Le tante facce del Giulio Cesare – primo studio

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ph Chiara Ferrin

 

Il Teatro dei Venti è una compagnia attiva dal 2005 in campo artistico, educativo e socio culturale. Si potrebbe dire che, nel panorama teatrale contemporaneo, sono delle facce note.

Il loro recente lavoro teatrale Giulio Cesare – primo studio (andato in scena di recente ma ancora in fieri) coinvolge, invece, delle facce assolutamente ignote.

Sono quelle degli attori: detenuti della Casa Circondariale di Modena. Visi invisibili, che non possono comparire né in locandina, né nelle foto di scena. Eppure ci mettono la faccia e sul palco sono ben presenti, carichi di dignità e di forza formale nel dare corpo e voce ai personaggi del testo di William Shakespeare. Niente volti e neanche nomi nella locandina, tuttavia presenze vere e piene, coralmente e singolarmente.

La scena inizia con Cesare silenzioso e immobile sul trono. Con delicatezza si aggiunge la presenza musicale, che, con viola e voce, intesse un paesaggio sonoro che sembra di compianto e che procede quasi ininterrotto fino alla fine. Poi arriva l’indovino, avverte Cesare di stare attento alle idi di marzo e inizia l’azione, fatta di una successione di confronti, di testa a testa. Da quello tra Bruto e Cassio, che lo convince a partecipare alla congiura, a quello nella piana di Filippi, tra i congiurati e Antonio, prima della battaglia. Le parole di Shakespeare sono riportate con fedeltà, seppur con gli inevitabili accorciamenti dell’adattamento, masticate nei tanti accenti diversi che si incontrano negli istituti penitenziari.

 

ph Chiara Ferrin

 

L’ambiente carcerario è un luogo problematico, spesso imbarazzante, difficile da gestire. In molti casi rischia di essere chiuso, di diventare luogo di esclusione oltre che reclusione. Ma c’è la possibilità di integrarlo in una rete, anziché chiudercelo dietro.
Questo spettacolo, Giulio Cesare – primo studio, che ha luogo proprio all’interno di un carcere, è uno di quei lavori di ricerca in grado creare un’apertura che permetta a detenuti e città di affacciarsi l’uno alla finestra dell’altro. Probabilmente non è un caso che la rappresentazione sia costruita su due linee relazionali, intrecciate. Una è la linea del palco, lungo e stretto, lungo il quale i personaggi si affrontano. L’altra è la linea di sguardo del pubblico, diviso in due platee ai due lati del palco. Una platea si specchia nell’altra, inevitabilmente, quando volge lo sguardo alla scena. In questo modo l’occhio è guidato ad incontrare tutti, personaggi e pubblico antistante, e ogni volto diventa coin-volto.
Ma il palco, come abbiamo già detto, è più lungo che largo e non è facile abbracciare la scena nel suo insieme. Ecco allora che lo sguardo deve spostarsi, focalizzandosi ora su Giulio Cesare, ora sull’indovino, ora su Bruto e Cassio, ora su Antonio. Ne risulta uno spettacolo di persone, più che di scenografie. Di presenze, prima che di personaggi. Emergono i volti nella loro diversità, e le voci. Ognuna con la sua dignità, che sia isolata o in coro, vibrante o secca, attoriale o leggera, in dizione o figlia di un accento.

A sorpresa (ma anche a conferma di buoni risultati) queste voci ringraziano, al termine dello spettacolo, svestiti i panni dei personaggi, con parole garbate, di cose piccole e semplici.
La nostalgia evocata da un costume lavato e stirato. La presenza tra il pubblico di un agente. La possibilità di condividere il risultato con i compagni di sezione. E poi ringraziano i Venti, senza i quali, dicono, “la vita è una galera” (e forse è vero, perché senza vento si deve remare).

Ringraziano il regista Stefano Tè che li ha guidati con mano sicura, l’attore Dario Garofalo che ha condiviso con loro il palco nella parte di Antonio, la musicista Irida Gjergji colonna sonora e portante della rappresentazione. Citano Seneca, Gaber, Papa Francesco. Non finiscono più di parlare, ma è una grazia starli a sentire.

 

ph Chiara Ferrin

 

Mi viene in mente la targa che c’è fuori dal portone, in cui compaiono tre parole bellissime insieme: “Ministero di Grazia e Giustizia”. È un titolo in disuso, non c’è più la Grazia nel nome, ma penso che sia sempre presente e pronta a mostrarsi qualora le si dia l’occasione.