La collina degli alfieri tra poesia, racconto e memoria

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ph Chiara Agostinetto

 

Per la tarda estate settembrina Lorenza Zambon, attrice e giardiniera, ha ideato il festival La casa in collina, uno degli ultimi all’aperto della stagione. Un momento da abitare pienamente per capire a quella comunità che lo rende possibile.

Dopotutto è Cascina Bertolina nel Monferrato (provincia di Asti), casa degli alfieri dal 1994, ad avere un suo costitutivo senso di comunità. Viene difficile definirla casa o teatro, qui vita vera, arte e natura coabitano lo spazio e si mescolano nei progetti e nei ricordi di chi la abita: Lorenza Zambon, Antonio Catalano, Maurizio Agostinetto e i molti collaboratori. Gli alfieri che, come si legge in un loro libro, sono i pezzi che corrono/trasversalmente sulla/scacchiera/sono i portatori d’insegne,/i più temerari sul campo di/battaglia,/sono gli esploratori,/i camminatori di domande.

I momenti di La casa in collina sono scanditi da poesie e racconti in forma teatro, tanti ricettacoli di parole e immagini che si trasmettono nell’attimo, nello stare insieme di attori, autori e pubblico.

Il concerto poetico Mancamento azzurro traduce questo senso di comunità sul palco al chiuso della Cascina. I versi di Andrea Zanzotto costituiscono l’atmosfera dello spettacolo distribuita nell’interpretazione di Vasco Mirandola, la voce di Enrica Boschiero e i molti strumenti di Sergio Marchesini. La parola poetica si forma e riforma tra queste molte presenze: dal ritmo scandito dell’attore alla melodia della cantante, per poi, infine, tradursi in note. Allora mi viene in mente che forse il Poeta, quello con la P maiuscola, è quello che tocca tutti i modi di esprimersi e la sua capacità non muta che sia una parola, una rima o una nota.

La poesia ti contagia. Lo sa bene Vasco Mirandola che il giorno dopo aver recitato Zanzotto si esibisce nel giardino della Cascina con Volevo scriverti accanto, un recital poetico in cui legge i suoi brani dall’omonima raccolta e da un altro libro 100 Poesie in gioco per sostare poeticamente nel mondo. Entrambi di recente pubblicazione. La poesia ti cura. Nel gioco di Mirandola la poesia è qualcosa di intimo, quotidiano e vicino. Una presenza che, come diceva Pier Paolo Pasolini, non si può consumare e, aggiungo, ti resta incollato quando ti colpisce davvero. E magari cambia il modo di guardare alla realtà.

 

ph Chiara Agostinetto

 

Sicuramente un’altra realtà fatta di sirenette a ferragosto, nonni tatuati e uomini misteriosi che non amano l’insalata russa è quella dei Racconti dell’uomo con il cappello di paglia, alias Antonio Catalano. L’autore-attore ci prende per braccio e ci trasporta nella lettura dei suoi racconti serviti al pubblico come un cesto pieno di ciliegie, di cui non si è mai sazi. Nel recitare le sue storie Catalano, con cappello, occhiali e pizzetto, diventa uno dei suoi personaggi, metà persona vera e metà figura. La mescolanza tra realtà e finzione è confermata dal pezzo Concerto Azzurro composizione scritta da Catalano in poche ore per omaggiare il concerto della sera precedente. In questo stare comunitario si assiste anche alla genesi di una storia.

Tra la poesia di Mirandola e i racconti di Catalano incontriamo un oggetto particolare, allestito sul sentiero che dalla casa arriva al palco naturale circondato di pioppi cipressini. È Nascimenti di Rossana Farinati. Il pubblico si accalca già in silenzio attorno all’attrice che ci accoglie bagnata, come appena nata, e prima di iniziare fa un profondo respiro. Racconta la nascita di suo figlio – o di qualsiasi figlio – incrociando autobiografia e mito. Sceglie la recitazione in dialetto veneto, una lingua madre dove la musicalità del linguaggio recupera il tellurico sapore dell’origine. Il rigore attorico e il controllo del ritmo vocale emergono in una lunga e intensa tirata che culmina in un crescendo di tensione, quello che coincide con la nascita. A quel punto un bambino, tra il pubblico, geme. La nascita: qualcosa che di misterioso ha molto, come il teatro.

 

ph Chiara Agostinetto

 

Cala la sera e torniamo dentro il teatro della Cascina. Eppure con Paolo dei lupi di Bradamante Teatro è come restare all’aperto. Lo spettacolo ci porta nel Parco della Majella in Abruzzo, dove Paolo, un ricercatore universitario, cerca di comprendere le ragioni della scomparsa dei lupi nel territorio. L’attrice Francesca Camilla D’Amico restituisce un’interpretazione scandita in cambi di tono e voce, in cui emergono tutte le conflittualità tra umanità e natura: da una parte, i cacciatori che si sentono padroni di un territorio, dall’altra, i lupi che per sopravvivere sono costretti ad attaccare le pecore dei pastori. Contraddizioni non sempre risolte dall’atto semplice ma eroico della mediazione del protagonista.

Altrettanto serrato e coinvolgente è lo spettacolo Un alt(r)o Everest della Compagnia (S)legati. Due amici tentano di raggiungere la sommità del monte Rainer negli Stati Uniti e la scalata, in cui muore uno di loro, diventa metafora della vita. La narrazione si costruisce su una linea temporale mista tra flashback e flashforward, un montaggio dal sapore cinematografico in cui, da una parte, emergono le ansie quotidiane di vivere tra le paure e i limiti, dall’altra, la tensione alla sopravvivenza che a volte fa superare anche sfide apparentemente impossibili.

Ma non tutti gli spettacoli nella casa degli alfieri si collocano sui multiformi palchi che la cascina mette disposizione, come il giardino o il teatro interno. Alcuni restano sugli scaffali dell’Archivio di Teatralità Popolare. Un patrimonio frutto della ricerca di Luciano Nattino, uno dei fondatori del gruppo, scomparso nel 2017. Il regista e drammaturgo ha accumulato una serie di materiali sulle tradizioni popolari del Piemonte per poi riattivarle con performance teatrali sul territorio. Questo è avvenuto per il Gelindo, il primo pastore a far visita a Gesù bambino, la Passione o la mostra sull’uomo selvatico. Ecco allora che l’archivio è, come diceva Nattino, dispositivo ricreatore, luogo creativo in grado di rimettere in circolo il patrimonio culturale rinnovato nella forma.

 

ph Chiara Agostinetto

 

I molti luoghi della casa si sono dischiusi in queste giornate di festival e gli spettatori sono perfino potuti entrare nelle abitazioni private dei componenti del gruppo. Qui hanno toccato con mano quella commistione tra arte e vita che pone l’accoglienza dell’altro in una comunità come principio fondamentale. Resiste, in questo, un’utopia dello stare insieme che viene difficile sintetizzare in una formula o una ricetta.