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Potere degli anniversari.
L’abbiam visto nel 2021, con il settecentenario della morte di Dante Alighieri.
L’abbiam rivisto quest’anno con i cent’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini.
Lo ritroveremo nel ’23, con le analoghe ricorrenze di Italo Calvino e don Lorenzo Milani.
Una ridda di iniziative di ogni tipo: teatrali, coreutiche, convegnistiche, editoriali. Et ultra.
A volte, parliamoci chiaro, è aria fritta: occasioni buone per guadagnar due soldi compiacendo (leggi: alle spalle di) quella media borghesia (su cui tanto PPP ha detto, scritto, inveito) che si picca d’una qualche cultura.
Culturame, lo chiama qualcuno.
Tant’è: non saran certo queste poche righe a cambiar lo stato delle cose.
Qui diamo conto non tanto della vita e dell’opera di PPP (lasciamo ad altri i bignami e le pagelle), ma di una doppiamente meritoria iniziativa editoriale, ad opera di un piccolo editore romagnolo, Diarkos.
Due pubblicazioni complementari, han (ri)dato alle stampe, a pochi mesi di distanza, destinate a pubblici opposti: la biografia di Marco Trevisan Pasolini. L’uomo che conosceva il futuro rivolta, come si legge nel risvolto di copertina, “a tutti coloro che si accostano per la prima volta alla figura e all’opera di Pier Paolo Pasolini” e la raccolta di densi saggi Pasolini nella città del cinema del critico cinematografico e storico del cinema italiano Lino Micciché (pubblicata per la prima volta da Marsilio nel 1999).
Complementari, si diceva.
La biografia di Trevisan avvince il lettore comune con una quantità di aneddoti che rendono affatto leggibile la complessità del percorso intellettuale di PPP, anche grazie all’efficace espediente della falsa autobiografia. Sostenuto da un approfondito quanto rigoroso studio delle fonti e da un abbondante uso di virgolettati, il discorso è volto in prima persona, quasi interpellando direttamente il lettore e dando voce ai suoi tanti ii (per dirla con Edoardo Sanguineti, che di PPP fu in qualche modo antagonista).
L’analisi di Micciché si rivolge, al contrario, a studiosi di cinema, ancor prima che di PPP: un linguaggio e un orizzonte specifici, a tratti finanche tecnici, rendono il volume un utile strumento di approfondimento e scandaglio, comprendente anche la minuziosa analisi delle sequenze di quattro sue opere filmiche. L’autorevole attraversamento pasoliniano di Micciché è condotto con rigorosa e netta attitudine storico-critica: tesa cioè ad inserire ogni fenomeno in un contesto specifico e, al contempo, a prendere esplicitamente posizione rispetto a quanto analizzato.
Al netto di alcuni refusi scovati in entrambe le opere, un plauso a questa doppia iniziativa editoriale, così intelligentemente diversificata.
“Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali” si legge in Lettera a una professoressa (a proposito di don Milani): a ciascuno il suo Pasolini, dunque.
Grazie Diarkos per questa (doppia) possibilità.
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