Il giardino analitico di Fanny & Alexander

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ph Luigi De Angelis

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In bilico tra concettuale mondano e tautologico, per dirla con il critico d’arte bolognese Renato Barilli, procede The Garden di Fanny & Alexander, video-concerto che proprio a Bologna, all’Atelier Sì, abbiam visto ieri sera, e che sempre lì sarà in scena ancora oggi, giovedì 15 dicembre, alle ore 19.30.

Dopo il debutto a Romaeuropa e la presenza a Ravenna, per ora l’occasione bolognese è l’ultima per incontrare questa creazione in Italia.

Altre possibilità ci saranno in giro per l’Europa ma in Italia, per ora, no.

Il nostro consiglio: non perdete questa opportunità.

Di far fatica.

Di camminare su un filo.

Di non esaurire.

Cosa?

Il tema.

Quale?

Il rapporto tra arte e sofferenza.

«Perché nell’arte ricorre così spesso un soggetto come quello della sofferenza? Non siamo forse nient’altro che consumatori del dolore altrui o esiste in noi veramente uno spazio per la compassione? C’è una bellezza sublime nella sofferenza? Un’ambiguità? Quali sono le storie del nostro tempo che riverberano questa sofferenza? Deve l’arte assorbire questa istanza? Farsene portavoce? Non rischia di essere consolatoria? Che responsabilità abbiamo nel guardare la sofferenza altrui?»: da queste domande è partito Luigi De Angelis, che di The Garden ha curato ideazione, regia e video.

 

ph Luigi De Angelis

 

Tra le molte declinazioni possibili di una materia così smisurata -e tra le molte possibili letture di una creazione che, come in uso nella bottega artigianal-filosofica di F&A, si stratifica e articola in labirinti di senso e di significazione spesso non del tutto estricabili- in queste poche righe (in questo caso preferiamo all’analisi la velocità di pubblicazione, sperando che funga da invito alla partecipazione odierna) scegliamo di focalizzarci su un aspetto: il rapporto dialettico tra mondanità e tautologia, appunto, che The Garden pare istituire.

La domanda di partenza ci pone, ancor prima del nesso tra arte e sofferenza, l’eterna questione ontologica: cos’è l’arte?

Ciò che gli uomini chiamano arte, risponderebbe con acuta ironia Sir Ernst Hans Josef Gombrich.

The Garden sembra affermare (e noi non potremmo essere più d’accordo) che l’arte sia innanzi tutto, questione di forma. Di linguaggio.

Chiariamo, con un esempio, per l’eventuale lettore occasionale che si sia imbattuto in questa pagina e abbia trovato oscuro quanto scritto fin qui: se a distanza di sette secoli si studiano ancora i sonetti di Petrarca mentre le poesiole da noi scritte in età adolescenziale sono giustamente finite nel bidone della spazzatura non è perché il suo amore per Laura era più grande del nostro per la persona da noi anelata. È, ça va sans dire, innanzi e soprattutto perché quegli endecasillabi fecero una rivoluzione linguistica laddove la lingua delle nostre poesiole non faceva, semplicemente, nulla.

Con buona pace di ogni generico romanticismo, l’aspetto emotivo dell’arte (così come l’esibizione di téchne e la prossimità col reale, elementi che -spesso inconsapevolmente- associamo alla nostra idea di Bello e di Arte) è secondario rispetto a quello linguistico.

Se così non fosse un brano di un qualsiasi neomelodico napoletano sarebbe da considerare maggiormente “artistico” di una composizione di Arnold Schönberg.

 

ph Marco Parollo

 

Ma tornando a noi: di cosa si occupa il sistema di segni posto in essere da De Angelis e compagni?

Di ciò di cui da sempre si occupano i dispositivi artistici: della loro relazione col mondo e con sé stessi.

Ecco che la millimetrica vocalità di Claron McFadden in stretto dialogo creaturale con il live looping di Emanuele Wiltsch Barberio e in rapporto biunivoco con l’ammaliante polittico video che a noi ha ricordato alcune installazioni di Bill Viola (anche se, a onor del vero, i riferimenti esplicitati da De Angelis sono altri) si muove senza posa su un piano inclinato tra le polarità mondano e tautologico, appunto.

La complessa architettura visuale e sonora offerta al nostro sguardo (e udito) nei 75 minuti di questo accadimento pone ora in evidenza figure del mondo (molte persone che a diverso titolo ruotano attorno all’universo F&A, a rappresentare progressivi stati di sofferenza) ora a presentare accadimenti sonori e forme visive significanti in quanto tali (come non pensare ai famosi cavalli in Galleria di Kounellis?).

 

ph Marco Parollo

 

L’insistita dinamica del loop conclama la struttura, la finzione, la componente semantica di questo rigoroso e visionario hortus conclusus.

Faticoso, si diceva in apertura, perché richiede la disponibilità ad affrontare un tema emotivo, o meglio sentimentale, senza sentimentalismo.

Questo, bisogna saperlo fare.

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