Vorrei parlare di quella esperienza violenta, malsana, indispensabile, unica, che dà il semplice gesto di “leggere i russi”. L’ho scritto tra virgolette, perché leggere i russi non è una variante di tutti i mondi letterari, come leggere i rumeni, o magari gli italiani dell’Ottocento. “Leggere i russi” è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i “russi” sono più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelli di liberarsi di Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Céchov. Cosi accadde che, periodicamente, nella vita, veniamo accolti da un attacco di “leggere i russi”.
[ Giorgio Manganelli ]
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Ho sempre amato questa citazione, proprio perché in essa è raccolto tutto ciò che amo della letteratura russa; di riflesso un giorno sono approdato ad interessarmi a qualsiasi ambito di questa cultura, in particolare alla censura imposta durante il regime sovietico.
A marzo del 2020, dopo anni dedicati allo studio dell’economia e della finanza, e al perfezionamento della professione di revisore legale e commercialista, ho concluso il percorso di studi presso il Dams di Bologna, laureandomi in Storia dell’Arte Medievale e presentando una tesi sulle icone russe. Volevo tremendamente fare qualcosa che mi facesse crescere come persona.
Ho scelto di svolgere la tesi a San Pietroburgo fra Hermitage e Museo Russo e ho scritto di come l’arte bizantina avesse per vari motivi influenzato l’arte medievale russa.
L’esperienza in Russia nel 2019 a contatto con tradizioni, cibo, cultura e linguaggi diversi è stata piena di ostacoli ma illuminante allo stesso tempo. Ero così profondamente attratto da questo mondo che per me non esisteva nient’altro; nessun altro argomento catturava il mio vivo interesse; di conseguenza quando è stato il momento di scegliere la tesi, sapevo già verso quale direzione mi sarei mosso.
Inoltre in quegli anni avevo già intrapreso un percorso verso lo studio della lingua, che ho in parte perfezionato durante il mio breve periodo di studi e ricerche a San Pietroburgo. Mi lanciai nello studio del russo completamente inconsapevole della sua complessità, degli sforzi mentali che essa richiedeva, e dell’impegno alla quale ti costringeva.
Ancora oggi, dopo diversi anni, non è che sia esattamente a buon punto…
Ho avuto il bisogno di credere nella cultura russa, proprio perché sostengo che vada profondamente investigata, seppur a volte in maniera irrazionale e casuale, come spesso mi è capitato di fare, senza pomposità né retorica; per questo ho deciso di intitolare questa rubrica La Russia senza retorica.
I suoi misteri, le sue contraddizioni, il samizdat e tamizdat che durante il periodo sovietico impedivano il diffondersi di tanti ambiti della cultura popolare creavano in me un sentimento di rabbia, ma anche di sconvolgente interesse.
Questa rubrica è rivolta a chi ha voglia di “comprendere” un po’ di più.
Il mio obiettivo sarà quello di esplorare musica, teatro, cinema, arti visive e letteratura, lasciando spazio forse anche a qualcosa di leggermente “frivolo”.
Non mi concentrerò sugli artisti che sono diventati maggiormente noti in Europa, o meglio quelli che molti potrebbero considerare come “commerciali”; di questi già sappiamo tutto, ma rivolgerò il mio sguardo verso coloro i quali per un motivo o per un altro sono rimasti spesso in ombra. Diversi di questi artisti proverranno da Armenia, Georgia o Ucraina, durante il periodo in cui appartenevano all’ex Unione Sovietica, per sottolineare come la cultura di un medesimo vasto territorio possa essere allo stesso tempo multiforme e uniforme.
Gli anni della censura hanno visto svilupparsi il fenomeno del samizdat e del tamizdat, che fu quel processo a causa del quale alcuni artisti non ebbero la possibilità di diffondere liberamente le loro opere in patria, in quanto contrastati dal regime sovietico perché considerati scomodi o pericolosi a causa delle tematiche che proponevano.
Purtroppo il 2022 ha visto la situazione relativa allo sviluppo della cultura russa complicarsi, quando in diversi ambiti è stato proibiti o meglio “vivamente sconsigliato” di occuparsi di queste arti; questo a causa del conflitto fra Russia e Ucraina.
La vicenda di Paolo Nori scrittore e insegnante universitario italiano che per me ha da sempre costituito una fonte inestimabile di conoscenza e sapienza nel diffondere la cultura russa, è balzata agli onori della cronaca, quando è saltata la sua lezione su Dostoevskij alla Bicocca. Questo evento è stato il primo di tante lezioni saltate e cancellate; come se l’arte e la cultura spaventassero e avessero una colpa che si riflette nella politica di oggi.
Ma Dostoevskij, Turgenev, Pushkin, Chlebnikov, Achmatova e Cvetaeva che ne sapevano d’altronde? E che ne sapevano i censurati del periodo sovietico che nel 2022, le loro opere sarebbero state nuovamente stigmatizzate, e che solo in patria si sarebbero potute suonare le opere di Tchaikovsky? D’improvviso ho provato un sentimento di enorme disonestà e disparità, ma allo stesso tempo di profonda gratitudine verso un mondo che io, in parte e a piccoli versi, già conoscevo.
Grazie fin da ora per la pazienza e la costanza con la quale leggerete questi pezzi, e grazie anche a coloro che mi diranno: Il tuo pezzo fa schifo!
Ma riprendendo una citazione di Chlebnikov: “Poco, mi serve. Una crosta di pane, un ditale di latte, e questo cielo e queste nuvole”.
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