Il monologo teatrale è un fiume di parole praticamente ininterrotto. Il flusso di coscienza di un attore che interpreta un attore che interpreta Joker e che vorrebbe fare uno spettacolo su di lui. O forse è un attore che interpreta un uomo che vuole essere Joker e che vorrebbe fare un salto di trenta piani verso la morte. Oppure è Joker che interpreta un uomo normale, per entrare nella testa della gente e mettere a soqquadro le feste. Insomma, coi flussi di coscienza è così: non c’è un filo e non c’è un fuoco. È facile perdersi. Il testo è un labirinto di frasi a mezzo: pensieri sul suicidio, ricordi di una festa, battute tristi, dialoghi con gli spettatori, dialoghi con i produttori, dialoghi con nessuno, digressioni sull’origine del Joker, citazioni del film The dark knight, visioni, flessioni, elenchi e tante lamentazioni.
Il contesto è questo: un uomo vestito da Joker in cima a un palazzo guarda giù e pensa che dovrebbe buttarsi di sotto. Ma anche se lui mira in basso, lo spettacolo punta in alto. Infatti l’intento, semplificando le parole dell’attore e ideatore Michele Maccagno, è quello di svegliare lo spettatore e invitarlo alla ribellione contro una società fatta di immagini, maschere e icone. Per questo c’è il Joker: anarchico e anticonformista per eccellenza.
In quest’ottica dunque il Joker non vuole apparire come un criminale, ma come un salvatore (forse da qui il titolo, che con quel “man” aggiunto in fondo al nome richiama il classico suffisso di cui si fregiano i supereroi).
Ma quale Joker?
Il personaggio, infatti, esiste dal 1940 nei fumetti di Batman di Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson ed è stato scritto, riscritto, fritto e rifritto in migliaia di storie. Ogni volta con un sorriso diverso.
In The killing joke di Alan Moore è il folle che vuole farsi profeta della sua follia, in Arkham Asylum di Grant Morrison è colui che ha una visione più ampia sulla condizione umana nella società moderna, ne Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller è quasi un bambino, imbronciato e capriccioso fino all’arrivo del suo regalo (Batman), in Morte della famiglia di Scott Snyder il joker è un folle d’amore, invaghito di Batman, e in Amanti e pazzi di Michael Green è un criminale trasformato proprio da un errore dello stesso Batman.
L’elenco continua sullo schermo: il Joker di Jack Nicholson è un gangster imprevedibile, quello di Mark Hamill è divertente e allo stesso tempo minaccioso, quello di Joaquin Phoenix è un emarginato in cerca di giustizia.
Ma il joker a cui si rifà dichiaratamente lo spettacolo è quello interpretato da Heath Ledger in The dark knight di Christopher Nolan, l’anarchico emissario del caos, dal passato oscuro. È con questa versione, paradossalmente quella più anticonformista e ribelle, che il Joker diventa un’icona, una moda, andando ad alimentare la società dell’immagine e del conformismo contro cui si batte. Dunque, perché scegliere proprio questo Joker per The Jokerman? È quasi un suicidio (e forse non è un caso che lo spettacolo si apra così)! E infatti ad un tratto, nella messa in scena, viene formulata questa domanda: “Michele, dicci che spettacolo hai in testa”. E la risposta arriva semplice e diretta, ma allo stesso tempo elusiva: “Fidatevi”.
The Jokerman, di Michele Maccagno, Francesco Maria Asselta e Marco Merlini, visto al Teatro Testori di Forlì il 12 novembre 2022