Cominciamo dall’inizio. Su Edipo in fuga di Emilio Nigro

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Emilio Nigro

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Cominciamo dall’inizio.

La più recente raccolta poetica di Emilio Nigro (Edipo in fuga, Les Flâneurs Edizioni, Bari, 2022) si apre con un augurio che perfettamente sintetizza e rilancia temi e stilemi che il volume articola:

Che ti venga voglia di uscire
dopo avermi ascoltato.
Uscire da casa, dai lavori forzati
dai segni di pace, dai vestiti.
Amare l’altro. E scordarne.

Per quanto ci riguarda sarebbero bastate queste poche righe, a farci cader da cavallo.

E invece.

Cominciamo dall’inizio.

Vi è innanzi tutto un tu a cui senza posa queste brevi, dense, emozionate ed emozionanti poesie si rivolgono.

Come in teatro -campo di forze che l’autore da molti anni scandaglia e attraversa con viscerale passione- si usa dire che l’accadimento scenico per esistere in quanto tale necessita almeno di un attore e di uno spettatore considerando accessori, ancorché spesso rilevantissimi, gli altri elementi che compongono l’opera (luci, musiche, scenografie, costumi, eccetera), anche in queste pagine il soggetto parlante e il destinatario del discorso sono i due poli imprescindibili affinché questo atto comunicativo abbia luogo.

Tra questi due elementi strutturali (emittente e ricevente) pare essere tesa una fune su cui il poeta cammina, sfidando in ogni riga il baratro dell’eccessiva esposizione di sé, o della ruvida asciuttezza.

Il rischio è sempre in agguato, in versi tanto esposti.

E invece.

 

Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, 1523-1524

 

Cominciamo dall’inizio.

Vien da pensare, per antitesi, a un celeberrimo capolavoro di Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù, del 1523-1524. Lì il creatore, per realizzare la sua opera, non deve essere disturbato, tanto che Mercurio si premura di intimare il silenzio all’Amorino che si approssima. Al contrario, la carnale poesia di Emilio Nigro si nutre, o più radicalmente si impasta, di mondo.

Parole-cose, terrigne e solidissime, danno forma all’appassionato, spesso dolente sentire che trova nel medium poetico uno strumento per rilanciare nel mondo l’effetto di queste parole.

A lungo si potrebbe -e forse dovrebbe- ragionare sulla funzione di questa poesia, ma in estrema sintesi: niente di più lontano dall’idea romantica dell’artista che nel chiuso della propria stanzetta combatte con i propri demoni per addivenire con sofferta spossatezza alla realizzazione dell’opera e che trova nella -pur sofferta- intimità la propria scaturigine e la propria destinazione.

E invece: “Che ti venga voglia di uscire / dopo avermi ascoltato”.

Cominciamo dall’inizio.

Versi brevi, spezzati.

Frequente eliminazione di preposizioni, articoli, aggettivi.

Uso vertiginoso delle liste, a dar ritmo e visioni (Umberto Eco docet).

Cominciamo dall’inizio.

È una scrittura elementare, quella di Emilio Nigro.

Usiamo questo aggettivo non in senso gerarchico, ovviamente, ma per significare la sana, finanche salvifica tensione a ritrovare, nel patto poetico, la funzione degli elementi primi che lo costituiscono.

Effetto: un’opera accogliente, sideralmente distante da certi respingenti autocompiacimenti a cui il panorama contemporaneo ci ha, ahinoi in tutte le arti, abituato.

 

 

Cominciamo dall’inizio.

L’editore di questa raccolta, precisa nel suo sito web, è contro le pubblicazioni a pagamento. Gli si possono proporre opere in lettura, ma non di poesia: “Per questo genere” spiegano “la nostra ricerca è mirata e avviene tramite i nostri canali”.

Vien da supporre una pratica sana, antica, di editoria come impresa culturale, prima che meramente economica, che fa dello scandaglio delle forze in campo uno degli elementi imprescindibili del proprio lavorio.

Chapeau.

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