Le vacanze di Alessandro Berti, o l’attesa di un futuro-presente imminente

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Le vacanze - ph @ Daniela Neri

Una piattaforma di legno rialzata circondata da un bambuseto con al punto di fuga una doccia, mentre sul proscenio esonda dal palco una massa terrosa secca.

È estate.

Entrano Tom e Lao, due ragazzi magri con gli occhiali da sole che – cantava Franco Battiato – danno più carisma e sintomatico mistero, caratteristiche di cui si ha estremo bisogno a vent’anni.

Si appoggiano sulle sedie e, dopo poco, si buttano in due buchi nella terra per fare il bagno nei fanghi.

Immersi fino al busto si rimbalzano, come in una partita di tennis, storie di un tempo in cui esisteva il freddo, i ghiacciai, le montagne con la neve e i laghi profondi.

Sembra figurarsi così un passato che è sfuggito e il nostro presente che sta svanendo.

Questo l’inizio de Le vacanze con il testo e la regia di Alessandro Berti, in scena i giovani attori Francesco Bianchini, Sebastiano Bronzato e, nel ruolo del Performer, Giovanni Campo, in scena all’Arena del Sole nella saletta Thierry Salmon fino al 2 aprile.

 

Le vacanze – ph @ Daniela Neri

 

La temperatura dello spettacolo è calda, caldissima.

Il pubblico la percepisce grazie allo stile, non facile, della recitazione: lento e con pochissimi cambi di ritmo.

L’azione quindi si dilata, così come la nostra percezione vedendo quei corpi in bagno e poi sotto la doccia e di nuovo immersi nei fanghi, in un rituale continuo che ci ricorda le vacanze al mare, svuotate di qualsiasi gioia e traslate in un tempo di noia e immobilismo.

Per sfuggire a questa apatia Lao, il più fiducioso nel futuro, chiama un artista.

Fa riflettere il modo in cui Performer viene ingaggiato, affittato, come una escort, da siti in cui si possono scegliere le caratteristiche per il proprio spettacolo: con o senza parola e, soprattutto, a prezzi contenuti per venti minuti. Come se il valore di un’azione fosse legata alla durata, un mercimonio quantitativo a cui anche il teatro si è piegato. L’arte diventa, sottolinea Tom, il modo in cui la borghesia trastulla se stessa per ignorare i danni commessi. Una forma di prostituzione pubblica per lavarsi gli occhi e forse la coscienza; un’accusa che chiama in causa anche noi che guardiamo lo spettacolo e loro che lo fanno. Il merito dei due inserti performativi nella struttura dello spettacolo è assolutamente evidente, in grado di dare quel senso di sospensione e silenzio, variando i ritmi e dando il tempo di sedimentare i dialoghi dei ragazzi.

 

Le vacanze – ph @ Daniela Neri

 

Il testo sembra manifestarsi come una drammaturgia della crisi, per usare un termine caro a Peter Szondi per Cechov o Ibsen, in cui i due personaggi non fanno altro che rievocare il passato richiamando un mondo che non esiste più.

Non c’è alcun sviluppo sul presente, fatta eccezione per il finale, orizzonte che pienamente manifesta l’incapacità di agire e l’apatia di cui anche noi siamo parte e che ci chiama in causa direttamente.

Tutto ciò viene calato in una struttura di relazioni e di scene che invece ci ricorda Aspettando Godot di Samuel Beckett.

I due moderni Vladi e Gogo non attendono più Godot, ma Performer che, a differenza della non-figura beckettiana, si manifesterà due volte soddisfacendo il bisogno di svagarsi dei due, ma i cui movimenti senza parola non daranno soluzioni ma solleciteranno nuovi interrogativi.

Se però l’opera del drammaturgo irlandese raccoglieva l’insignificante del secondo dopoguerra in cui bisognava mettere in scena la crisi l’antropocentrismo e Dio di fronte all’olocausto e alla bomba atomica, il testo di Berti sfrutta quell’apatia all’azione riempendola di significato.

C’è, insomma, lo sguardo scientifico brechtiano nella dialettica tra Tom, legato al rimpianto del passato, e Lao, fiducioso nell’utilizzo della scienza per plasmare il mondo.

Tocca allo spettatore scegliere da che parte stare.

 

Le vacanze – ph @ Daniela Neri

 

Un ulteriore riferimento, venendo ad autori e immaginari più recenti, è la drammaturgia ecocritica in cui molteplici conoscenze interdisciplinari sono messe al servizio della creazione teatrale. Basti pensare a A Play for a Living in Time of Extinction di Miranda Rose Hall messo in scena da Katie Mitchell e portato in Italia dalla compagnia La casa d’argilla, qui una donna con il timore della morte racconta le cinque grandi estinzioni sul pianeta terra, mentre delle persone sulle bici alimentano l’elettricità del teatro. Un altro esempio è Saluti dalla Terra del Teatro dell’Orsa in cui si succedono una serie di scene che raccontano il complesso e irrisolto rapporto della specie con la propria casa, anche in questo caso sull’orlo della fine. In tutti questi casi la catastrofe nella drammaturgia è, come suggerisce Jean Pierre Sarrazac, «rinascita citazionale», «immagine di morte», presente futuro incombente e svuotato di senso. Segno di un’impotenza dell’azione umana di fronte alla rovina imminente e inevitabile.

Non fanno eccezione Le vacanze, dove la debolezza dei due giovani corpi è quella che sintetizza al meglio i cataclismi dei nostri tempi.

Due ragazzi che dovrebbero essere al massimo delle loro forze, sono invece costretti, come anziani, a riequilibrare la propria temperatura interna per il caldo in un’estate dominata da siccità e incendi, dove la catastrofe è sempre in agguato.

In questo senso la scelta cronologica di ambientare lo spettacolo in un distopico avvenire ci appare come consolatoria possibilità di rimandare il problema, ma in realtà – ed è questo lo scopo di Berti – è il nostro fragile futuro-presente a essere incarnato in Tom e Lao, a cui basta uno sbalzo termico per svanire.

Dopo aver visto lo spettacolo esco da teatro giustamente turbato, ma poi mi accorgo che fuori piove.

Mi viene una sensazione di freschezza dopo il caldo in cui sono stato immerso per settanta minuti.

Un sollievo che si tramuta in un amaro sorriso quando penso che ad oggi mancano cinquanta giorni di pioggia, con quello che comporterà per “le vacanze” del 2023.

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Riferimenti bibliografici
Jean-Pierre Sarrazac, Lessico del dramma moderno e contemporaneo, CuePress, Imola, 2020
Peter Szondi, Teoria del dramma moderno 1880-1950, Einaudi, Torino, 2000

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