimo. Un altro mondo è possibile, frase sempre attuale e contemporanea da declinare alle aberrazioni della cronaca contingente.

Per l’edizione 2023 sono risultati ex aequo (per quanto riguarda la giuria dei critici e dei giornalisti) due spettacoli: Cappuccetto Rosso del Teatro Testoni La Baracca di Bologna e I brutti anatroccoli di Stilema Unoteatro di Torino, quest’ultimo vince anche il premio della giuria dei bambini.

 

Le avventure di Pulcino

 

Il primo spettacolo in gara per l’ambito concorso (fino a qualche anno fa il festival era internazionale: abbiamo avuto qui la possibilità di vedere compagnie eccezionali provenienti da tutto il mondo, ci siamo formati professionalmente e illuminati gli occhi con le proposte migliori scelte dai due direttori da ogni Paese, la maestria dei francesi, la fisicità degli spagnoli, l’estro degli argentini, la tecnologia dei tedeschi) è stato Le avventure di Pulcino a cura della compagnia Teatro Pirata di Jesi che ha messo in campo più temi che hanno fatto fuoriuscire diverse riflessioni.

La prima: la protagonista è una ripara tutto, una ragazza che aggiusta le cose rotte, una novella arrotino itinerante, ripara gli oggetti, come le persone, come i cuori, e dà nuova vita a quello che la maggioranza delle persone identificano come rifiuti, cose delle quali liberarsi perché pensano non possano più servire ed essere utili.

C’è qui una grande lezione di ecologismo contro l’obsolescenza tecnologica che sta affossando il nostro pianeta di elementi difficilmente smaltibili e la corsa sfrenata al consumismo che ci fa comprare sempre l’ultimo modello di qualsiasi prodotto, una corsa che non ci rende felici ma soltanto schiavi e perennemente insoddisfatti credendo che l’oggetto nuovo possa darci quella contentezza che abbiamo perso perché abbiamo scordato i veri valori della vita.

Seconda riflessione: il pulcino (belli i pupazzi) protagonista delle vicende narrate (a volte si perde il filo logico della drammaturgia leggermente confusionaria tra i vari incontri che si succedono), viene aiutato da un alieno, e qui si apre la porta alla differenza come ricchezza e valore e non come chiusura.

Terza digressione: le città illustrate sono sporche e vivono nello smog e non nel verde, sono invivibili e irrespirabili.

Per finire con il quarto punto, il più importante in questo mondo che ha perso la bussola: il nostro pulcino (non è il famoso Pio) cerca disperatamente la mamma (ma è nato prima l’uovo o la gallina?) come nei tanti cartoni animati giapponesi degli anni ’70-’80; erano tutti orfani, da Riù che correva nella Preistoria, Bambi con la madre uccisa dal cacciatore, Po di Kung Fu Panda è senza genitori, Candy Candy non ce l’aveva proprio e poi Belle e SebastienHeidiGeorgie.

Insomma una vera e propria strage, un femminicidio.

Ma in questo contraddittorio nostro humus sociale, impantanato nel politicamente corretto che tutto blocca, anche la libertà d’espressione, di pensiero e il dissenso uniformando e silenziando le idee diverse, caratterizzato da Genitore Uno e Genitore Due, dalle Famiglie Arcobaleno (evidentemente quelle tradizionali sono percepite come in bianco e nero) cercare la mamma non si può più dire.

E il pulcino la cerca affannosamente, convulsamente, tra urla, pianti, depressioni cosmiche, angosciosamente, irrimediabilmente, sconsolatamente, freneticamente, ostinatamente.

Non ditelo a Tiziano Ferro o a Ricky Martin, non raccontate di questo spettacolo a Nicky VendolaElton John o Tom Ford.

O a quelle maestre che nelle scuole elementari hanno abolito la Festa della Mamma o del Papà per non turbare e toccare la sensibilità di poche famiglie silenziando le volontà e le esigenze di tutti gli altri bambini che una mamma e un babbo (alla toscana) ce l’hanno.

Il pulcino, con la pratica dell’utero in affitto (ah, non si può usare questa dicitura) o maternità surrogata o ancora procreazione assistita o gestazione per altri (cambiare le parole non muta i fatti) la mamma non la troverà mai perché semplicemente non c’è.

Chissà se ci sarà qualche interrogazione parlamentare, una fatwa, per bloccare le prossime repliche de Le avventure di Pulcino.

Perché Pulcino dovrebbe sentire la mancanza in questo modo così devastante, scioccante e traumatizzante e cercare qualcuno di sacrificabile, qualcuno che non serve, qualcuno del quale si può fare benissimo a meno per venire al mondo?

 

Cappuccetto Rosso

 

Comincia dalle note di una Senza fine non banale nell’interpretazione di Mike Patton, questo Cappuccetto Rosso, a cura del Teatro Testoni La Baracca di Bologna (che già nella scorsa edizione avevano qui trionfato con Il costruttore di storie), semplice, teatralmente impegnativo, che lascia tutto alla fantasia dello spettatore, tutto giocato sullo scambio dei ruoli, sul mettersi nei panni dell’altro, sul racconto, sulla bellezza dell’ascolto e dell’immaginazione e sui mondi che possono creare le parole.

Dal verso “mani grandi senza fine” del brano di Gino Paoli, appunto cantata raschiata dal cantante dei Faith No More, prende il la questa storia di una continua rincorsa del teatro nel teatro dove un Lui e una Lei si cambiano di posto, di abito, di pelle nel raccontarsi e vivere, proprio come fanno i bambini, la storia della ragazzina che doveva andare nel bosco a portare il cestino di viveri alla nonna.

Se Lui (ci ha ricordato Bisio quando ha prestato la voce a Sid, il bradipo dell’Era glaciale) adesso è impaziente di sentire delle vicende della bambina e del lupo, Lei è la mamma che, per l’ennesima volta, gliela racconta nuovamente ricominciando ogni volta con il classico C’era una volta intrigante e carico di suspense.

I due attori diventano, ora l’uno ora l’altro, cappuccetto e il Lupo, la Nonna e la mamma e infine il cacciatore in un continuo mutamenti nell’infinito play del “facciamo che io ero…”.

Il Lupo intona un Vasco d’annata: Ti voglio bene non lo hai mica capito ma è tutta la colonna sonora rock, anche inquietante, soprattutto d’autore, che ci fa capire come anche per un pubblico di piccoli si possa sperimentare e avere coraggio nelle scelte musicali, senza i soliti jingle, le trite canzoncine melense, gli stessi refrain consolatori; da Mike Patton appunto a Belle & Sebastian, dai Blur con Lot 105 e Clint Eastwood dei Gorillaz, dalla scura Low dei R.E.M. fino alla schitarrante New Born dei Muse e la claustrofobica Close to me dei Cure.

E’ la magia del teatro, l’incantesimo dell’oralità che li fa essere così avidi e voraci di carpire, immedesimandosi, le pieghe dei personaggi, soprattutto di un Lupo (Lei è più animalesca nell’affrontare questo personaggio) che non è poi così cattivo, anzi somiglia più a un Lucignolo che fa scoprire a Cappuccetto ad uscire dal sentiero impostole dagli adulti, a contraddire le regole, a pensare con la propria testa, a guardarsi intorno, ad interpretare la realtà con i propri occhi, anche a sbagliare autonomamente: si chiama crescita.

Il Lupo le fa conoscere, come il serpente dell’Eden, anche fiori e frutti aprendole le porte della percezione; Cappuccetto per la prima volta in vita sua si sente libera.

Nella vita ci vogliono i Maestri anche se a volte sono Cattivi Maestri. La piccola diventa adulta grazie all’incontro con il Lupo che la responsabilizza e addentrandosi sempre più nel bosco per conoscersi e scoprirsi diversa. Non tutti i Lupi vengono per nuocere.

 

I brutti anatroccoli

 

I brutti anatroccoli invece insiste sulle diversità all’interno di una classe scolastica dove ogni differenza non è vista come uno svantaggio (siamo tutti brutti anatroccoli perché la perfezione e la cosiddetta normalità non esiste) ma come allegria e supporto e abbraccio: siamo tutti uguali proprio perché siamo tutti diversi l’uno dall’altro. L’attore in scena, Silvano Antonelli, ci ha ricordato Battiston, suona ukulele e nacchere e trombetta inventando filastrocche simpatiche per far capire ai bambini che devono volare con le loro ali senza farsi fermare dagli stupidi giudizi.

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Sono laureato in Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze, sono iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 2004 e critico teatrale. Ho scritto, tra gli altri, per i giornali cartacei Il Corriere di Firenze, per il Portale Giovani del Comune di Firenze, per la rivista della Biennale Teatro di Venezia, 2011, 2012, per “Il Fatto Quotidiano” e sul ilfattoquotidiano, per i mensili “Ambasciata Teatrale”, “Lungarno”, per il sito “Words in Freedom”; per “Florence is You”, per la rivista trimestrale “Hystrio”. Parallelamente per i siti internet: succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108, recensito.net. Sono nella giuria del Premio Ubu, giurato del Premio Hystrio, membro dell'A.N.C.T., membro di Rete Critica, membro dell'Associazione Teatro Europeo, oltre che giurato per svariati premi e concorsi teatrali italiani e internazionali. Ho pubblicato, con la casa editrice Titivillus, il volume “Mare, Marmo, Memoria” sull'attrice Elisabetta Salvatori. Ho vinto i seguenti premi di critica teatrale: il “Gran Premio Internazionale di critica teatrale Carlos Porto '17”, Festival de Almada, Lisbona, il Premio “Istrice d'Argento '18”, Dramma Popolare San Miniato, il “Premio Città di Montalcino per la Critica d'Arte '19”, il Premio “Chilometri Critici '20”, Teatro delle Sfide di Bientina, il “Premio Carlo Terron '20”, all'interno del “Premio Sipario”, “Festival fare Critica”, Lamezia Terme, il “Premio Scena Critica '20” a cura del sito www.scenacritica.it, il “Premio giornalistico internazionale Campania Terra Felix '20”, sezione “Premio Web Stampa Specializzata”, di Pozzuoli, il Premio Speciale della Giuria al “Premio Casentino '21” sezione “Teatro/Cinema/Critica Cinematografica e Teatrale”, di Poppi, il “Premio Carlos Porto 2020 – Imprensa especializada” a Lisbona. Nel corso di questi anni sono stato invitato in prestigiosi festival internazionali come “Open Look”, San Pietroburgo; “Festival de Almada”, Lisbona; Festival “GIFT”, Tbilisi, Georgia; “Fiams”, Saguenay, Quebec, Canada; “Summerworks”, Toronto, Canada; Teatro Qendra, Pristhina, Kosovo; “International Meetings in Cluj”, Romania; “Mladi Levi”, Lubiana, Slovenia; “Fit Festival”, Lugano, Svizzera; “Mot Festival”, Skopje, Macedonia; “Pierrot Festival”, Stara Zagora, Bulgaria; “Fujairah International Arts festival”, Emirati Arabi Uniti, “Festival Black & White”, Imatra, Finlandia.