Non è facile, nel momento in cui lo si vive, rendersi conto che un determinato evento sarà destinato a fare la storia. Mina e Lucio Battisti che duettano sul palco di Teatro 10 il 23 aprile 1972 rappresenta proprio uno di questi grandi eventi che vengono compresi del tutto solo a posteriori. A raccontare la storia di questo momento epocale della storia della musica e della televisione è Enrico Casarini, giornalista di TV, sorrisi e canzoni nel suo libro Il duetto Mina-Battisti.
“È un progetto molto lungo, che ha inizio nei primi anni Duemila. Il libro aveva avuto una prima edizione nel 2009 e nel 2022 non poteva non tornare in occasione dei 50 anni dal duetto”, racconta l’autore. “Faccio il giornalista da diversi anni e mi sono quasi sempre occupato di spettacoli e attualità culturale. Avevo visto duemila volte il duetto Mina-Battisti e, ad un certo punto, mi è venuta la curiosità di riconoscere e rintracciare i musicisti che suonavano con loro. Così ho iniziato a raccogliere materiale”.
Tant’è vero infatti che il libro doveva intitolarsi proprio Cinque amici da Milano, come li chiama Battisti sul palco. “Fu il regista Antonello Falqui che, quando lo intervistai, mi disse che questa mia idea era una sciocchezza e che la gente era interessata a Mina e Lucio. Con i cinque amici da Milano però siamo rimasti legati da una grande amicizia”.
Nel portare avanti le ricerche per il progetto “mi sono accorto che quella serata cadeva in un momento molto particolare”, prosegue l’autore. “Tante cose che succedevano prima mi ricordavano la bella Italia del boom, l’Italia che cresceva, l’Italia sorridente, mentre tante cose che succedevano subito dopo mi parlavano di un’Italia in crisi, di un’Italia impaurita dall’inizio del terrorismo. Mi sono chiesto allora cosa potessero centrare Mina e Lucio con tutto questo e mi sono accorto che, anche loro, stavano lasciando il loro periodo migliore per entrare nel loro periodo di fuga dai riflettori”.
In che modo ha ricostruito la storia di quella sera?
“Il libro si compone di numerose interviste, realizzate diversi anni fa. Oggi molti dei protagonisti purtroppo non ci sono più. Ho intervistato i cinque musicisti, Antonello Falqui che era il regista, Gianni Ferrio che era il direttore d’orchestra dello show, Giorgio Carnevali che era il produttore RAI incaricato, Ellen Kessler che era presente alla puntata insieme alla sorella, Giancarlo Del Re e Leo Chiosso che erano i due autori. In più, tutta una serie di personaggi che in quel periodo frequentavano Mina e Lucio”.
“La grande ricerca è stata però soprattutto sui media dell’epoca. All’epoca questo numero televisivo – che oggi noi consideriamo paradigmatico, un capolavoro assoluto – godette di poca considerazione. Nel 1972 c’erano solo i cosiddetti quotidiani storici e tra i settimanali solo pochi si occupavano di spettacolo e i grandi settimanali politici non si occupavano di queste cose. La stampa era molto selettiva. L’unico giornale che ebbe il coraggio di dire che si era assistito a un momento storico fu Novella 2000, che allora era diversa da come è adesso: era un settimanale che parlava di attori e cantanti anche se per un pubblico un po’ meno specializzato”.
Come mai, secondo lei, la stampa dell’epoca non si rese conto dell’evento storico a cui si era assistito?
“C’è anzitutto una questione banale: è difficile capire oggi quello che ci influenzerà tra cinquant’anni anni. È molto difficile, quando sei in quel momento, capire che si sta facendo la storia. Questa è una spiegazione. Un’altra è questa: Mina e Lucio Battisti erano già all’epoca dei colossi, però in un mondo diverso da quello di oggi. Nel mondo dell’informazione di allora, la musica leggera e la televisione erano visti come un intrattenimento popolare: sui quotidiani dell’epoca c’era più spazio dedicato alla musica classica che al pop e al rock. L’Italia nel 72 era un Paese ancora abbastanza vecchio come mentalità. All’epoca i quotidiani probabilmente non erano neanche attrezzati per capire che stava succedendo qualcosa di clamoroso. Inoltre, Teatro 10 era considerato un programma antiquato, il solito spettacolo RAI. E se Mina era una dea, Battisti era solo un ragazzino capellone che, a giudizio dei quotidiani di allora, cantava pure male”.
Che cosa secondo lei invece lo rende tanto importante musicalmente oltre che storicamente?
“L’importanza di quel duetto secondo me è proprio nel legame tra Mina e Battisti: Battisti con Mogol scrisse quattro canzoni per Mina (Insieme, Amor mio, Io e te da soli, La mente torna). Mina nel 70 era già vista come una cantante dei genitori: è ormai sulle scene da tredici anni – dopo l’esordio al Il Musichiere del 59 che ha fatto di lei la cantante numero uno d’Italia – ed è già considerata la cantante dei genitori, non più dei figli. Invece Battisti era considerato l’interprete dei figli.
Le canzoni che Battisti e Mogol scrivono per lei fanno capire che Mina non è una cantante dei genitori, ma una grande cantante molto sofisticata che può piacere a tutti, e che Battisti non è il cantante dei ragazzini, ma uno che musicalmente riesce ad affascinare anche i grandi fan di Mina. Per questo quella coppia è clamorosa, perché si sono dati carica a vicenda: Mina per superare una crisi di mezza età artistica, Battisti per passare dall’adolescenza artistica alla prima maturità. Uno scambio meraviglioso”.
Se la stampa dell’epoca non ha colto l’importanza del momento, lo ha fatto però il pubblico in sala: si dice infatti che gli applausi siano durati una decina di minuti.
“Chi era in studio al teatro delle Vittorie capì subito che quel duetto era perfetto. A rivederlo oggi, si notano fuggevolmente le immagini anche degli orchestrali che sono fermi sullo sfondo. All’inizio si coglie – e Gianni Ferrio me lo confermò – che erano abbastanza seccati perché stavano lì senza suonare. Alla fine però il primo applauso fu il loro, a seguire il pubblico. Chi era lì capì subito che si era assistito a un numero pazzesco”.
La vera durata degli applausi però resta un mistero, perché non sono rimaste tracce negli archivi RAI di quei minuti probabilmente tagliati in montaggio. “Le puntate di Teatro 10 erano il risultato di una composizione di diversi numeri registrati dal vivo“, specifica l’autore. “Bisogna infatti sottolineare che il duetto di Mina e Battisti non era in diretta, ma era stato registrato il 18 aprile, dal vivo. Per comporre le puntate di Teatro 10, Falqui registrava tutto, poi, settimana per settimana, realizzava letteralmente un mosaico. Si partiva sempre con un’introduzione di Alberto Lupo, poi prima canzone di Mina, ospite internazionale musicale, ospite comico, angolo della musica classica, ospite importante italiano, duetto di Mina, altro ospite, canzoni finali di Mina”.
Questo evento può essere considerato anche uno degli ultimi grandi spettacoli registrati dal vivo, prima dell’introduzione del playback in televisione?
“La televisione sostanzialmente nasce per raccogliere musica dal vivo, non in diretta ma registrata. Il playback è una tecnologia che oggi ci appare antica, ma all’epoca non era così perfezionato. Per la prima volta il playback appare nel 1964 a Sanremo, quando Bobby Solo ha la raucedine e non può cantare Una lacrima sul viso. In teoria il playback era vietato, ma poiché la canzone era bella decidono di fare questa eccezione.
Nel 64 il playback è ancora visto però in modo negativo. Sarà solo dal 1973 e per tutto il resto degli anni Settanta che diventa utile per la RAI avere un cantante che si esibisce in playback, per abbattere i costi necessari a sostenere un’intera orchestra. Siamo infatti in piena crisi economica e del petrolio. Il 1972 è un anno di transizione da questo punto di vista: in quella puntata di Teatro 10 Battisti canta in playback I giardini di marzo. Nel 72 siamo dunque nel periodo in cui il playback inizia un po’ a sovrastare il live. Quindi anche da questo punto di vista effettivamente quel duetto rappresenta un punto di svolta”.
Il libro è stato presentato a Cervia, presso la Darsena del Sale, nell’ambito della rassegna La musica delle parole