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Un lavoro in due atti, interamente recitato, che narra la storia di una famiglia a cavallo del nuovo secolo, tra la fine del Novecento e l’inizio di un nuovo mondo. Questo è il cuore di Calēre, lo spettacolo di Eugenio Sideri che arriva sul palco del Teatro Rasi di Ravenna nelle serate di mercoledì 8 e giovedì 9 febbraio.
“Calēre nasce tanti anni fa: una prima stesura del copione risale a una decina di anni fa”, racconta il regista Eugenio Sideri. “Nasce anche con una precisa volontà: da una parte raccontare la terra da dove vengo, la Romagna contadina, dall’altra il fenomeno di industrializzazione che questa terra ha vissuto e l’amore che nutro per il pensiero di Pier Paolo Pasolini. Mettendo insieme queste due anime è nata una storia che attraversa il secolo, tra la fine del Novecento e il nuovo secolo, che per certi versi è anche un po’ la mia storia. Io sono nato nel 1968, quindi anch’io ho attraversato il secolo che è stato, e ho vissuto in campagna, ma ho avuto la possibilità e la fortuna di studiare. Partendo da queste due anime è nata una prima bozza del testo che due anni fa si è concretizzata con la proposta di Ravenna Festival. L’organizzazione mi contattò nel 2021 per avermi nella successiva edizione e mi lasciò carta bianca, dandomi così la possibilità di realizzare il sogno nel cassetto. Anzi il copione nel cassetto. Una volta ripreso in mano, l’ho rivoluzionato, sistemato, ho aggiunto ed eliminato elementi: ho l’abitudine di lavorare a tavolino, ma quello che succede in scena naturalmente inficia il copione, così come la risposta degli attori e delle attrici. Alla fine è nato questo lavoro dedicato ai 100 anni di Pier Paolo Pasolini. Coincidenza vuole che ancora non si sapesse che il festival sarebbe stato proprio dedicato a questo centenario”.
Un omaggio sentito dunque nel profondo, che ha avuto l’opportunità di emergere e di incontrare il pubblico proprio in occasione del centenario. Un omaggio che si fa strada sul palco, tra le parole dei personaggi e in generale in un’aria, un respiro, un pensiero. “Da una parte c’è uno dei personaggi, Ruben, un giovane universitario che rappresenta un po’ il pasoliniano”, racconta il regista. “È uno studente di lettere che vive le difficoltà del passaggio di secolo e trova respiro nelle parole di Pasolini, sulla base delle quali provare a fondare nuove basi. In questo senso lo spettacolo rende omaggio al pensiero di Pasolini: ho provato a raccogliere il respiro pasoliniano, il suo pensiero profetico sulle difficoltà di quel processo di industrializzazione, sulla perdita di valori e dei sensi e sulla caduta delle ideologie. Sulla base adi queste riflessioni pasoliniane si muove tutto lo spettacolo. Chiaramente si tratta di un lavoro dedicato a Pier Paolo Pasolini, non su Pasolini, che viene citato, ma poi la storia poi prosegue guardando anche alla caduta del partito comunista e alla conseguente perdita di ideali. Il tutto in favore, come direbbe Dante, della ‘gente nuova e i sùbiti guadagni‘. Sono i nuovi arrivisti, manager, mercanti che guardano ai guadagni immediati e quindi allo sfruttamento. Il nuovo mondo insomma, dove l’uomo combatte l’uomo per un’economia a tutti i costi. La disumanizzazione generale che sta arrivando”.
Il titolo, Calēre, si rifà a un termine romagnolo usato per indicare i sentieri di campagna. Tuttavia, lo spettacolo è interamente in italiano, accessibile a chiunque. “Si fa un minimo uso di qualche dialettale romagnolo”, specifica il regista, “proprio perché i protagonisti sono una famiglia operaia, che viene dal basso e dove è ancora in uso un po’ di dialetto. Le calēre sono proprio l’emblema di questa famiglia: questi sentierini più o meno nascosti tra i campi che servono a conduci tra un campo e l’altro. Ho usato questo termine anche come metafora per chi cerca la sua via, i suoi valori, la sua strada nella vita”.
Questi sentierini si trovano riprodotti sul palco, totalmente privo di quinte. “A seconda dello spazio, ci sono tre file di praticabili che vanno a formare queste stradine. Questo è l’unico elemento scenico. Poi, nel corso dello svolgimento, si scopre che in realtà ci troviamo in una vecchia fabbrica abbandonata che ha subito un incendio: trattandosi di un luogo dismesso e abbandonato è privo di adorni ma abitato da questi “fantasmi” che raccontano una storia che è stata”. Per il resto dunque la scena appare completamente aperta: unico ulteriore elemento è la presenza di “un coro, nascosto da un tulle, che funge un po’ da commento, come nella tragedia greca, per sottolineare alcuni momenti topici dello spettacolo”.
Uno spettacolo, un omaggio, una metafora della vita, del cambiamento: Calēre si offre a plurime letture. “Ben vengano”, afferma il regista. “Significa che hai lanciato qualcosa di importante se le letture si ampliano e si moltiplicano”.
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