La conquista dell’inutile: Lo stato dell’arte di CReSCo a Fienile Fluò

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Werner Herzog, Fitzcarraldo

 

La conquista dell’inutile, vale forse ricordarlo, è il titolo di un libro di Werner Herzog edito in italiano nel 2007 dove è raccolto il diario tenuto dal regista durante la lavorazione di Fitzcarraldo, tra giugno 1979 e novembre 1981, pubblicato a oltre 20 anni dall’uscita del film.

Del diario di questa nuova tappa (la numero diciassette, avvenuta il 23 e 24 novembre 2022 a Fienile Fluò, sui colli bolognesi) del lungimirante progetto di CReSCo – il Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea Lo stato dell’arte abbiamo avuto per la prima volta l’invito di occuparci.

A distanza di pochi giorni dall’appuntamento crediamo corretto evidenziare innanzi tutto l’attitudine che muove il progetto e che gli artisti ospiti hanno condiviso e rilanciato: so-stare in un cominciamento a tentare di condividere immagini e immaginari e, in tal modo, nutrirsi a vicenda.

Inutile sottolineare come le arti dal vivo e in particolar modo quelle che perseguono una via altra rispetto a ciò che è comunemente associato all’idea di bello (leggi: imitazione della natura, esibizione di téchne, espressione lirica dei sentimenti) siano comunemente considerate un orpello, un lusso, un di più.

Al di là delle frustrazioni individuali, pare pleonastico ricordare come ciò si traduca, ahinoi, in una feroce lotta per la sopravvivenza, spesso fagocitati e anche un po’ imbruttiti da bandi inaffrontabili, progetti pieni di insidie, sempre più ardui tentativi di vendere il proprio lavoro, eccetera.

Ecco che in questo desolante panorama un manipolo di artisti della scena contemporanea (leggi: non abbastanza tutelati dal Sistema) che si concedono un tempo non direttamente produttivo, silenziando email e telefonate e occupandosi di ciò che in un mondo ideale sarebbe semplicemente il loro mestiere -la creazione scenica- appare un atto poetico, resistente, lungimirante, finanche rivoluzionario.

Una inutilità da conquistare.

Inutilità, ancora, perché neanche si è propriamente in un mercato (leggi: un festival, una vetrina, un premio), in cui si cerca di piazzare il proprio prodotto “col vestito buono”.

Si sta in un’aurora, in un protendersi verso qualcosa di nascente.

Dunque, inevitabilmente, nudi.

Ecco che l’accoglienza di Angelica Zanardi, direttrice artistica di Fienile Fluò e “testimone interessata”, come dicono a CreSCo, non è solo decorativa o migliorativa, ma parte stessa dell’esistenza in vita di questo affacciarsi agli altrui sguardi e visioni.

Scriveva il poeta Andrea Zanzotto in un verso della sua Al Mondo: “fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto”.

Esattamente di questo siam stati testimoni.

Grati.

 

Giorgio De Chirico, Il figliol prodigo

 

Il Teatro dei Venti, con un ricco corredo di bozzetti, ha presentato il mastodontico progetto in divenire La misura umana, il cui debutto è previsto a Modena nel 2025.

Punto di partenza: Il figliol prodigo di Giorgio De Chirico, 1922, in cui il regista si è fortuitamente imbattuto in una mostra.

Ciò che lo ha colpito di quella immagine, racconta, è il sostegno reciproco: “non sapere chi aiuta chi”.

Ben quaranta attori-artefici di età e con caratteri diversi daranno luogo a questo accadimento ancora una volta ideato, dopo Moby Dick, per lo spazio pubblico.

Una colossale marionetta (15 metri d’altezza) sarà portata e messa in movimento in scena, per poi essere smembrata in una sorta di feroce festa dionisiaca o sabba alchemico, trasformativo.

Le parti del corpo del gigante, trasportate in altra piazza, diventeranno occasioni di attivazione dei cittadini.

Funzione del teatro, racconta Tè, è mettere in movimento e poi sparire.

Come non pensare a Franco Vaccari, alla sua Esposizione in tempo reale – Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio alla Biennale di Venezia nel 1972: una scritta in più lingue a invitare il pubblico a una (rappresent)azione, di sé e tramite sé. Utilizzando una macchina per fototessere installata in loco, chi lo desiderava poteva produrre autoscatti e con essi comporre l’opera: su un piano inclinato -in quel caso come in questo- che vira verso il simbolico, finanche verso la dorata allegoria.

Opera aperta, direbbe Umberto Eco, il cui completamento è possible grazie unicamente al contributo (di sguardo et ultra) del fruitore.

“Dall’Io macchina perfetta e solitaria a un noi”, sintetizza Tè a proposito dell’arco drammaturgico e spettacolare che sta ideando e costruendo insieme ad Azzurra D’Agostino per i testi e Vittorio Continelli per la drammaturgia e in dialogo e collaborazione con numerose realtà internazionali, ad alcune delle quali sarà affidata la realizzazione di diverse parti di questo accadimento.

Vian da pensare ai Meininger, certo, per la vastità del progetto, ma anche a Hermann Nitsch, al suo Teatro delle Orge e dei Misteri, per la funzione catartica e trasformante che questa proposta (tra orrore e meraviglia, pars denstruens e pars construens) persegue.

Tanto altro certo si potrebbe e forse dovrebbe dire de La misura umana, così come degli altri progetti attraversati, ma certo non è pensabile esaurire in queste poche righe la ricchezza e la stratificazione di quanto è in divenire.

Pare però significativo nominare, a mo’ di sineddoche dell’attitudine reciprocamente nutriente che le giornate sui colli bolognesi hanno avuto, il commovente cortometrtaggio Omelia contadina di Alba Rohrwacher, realizzato in collaborazione con l’artista visivo JR nel 2019, evocato da Enrica Sangiovanni di Archivio Zeta, stimolata dal racconto di Stefano Tè.

 

Teatro dell’Argine, Futuri Maestri

 

Andrea Paolucci del Teatro dell’Argine ha introdotto Cos’è quella cosa che? (titolo provvisorio), progetto di teatro partecipato che vedrà in scena una quindicina di preadolescenti di 11-13 anni in Sala Borsa, a Bologna, nel maggio 2023, al termine di un percorso che nei prossimi mesi coinvolgerà prima migliaia e poi centinaia di coetanei del territorio bolognese.

Paolucci parla (o, meglio, testimonia) di un’idea e una pratica di teatro come strumento di valorizzazione dell’Altro da sé, di “estetiche costruite in base alle poetiche e ai contenuti che i partecipanti mettono in campo”.

“L’artista guarda, ascolta, dissoda” aggiunge in merito al progetto (ma forse si potrebbe allargare il discorso all’intera prassi maieutica che la Compagnia sta affinando ormai da molti anni).

Ecco le tappe, in estrema sintesi:

  1. in questi mesi: questionario distribuito a 24.000 preadolescenti del territorio bolognese su diverse tematiche, a partire dalla concezione, la fruizione e la produzione di arte per arrivare a esperienze e vissuti personali su relazioni personali e identità
  1. tra gennaio e aprile 2023: laboratori teatrali realizzati in 10 classi collocate in aree del territorio Bolognese molto diverse tra loro. Da questi percorsi verranno estrapolati temi e parole chiave da cui si partirà per creare il canovaccio dello spettacolo
  1. prove e a fine maggio, come accennato, debutto in Sala Borsa a Bologna (restituzione alla città, in forma performativa, dei risultati del questionario). Lo spettacolo, auspicabilmente, avrà poi una propria autonoma circuitazione.

Paolucci parla (o, ancora, testimonia) della fortuna di avere un “contatto quotidiano con mondi completamente diversi dal nostro” e della “attenzione al processo di lavoro non come valore, ma come metodologia”.

Il dialogo, stimolato da questa testimonianza, vira su temi larghi e fondanti su cosa sia e cosa non sia teatro, sulla sua funzione.

Ci si permettono domande fonde, di senso e di etica del proprio fare.

Ci si permettere un tempo di riflessione su cosa il teatro sia e a cosa serva, in un tempo malandato come quello che stiamo attraversando.

Non si giunge a risposte chiude, ovviamente, né tanto meno a ricette o soluzioni: si sta in una condivisione fonda, etimologicamente filosofica.

Questo dialogo è stato un esempio, ci vien da pensare al termine della sessione di lavoro a loro dedicata, della loro innata attitudine ad attivare e valorizzare gli altrui contenuti.

 

Archivio Zeta, La montagna incantata

 

Sono costitutivamente legati alle storie, e alla Storia, Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni di Archivio Zeta, che condividono tre progetti in corso che vedranno la luce nel 2023, anno in cui festeggeranno il quarto di secolo di attività della loro Compagnia e due decenni di lavoro al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa. 

In occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, al Centro Culturale Il Funaro di Pistoia presenteranno la ripresa, o meglio la ri-creazione, de La notte di Elie Wiesel, da loro allestito per la prima volta vent’anni fa.

Raccontano con passione e precisione la genesi di quella prima creazione: l’intervista fatta a Boston all’autore (una prima volta rimandata a causa dell’attacco alle Torri Gemelle); la sua lettura di alcuni frammenti del testo in francese (lingua originale del testo pubblicato) e la sua scrittura di alcune frasi in Yiddish (lingua del testo originale, più ampio di quello poi dato alle stampe), filmate e poi utilizzate nello spettacolo; il viaggio in cui rifecero il percorso che Wiesel racconta nel libro, catturando immagini ed esperienze divenute poi parte dell’allestimento.

“Nel frattempo abbiamo lavorato a lungo con la Scuola di Pace di Montesole”, raccontano “e alla Futa per vent’anni: ciò certo modificherà la nuova versione dello spettacolo”.

Si apre una riflessione condivisa sulla possibilità di superare il manierismo, di non essere schiavi del proprio stile.

“Ci son due tipi di registi: kubrikiani e felliniani”, sintetizza Guidotti.

Insieme si ragiona su una domanda larga: quanto ti fai modificare, come artista, dal materiale su cui lavori?

La questione dell’originalità, rispetto al proprio percorso ma anche rispetto al lavoro di altre donne e altri uomini di teatro, raccontano, si presenta anche per Le Baccanti di Euripide, che allestiranno a Villa Aldini, a Bologna, con debutto nel mese di maggio 2023.

Chi è per noi Dioniso?
Cos’è la nuova religione che propone?
Chi solo le Baccanti?

Queste le domande alla base della loro rilettura di un testo che per loro è in primis una riflessione sul teatro: “Cercheremo di smontare le immagini mentali che abbiamo su quel testo e sui moltissimi allestimenti che ne sono stati fatti”.

“Perché la mia lettura non coincide con i modi in cui è stato messo in scena finora?” si chiede Guidotti.

Nell’estate, alla Futa, sarà allestita la seconda parte de La montagna incantata (la prima parte del mastodontico romanzo di Thomas Mann è stata tradotta per la scena nell’estate 2022).

Il racconto del progetto evidenzia un rapporto problematizzato con lo spazio e, ancora una volta, un ripensamento degli elementi base del fatto teatrale (caratteristica preziosa che ha connotato, come già accennato, molti momenti di queste giornate).

Nella vicenda del romanzo gli artisti ritrovano, con ironia, un tratto autobiografico: come il personaggio narrato da Mann entra in un luogo (un sanatorio di montagna) e vi resta intrappolato sette anni (invece di tre settimane), così loro, alla Futa da vent’anni, in una situazione tanto stimolante quanto complessa, sia dal punto di vista burocratico che materiale (un aneddoto fra molti: decine di giovani soldati tedeschi che si allenano al suono di musica techno mentre loro, in costume, stanno provando alcune scene di uno spettacolo).

 

ph Olivia Spatola

 

Il tempo insieme si conclude, su proposta di Angelica, con una sintesi e l’individuazione di alcune parole o definizioni chiave di ciò che ciascuno sta artisticamente attraversando.

Teatro dei Venti: coerenza, utopia.

Teatro dell’Argine: ascolto, arte, people specific.

Archivio Zeta: memoria della polvere, memoria del teatro, memoria del tempo presente.

E a proposito di sintesi e di parole significative, concludiamo questo breve diario con la poesia di Andrea Zanzotto citata in apertura, che racconta esattamente le fortunate giornate volute da CReSCo.

Incredibile: come se il poeta fosse stato lì con noi.
Potere dell’arte, quando è tale.

*

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

Su, münchhausen.

 

[Andrea Zanzotto, Al Mondo in La beltà, 1968]

 

Andrea Zanzotto