Corpi intrecciati mutano in macchine e volti in un’esplosione di colori pastello. Sono arti, busti, seni, genitali, tubi e ingranaggi in un groviglio sensuale in costante evoluzione. Questo e altro possiamo trovare nei disegni di Porpora Marcasciano raccolti ed esposti alla Project Room del MAMbo di Bologna, una sezione del museo che nasce specificatamente per mettere in risalto esperienze artistiche legate al territorio emiliano-romagnolo.
La nuova mostra Non sono dove mi cercate. Porpora Marcasciano, il movimento, dall’underground al queer al MITa cura di Michele Bertolino inaugurata il 10 novembre 2022 si concentra sulla produzione di disegni di Porpora Marcasciano realizzati tra gli anni ‘70 e ‘80 e fino ad ora rimasti inediti.
Porpora Marcasciano è una colonna portante del movimento LGBTQ+ italiano: attivista, sociologa, attrice, e, in questo caso, artista (qui la nostra recente intervista).
Una raccolta di corpi politici e rumori
Porpora racconta di come i disegni seguano un viaggio, un viaggio durato 50 anni e partito con lo Studio Uno Underground in provincia di Benevento, un proto-centro sociale fondato da un gruppo di hippy aperto 24 ore su 24 dove si beve tè, si discute di politica, si ascolta musica, si legge e si scrive. Qui Porpora inizia la sua produzione artistica che continua fino agli anni Ottanta, momento di rottura dove il disegno viene accantonato.
“Forse perché pensavo di non essere capace o forse perché era finita l’ispirazione. Ma quando rivedo questi vecchi disegni scopro sempre nuovi sedimenti e simboli”.
Studio Uno Underground dura solo un anno; tuttavia, l’esperienza del centro riesce a lasciare un segno nei giovani locali che «iniziano a ribellarsi», nonostante il centro scompaia così presto, sommerso dalla «bruttura del mondo». Porpora, in quel luogo, incontra «l’euforia della rivoluzione», per lei è come scoprire un altro pianeta, un’altra galassia.
A Bologna, Porpora si trasferisce dal ’77 all’80. Sono anni densi, colmi di eventi che segnano la storia politica del paese e dei suoi movimenti queer. Nel ’77 troviamo le vicende del movimento studentesco e il convegno sulla repressione, l’82 è invece l’anno della presa del Cassero in Porta Saragozza e la legge 164 con la quale le persone trans possono vedere riconosciuto il loro genere elettivo. Anni di fermento politico in cui Bologna è uno dei principali epicentri.
A lungo, i disegni di Porpora rimangono chiusi in una cartelletta in soffitta, finché sua madre, pochi anni prima di morire, fa una «scoperta archeologica» riesumando il faldone di acquerelli prodotti dal ’77 all’81.
“Entrarono poi nell’oblio tra i tanti traslochi e amnesie tossiche. Li avevo persi, o almeno lo pensavo finché un giorno mia mamma li recupera in soffitta – guarda un po’, questa forse è roba tua. La cartella riapparve circa venti anni dopo e fu una dolce restituzione, un regalo del grande amore di mia mamma”.
Un corpo pieno e senza organi
I disegni di Porpora sono spesso combinati a immagini trasferite da giornali tramite un foglio trattato in precedenza con acqua ragia. Si gioca con macchie, colore, sfumature, incastonando corpi e pezzi meccanici in un paesaggio surreale che tanto riflette lo spirito del tempo e le canzoni rock dei Pink Floyd, dei Doors, dei Jefferson Airplane che hanno fatto da sfondo musicale alla loro creazione. Dalle figure dell’artista emerge un corpo mutante, in progressione: tagli diventano occhi, falli, vagine, componenti del corpo scivolano e si incastrano formando un corpo senza organi.
Incastonate tra le carni troviamo frasi e parole che si riferiscono alle letture dell’artista e a canzoni, esplicitando i suoi riferimenti culturali. Ecco che troviamo l’anarchia del Living Theater e le visioni lisergiche di Aldous Huxley. I disegni diventano introspezione, sfogo, delirio – un segno intimo basato su emozioni e sensazioni, in cui è la musica a guidare la penna che prende vita propria in un automatismo.
“I disegni più che un valore artistico hanno uno culturale perché sono le immagini inconfondibili dell’effervescente e turbolenta scena di quel periodo, sono l’urlo di una generazione, il manifesto degli anni Settanta e Ottantavoglia – come stampato in caratteri cubitali su uno dei disegni”.
Un’opera di documentazione
Oltre ai coloratissimi e psichedelici acquarelli di Porpora, in mostra vi sono una serie di pannelli semi trasparenti in cui è esposta una grande raccolta di materiali d’archivio con ritagli di giornale, flyers, comunicati politici e copertine di dischi che ripercorrono una storia politica non lineare di quegli anni di grande mobilitazione.
Si parla del Narciso, del Collettivo Frocialista Bolognese, della militanza nel MIT (Movimento Italiano Transessuali).
Vengono messe in luce le contraddizioni e le profonde ingiustizie spesso parte degli stessi movimenti antagonisti che «solo a parole si definiscono movimenti di tutti gli emarginati della società capitalistica ma che di fatto ripropongono al loro interno le strutture e i meccanismi discriminanti del potere» (Collettivo Frocialiste Bolognesi, 1978).
Diventa quindi impossibile non correre con la mente al presente, saltando le linee temporali per trovare differenze e parallelismi nella storia e nell’evoluzione delle lotte per i diritti LGBTQ+, a partire delle stesse terminologie cambiate e nate nel tempo.
“Quando ho cominciato questo percorso legato a una coscienza di me, la coscienza era di una diversità rispetto a quello che mi stava intorno. Erano gli inizi degli anni ‘70, quando mancavano le parole, i concetti. Mancava tutto, perché quello è stato il periodo in cui si è entrate in scena: non c’erano i riferimenti, quindi bisognava inventarseli. Bisognava inventarsi il percorso e la strada da percorrere. Lungo questo mezzo secolo ci sono state ricerca e scoperta costanti”, dice Porpora nell’intervista a Gagarin.
La storia personale di Porpora Marcasciano si collega così a una storia collettiva, a un viaggio, un percorso che non sarà breve. Per le nuove generazioni che non hanno vissuto gli anni in cui l’esposizione si concentra e non sanno ciò che ha preceduto questo momento storico è un’occasione di apprendere e scoprire le radici.
Non sono dove mi cercate è una mostra che farà sorridere coloro che quegli anni li hanno vissuti in prima persona e incuriosire e fantasticare coloro che di quel decennio di fuoco hanno sentito solo le storie. Si tratta di disegni annodati alle vicende politiche che ne sono diretti debitori.
La mostra è accompagnata dall’installazione sonora Non siamo dove ci cercate realizzata da ALMARE per l’occasione dove testimonianze, registrazioni, canzoni e materiale d’archivio vengono riprodotte mescolandosi ai disegni in un’esposizione corale, indagando la memoria di un momento fondamentale nella storia sociale dei movimenti rivoluzionari.
fino all’8 gennaio 2023 – Project Room del MAMbo, Via Don Minzoni 14, Bologna, ingresso intero 6 euro, ridotto 4 euro