11 gennaio 1999. Esattamente 24 anni fa, all’età di 58 anni ci lasciava Fabrizio De Andrè, il grande poeta, innovatore, cantautore genovese.
Non è facile parlare di un artista di questo calibro. Quello che posso dirvi è che questo amico fragile, in direzione ostinata e contraria, continua a insegnare e affascinare tramite la sua musica che è immortale.
“Fabrizio non è morto, vivrà per sempre negli spazi profumati della poesia che è eterna. “Fernanda Pivano
Il cantautore degli emarginati, il poeta degli ultimi, uomo di grande sensibilità e notevole intelligenza, ha saputo dare voce a tutte quelle urla di dolore che provenivano dalla strada.
40 anni di attività artistica, 14 album pubblicati in studio e canzoni pubblicate come singoli e riedite in antologie. Con Bruno Lauzi, Gino Paoli, Giorgio Calabrese, Umberto Bindi e Luigi Tenco, Fabrizio è stato uno degli esponenti della cosiddetta Scuola Genovese, movimento artistico e culturale nato negli anni ’60, nel capoluogo ligure, che diede nuova linfa al cantautorato italiano.
De Andrè ha rivoluzionato e stravolto il canzoniere italiano con pezzi taglienti, crudi, senza filtri, scomodi per i benpensanti ovviamente, ma colmi di profonda umanità e dolcezza che sapevano arrivare al cuore delle persone.
Come dimostrano le immagini nel giorno del suo funerale il 13 gennaio 1999, quando oltre diecimila persone affollarono il Sagrato e le strade della basilica di Santa Maria Assunta di Carignano a Genova, colma di umanità. Una marea, che qualche anno dopo, a La storia siamo noi, fece dire a Paolo Villaggio, suo grande amico: “ Io ho avuto per la prima volta il sospetto che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: «Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale”.
Le canzoni di Fabrizio sono state inserite nei libri di letteratura italiana a fianco di nomi come Pascoli e Ungaretti, dove le rime, metafore, assonanze e allitterazioni sono il cuore pulsante della sua scrittura, unica e insostituibile, portando anche in auge il dialetto genovese con Crêuza de mä, album pubblicato nel 1984, insieme a Mauro Pagani (PFM), grande esempio di ritorno alle radici e di autenticità.
Ci sarebbero tantissime cose da dire e da raccontare sia della sua poetica popolar- ribelle – anarchica che della sua vita, quello che posso dirvi è che Fabrizio è stato un uomo eccezionale, raro da trovare di questi tempi, vero patrimonio della cultura nazional popolare italiana e simbolo di libertà e nonostante la morte, continua e continuerà ad essere monito sia per le attuali generazioni che quelle future, nella speranza di poter tornare ad una consapevolezza che siamo esseri umani, ognuno con le proprie paure, imperfezioni e fragilità, ma pur sempre umani.
In questi tempi d’instabilità e crisi ci vorrebbero più persone come Faber e sono sicura che avrebbe trovato le parole giuste per dare sollievo e conforto a tutti noi.
Vi lascio con una delle mie canzoni preferite del poeta, Hotel Supramonte, pezzo ispirato dall’esperienza traumatica del suo rapimento in Sardegna, assieme alla sua compagna Dori Ghezzi, liberati dopo 117 giorni di prigionia.
“Ma se ti svegli e hai ancora paura, ridammi la mano
Cosa importa se sono caduto, se sono lontano
Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
Perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
Ma dove, dov’è il tuo amore
Ma dove è finito il tuo amore”