Visto da noi: As Bestas di Rodrigo Sorogoyen

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Potrebbe sembrare una escursione nelle periferie, le periferie geografiche e antropologiche di luoghi abbandonati dal flusso della Storia, o le periferie psicologiche ed esistenziali di individui rimasti attaccati ad antiche radici che non producono più linfa, non solo per crescere e svilupparsi ma anche per sopravvivere.

Vi è traccia evidente anche di tutto questo, ma As Bestas, il film di Rodrigo Sorogoyen in queste settimane nelle sale italiane, è soprattutto un viaggio nel Centro, nel centro di una Umanità che ha visto man mano inaridire quel cuscino di sentimenti, quell’affettività che la proteggeva, e che si è esiliata in una sorta di tempo della siccità che si fa sofferenza, concreta in carne e sangue, dentro una Società che sembra vivere di solo denaro.

 

 

Tra i paesaggi aspri della Galizia, cui la fotografia dai toni impressionistici dà la giusta ragione, ed ispirandosi, con una coerente trasfigurazione e giustificazione estetica, a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2010, è questo un film che parla soprattutto di contrasti.

Un professore francese cerca, e crede di trovare, il suo eden nella natura di un villaggio di montagna e vi si insedia con la moglie, così innescando progressivamente un conflitto con i vicini contadini del posto, soprattutto dopo aver posto il veto alla installazione su quelle terre di un parco eolico, elemosina di un Potere disinteressato per quelle periferie dimenticate.

Un conflitto dunque, anzi, ben sottolineati nel trilinguismo (galiziano, francese, spagnolo) che contraddistingue il film, conflitti collegati che si alimentano l’uno nell’altro, il conflitto, dal vago e forse involontario sapore sovranista, tra l’autoctono e lo straniero, e quello culturale tra chi intende preservare ecologicamente la natura e chi quella natura, che lo ha ormai deprivato e disseccato come una pianta non curata, vuole abbandonare per un forse impossibile sogno, ma anche un conflitto più personale fatto di invidie e di gelosie per differenze o diseguaglianze sociali non elaborate.

 

 

Conflitti che infine sfociano in un tragico che della Tragedia ha tutte le stimmate, anche quelle di una Speranza che possiamo leggere nei dialoghi tutti al femminile tra la moglie del professore e la loro figlia, e tra quella e la madre dei vicini, segno di una Carità che può riscattare il dolore e infine nel sorriso appena accennato sul suo volto che chiude il film stesso.

È dunque, come ogni vera Tragedia, uno sguardo sul male, il male esistenziale che il protagonista credeva di scavalcare, come in quel certo filone di pensiero ecologista che è abbastanza diffuso nella nostra modernità, recuperando nel contatto con la natura il ‘bene’ perduto, allontanandosi dunque per poi però scoprire che il male continua a ramificarsi anche in quel supposto paradiso ormai desertificato, esistenzialmente, ontologicamente e anche metafisicamente, come le tentazioni del demonio nel deserto biblico.

Ed è, proprio per questo, anche uno sguardo sulla morte quasi ricondotta e riconsegnata alla natura nell’omicidio che si fa rituale con la sua figurativa e simbolica sovrapposizione alla Rapas das bestas, antica ma ancora praticata festa di San Lorenzo durante la quale i giovani della galiziana Sabucedo catturano i cavalli lasciati bradi nei boschi per abbatterli a terra, con la sola loro forza fisica, e poi in parte domarli tosandone simbolicamente la criniera ed in parte restituirli alla loro libertà.

Un rito apotropaico, nato per celebrare la fine di una pestilenza, paradossalmente trasformato nel suo opposto, cioè un atto diventato capace di richiamare e praticare la morte tra gli umani, ma insieme di deformarsi nella metafora di ciò che abbiamo perduto allontanando la morte dal nostro orizzonte esistenziale.

Invece di scotomizzare il male, infatti, abbiamo cancellato i sentimenti, loro unico antidoto, invece di elaborare la morte l’abbiamo dimenticata così da togliere alla vita il suo confine e con esso la possibilità di dare un senso al tempo che ci è dato per fruttificare, come i pomodori in un orto ben coltivato.

Perché la morte, come il male, continua comunque ad esistere ma privata dei suoi antidoti diventa muto soffocare della vita stessa.

È questo un filo rosso di riflessione artistica ed estetica che si incontra talora in questi tempi, nel cinema e nel teatro, quasi a rivendicare una eticità di cui l’arte non può privarsi, pena il diventare ininfluente.

 

 

Un’opera che per questo può dare il suo contributo per diradare la confusione, una nebbia mentale e psicologica quasi indotta, che caratterizza gli esiti oggi di quel processo di rinnovamento, sociale, politico, storico e culturale, che ha caratterizzato, sembrava definitivamente, i decenni passati e che invece si è ribaltato nella dispersione di identità, nella perdita di condivisione, e nella coartazione delle libertà più intime nel loro manifestarsi senza i confini che possono determinarle e rendere fruttuose, che tutti viviamo.

Un film importante io credo per il precipitato di riflessioni, ben scritto e ben recitato, capace di costringere il nostro sguardo e di alimentare il nostro pensiero mentre, nel silenzio, le immagini scorrono inesorabili ma profondamente coerenti e liberatorie sullo schermo.

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AS BESTAS. Data di uscita:13 aprile 2023. Genere:Thriller, Drammatico. Anno:2022. Regia: Rodrigo Sorogoyen. Attori: Denis Ménochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido, Marie Colomb, Luisa Merelas, José Manuel Fernández y Blanco, Federico Pérez Rey, Javier Varela, Xavier Estévez. Paese:Spagna, Francia. Durata:137 min. Distribuzione:Movies Inspired con Lucky Red. Sceneggiatura:Isabel Peña, Rodrigo Sorogoyen. Fotografia:Alejandro de Pablo. Montaggio:Alberto del Campo. Musiche:Olivier Arson. Produzione:Arcadia Motion Pictures, Caballo Films, Canal+, Cronos Entertainment, Eurimages, Instituto de la Cinematografía y de las Artes Audiovisuales, Le Pacte, Movistar+, Radio Televisión Española

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.