Esce in sala il doc che ha vinto il Leone d’oro a Venezia sulla fotografa e attivista Nan Goldin

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Esce in sala grazie alla distribuzione della bolognese I Wonder Pictures il film documentario Tutta la bellezza e il dolore (All the beauty and the bloodshed), dedicato alla vita della fotografa ed attivista Nan Goldin.

Il film è distribuito in versione originale sottotitolata come evento speciale, nelle giornate del 12, 13 e 14 febbraio.

Alla sala Pop Up Cinema Arlecchino di Bologna è prevista una ulteriore proiezione mercoledì 15 febbraio.

Abbiamo visto il film in occasione della sua presentazione all’ultima Mostra del cinema di Venezia, dove, a sorpresa e contravvenendo tutti i pronostici, la giuria, presieduta dall’attrice e regista Julianne Moore e nobilitata anche dalla presenza di un Nobel della letteratura, Kazuo Ishiguro, gli ha attribuito il Leone d’oro per il miglior film.

 

 

A dirigere il film è Laura Poitras, nota in particolare per il film Citizenfour, dedicato alla figura di Edward Snowden, l’informatico americano che ebbe il coraggio di denunciare le pratiche di intercettazioni illegali delle agenzie di intelligence americane, a partire dalla NSA. Il film nel 2015 vinse l’Oscar come migliore documentario.

Il progetto per la realizzazione del film nasce nel 2019, quando Laura Poitras e Nan Goldin si incontrano.

In quel periodo, già da un paio di anni, Nan Goldin aveva dato vita e guidato il collettivo P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now) che vedeva uniti artisti ed attivisti in una campagna diretta a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni culturali contro la crisi degli oppioidi e sulle politiche di riduzione del danno contro le varie forme di dipendenza.

Nan Goldin aveva già pensato di realizzare un documentario per documentare questa campagna e nel progetto coinvolge anche Laura Poitras. Il campo di indagine però si allarga, e diventa il racconto di una vita.

Poitras e Goldin si sono incontrate regolarmente nel corso di quasi due anni, per una serie di interviste audio, nelle quali anche gli aspetti più intimi e sofferti della sua complessa vita sono affiorati.

L’audio di queste conversazioni, assieme alle tantissime diapositive e fotografie della lunga carriera di Goldin e alle immagini delle iniziative promosse dal collettivo P.A.I.N. costituiscono l’ossatura del film.

Nel racconto di Laura Poitras della vita di Nan Goldin possiamo individuare tre nuclei tematici principali.

Il primo è dedicato alla sua infanzia e adolescenza a Washington DC dove è nata, nel 1953. Un periodo infelice della sua vita, condizionato dalla cultura puritana e bigotta dei genitori e della società e da un evento tragico, ancora ben vivo nella sua mente, il suicidio dell’adorata sorella maggiore, Barbara, adolescente inquieta e ribelle, dopo un paio di ricoveri in strutture psichiatriche.

La seconda parte della sua vita, che la vede gradualmente imporsi sulla scena underground americana, fino all’approdo nei dirty buolevards e nelle wild sides di New York, è una forma di rivolta contro la cultura dominante e i valori correnti, espressa con l’irruenza e le forme oltraggiose e provocatorie proprie della scena punk. La marginalità sociale è apertamente rivendicata come sorta di laboratorio esistenziale, a partire dal quale generare una nuova estetica e nuovi linguaggi.

Nascono in questo periodo, tra gli anni Settanta ed Ottanta, le raccolte che l’hanno resa una delle fotografe più importanti della sua generazione, come The ballad of sexual dependency.

Sono circa settecento ritratti fotografici che abbracciano la famiglia allargata nella quale viveva in quegli anni, tra artisti straccioni, tossici, omosessuali e drag queen.

Personaggi che spesso conducevano esistenze al limite, sfidando la morte con l’abuso di droghe pesanti ed alcol. Particolarmente significativa in quel periodo è la battaglia che condusse, con la macchina fotografica come arma, per combattere lo stigma sociale che colpiva gli omosessuali flagellati dall’AIDS.

 

 

P.A.I.N. come dolore.

Racconta Goldin che mentre era a Berlino, per curare un dolore ad un polso, prese un antidolorifico a base di oppioidi. Ben presto iniziò una dipendenza dal farmaco, da cui si liberò solo con un lungo e faticoso percorso di riabilitazione. Negli Stati Uniti l’uso eccessivo degli oppioidi, in particolari a seguito di prescrizioni mediche disinvolte, senza la chiara consapevolezza dei pesanti effetti di dipendenza che questi farmaci possono generare, ha creato una vera e propria epidemia e ha causato, negli ultimi decenni, una strage con diverse centinaia di migliaia di decessi. Una epidemia che ha interessato in particolari i ceti sociali più marginali, spesso privi di assistenza sanitaria.

Ad un certo punto Nan Goldin scopre che una delle imprese farmaceutiche maggiormente attive nella produzione e commercializzazione di questi farmici (anche attraverso spregiudicate strategie commerciali al fine di aumentare le prescrizioni mediche), la Purdue Pharma, è di proprietà della famiglia Sackler.

Si tratta della stessa famiglia che si è distinta per una importante azione filantropica a favore delle principali istituzionali culturali nel mondo dell’arte, dal Metropolitan Museum (dove una intera sala è dedicata ai mecenati), alla National Gallery, al Guggenheim, fino al Louvre.

Quelle stesse istituzioni che hanno accolto ed ospitato le sue opere, oltre che l’arte da lei amata.

Donazioni che avevano l’obiettivo di tenere alta la reputazione del loro nome, oltre che di ottenere significativi sgravi fiscali. Denaro, quello donato, che per Goldin è sporco del sangue di migliaia di vittime innocenti.

Inizia quindi la campagna del collettivo P.A.I.N., che si propone, attraverso azioni dimostrative all’interno dei musei, di dissociare completamente le istituzioni culturali dal nome e dal denaro della famiglia Sackler. La campagna è fatta anche di azioni legali che non avranno completo successo. Tuttavia, in uno dei momenti più intensi del film vediamo Nan Goldin e i suoi collaboratori che riescono ad ottenere da un giudice una udienza in cui i membri della famiglia Sackler sono costretti ad assistere in video, con le loro facce contrite, alle testimonianze di alcune delle loro vittime, e tra queste quella della stessa fotografa.

Il film di Laura Poitres procede per accumulo del tantissimo materiale di cui si è detto (fotografie e video sulla New York underground, le riprese delle riunioni e degli happening del gruppo P.A.I.N, con, fuori campo, la voce malinconica della Goldin, alle prese con i ricordi di una vita), con un montaggio piuttosto serrato.

Soprattutto all’inizio del film questo produce un certo effetto di disorientamento nello spettatore (alla proiezione stampa abbiamo notato la fuga di una parte del pubblico).

Anche se i diversi livelli del racconto non sempre riescono a comporsi in un ritratto coerente (un po’ biografia, un po’ reportage d’inchiesta, un po’ antologia di opere), si tratta di un film di notevole interesse, capace di illuminare i diversi momenti della vita di questa importante fotografa, dove l’arte e la militanza sembrano articolazioni di uno stesso discorso.

Di grande suggestione poi il ritratto della New York degli anni Settanta ed Ottanta. Lurida e selvaggia, vocata all’autodistruzione, eppure così fervida e vitale.

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Tutta la bellezza e il dolore (All the beauty and the bloodshed), di Laura Poitras, USA, 117’

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Dario Zanuso: Ama, al pari di un’iguana, crogiolarsi per ore al sole, ma come una talpa, si trova a suo agio anche nel buio di una sala cinematografica. Il suo sogno nel cassetto è di proporre alla Direttrice una rubrica di recensioni letterarie dal titolo “I fannulloni della valle fertile” o “La valle fertile dei fannulloni”, è indeciso; da sveglio si guarda bene dal farlo: è pigro quanto un koala australiano. Aldo Zoppo: Collaboratore di Gagarin Magazine dal 2010, ha ideato con il fido Dario la rubrica Telegrammi di Celluloide. Nasce a Napoli nei mesi delle rivolte studentesche del ‘68, si trasferisce a Ravenna a metà degli anni ’90 e diventa cittadino del mondo, pur rimanendo partenopeo nell’anima. Lo si trova abitualmente nei vari festival cinematografici del bel paese, apprezza molto le produzioni dei “Three amigos” del nuovo cinema messicano e la cinematografia italiana, dal Neorealismo alla commedia all’italiana. Attore teatrale per hobby, ha interpretato tanti personaggi della commedia napoletana, da Scarpetta ai fratelli De Filippo.