Cinema e identità al Reggio Film Festival. Intervista ad Alessandro Scillitani

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Quali sono le qualità del cortometraggio? In che modo questa forma cinematografica è in grado di parlare al e del mondo? Come e quanti tipi di identità possono essere rappresentate sul grande schermo? Sono queste alcune delle domande a cui il Reggio Film Festival cerca quest’anno risposta, declinando la sua annuale proposta nel tema delle identità. Un ricco programma di proiezioni, incontri e workshop accompagnerà gli spettatori dal 26 ottobre all’1 novembre in un’indagine sulle identità di genere e culturali, religiose e animali, immergendolo nei meandri della storia del cinema e delle arti.

“Come ogni anno, il festival ha certamente un’attenzione forte per il cinema e il cortometraggio in particolare, ma in generale per tutte le altre discipline artistiche che, in un certo senso, possono essere inglobate in un’opera cinematografica. Quindi non disdegniamo mai tavole rotonde, incontri, workshop, spettacoli”, racconta Alessandro Scillitani, ideatore e direttore artistico del festival, a proposito della sua programmazione.

E fil rouge di quest’anno sarà il tema delle identità.

“Esatto. Da sempre il festival ha questa declinazione su un tema, anche se bisogna sottolineare che essa non è necessariamente esaustiva: essendo il festival una vetrina e una panoramica internazionale sulle produzioni, c’è sempre una sezione libera che ci consente di mostrare al pubblico delle opere che affrontano tematiche altrettanto rilevanti. L’idea è comunque quella di dare spazio a tutti.

In ogni caso, certamente c’è questo vestito che noi ogni anno ci diamo, cercando di individuare delle tematiche che possono essere di emergenza e che, infatti, ci portiamo dietro nel tempo. Penso ad esempio al tema della Terra che abbiamo attraversato qualche anno fa e che permane anche in questa edizione, così come anche quello del Cambiamento dello scorso anno. Tra l’altro, nella passata edizione avevamo già cominciato a gettare le radici su quello che sarà il tema di quest’anno, avendo avuto tra gli ospiti Vera Gheno, la quale ha dissertato sull’importanza del linguaggio e sulle contraddizioni che ci regolano. Ecco che quindi l’idea è stata quella di approfondire questo tema così rilevante e così importante in questo momento e cercare di tracciarlo attraverso varie sfaccettature”.

 

Féeroce, Fabien Ara

 

Quando pensiamo a identità infatti ci viene in mente automaticamente l’identità di genere, ma il festival ha declinato il suo tema al plurale invece.

“È chiaro che l’identità di genere è un tema molto frequentato dai filmmaker ed è frequente individuare nei corti storie che trattano l’identità di genere nelle diverse accezioni di transizione, omosessualità, ma anche della difficoltà del linguaggio. Non è però l’unico modo di interpretare il tema dell’identità: l’identità può essere anche l’appartenenza a una Patria, con tutte le contraddizioni che questo significa. Poi c’è anche l’identità psichiatrica, come è fatto il nostro cervello. Ci sono anche corti che parlano dell’universo onirico, che in un certo modo mette in luce un’identità altra, così come qualcuno si è interrogato sul tema mistico. Tutti questi temi costruiscono un puzzle in alcuni casi assolutamente inaspettato per noi, ma era quello che volevamo”.

Perché secondo lei il cortometraggio può essere considerato uno strumento ideale per affrontare le tematiche urgenti del nostro mondo?

“Innanzitutto in esso c’è un elemento fortissimo, che caratterizza il festival stesso, vale a dire il fatto che lo spettatore ha la possibilità di vedere nella stessa sera un corto dalla Lituania, uno dalla Sud Corea, un altro dall’Australia, uno dagli Stati Uniti, uno dalla Francia, e così via. Grazie alla brevità e all’aspetto fulmineo del racconto tipici del cortometraggio, lo spettatore può portarsi a casa un immaginario che è pieno di spunti e di punti di vista diversi. Un’altra caratteristica forte del cortometraggio è che dopo 15/20 minuti è finito e puoi arricchirlo attraverso una discussione, un dibattito, un incontro, un approfondimento dove magari il film serve come stimolo per affrontare tematiche che poi possono prendere altre direzioni.

Questo aspetto è interessante anche per noi organizzatori: quando realizziamo il bando, volutamente non delineiamo in modo didascalico il tema che proponiamo. Per questo arrivano opere che tradiscono, in parte o magari completamente, le nostre aspettative. Ma è quello che vogliamo. Non è essenziale che i corti attraversino il tema nella maniera che ci aspettiamo, deve essere un racconto che lo declina in libertà”.

 

 

Nel programma c’è una distinzione tra cortometraggi di finzione e documentari?

“Il Festival per sua vocazione predilige i corti di finzione, anche se a livello di bando non ci sono restrizioni, per cui nella selezione figura comunque qualche documentario e qualche corto che ha più una caratteristica di spot. Tra i documentari ci sarà sicuramente Allah loves equality sulla condizione LGBTQ+ in Pakistan. Presenteremo poi il work in progress di 5 Nanomoli, il film che racconta la storia di Valentina Petrillo, atleta paralimpica transgender. Poi parlando di identità, natura e cambiamenti climatici, avremo in programma Il sapore della terra di Giulio Giunti. Non perderemo poi l’occasione di omaggiare anche noi il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini con In un futuro aprile, co-diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto.

Abbiamo anche un’attenzione per il corto d’animazione, intesa come un linguaggio non solo per bambini. Ci sarà una sezione specifica di animazione per bambini che quest’anno avrà la sua manifestazione a parte il 20 novembre, mentre i corti d’animazione dei giorni del festival sono per adulti. Anzi quest’anno, sfruttando il passaggio dell’ora legale a quella solare che cade nel mezzo, ci siamo inventati l’ora illegale, che sono un insieme di corti un po’ più azzardati e fra questi ce n’è anche uno di animazione”.

Un po’ in ritardo rispetto al resto del mondo, ma anche in Italia cominciamo a renderci conto che l’animazione può essere anche per adulti.

“Credo che questo avvenga soprattutto nei festival di cortometraggi, perché nell’ambito del mainstream è molto difficile trovare spazio per l’animazione per adulti in Italia. L’elemento che caratterizza il cortometraggio d’animazione è la forte sperimentazione: ci sono stili e linguaggi diversi e nell’animazione questo è particolarmente evidente. Attraverso la computer grafica l’immaginario del cinema di animazione si è un po’ appiattito nel tempo, ma tra i cortometraggi invece si possono rintracciare opere sperimentali, che grazie alla brevità riescono a mantenere i budget più bassi e riescono così a far assaporare un linguaggio e un modo di esprimersi molto diversi”.

 

Badraghe sokot, Mohammad Reza Dehestani

 

In programma ci sarà anche qualche corto proveniente dall’Iran?

“In effetti sono arrivati tantissimi corti dall’Iran, anche perché l’anno scorso abbiamo avuto in giuria Midia Kiasat, regista e produttore iraniano. Questa scelta ha portato con sé un numero cospicuo di opere che si sono iscritte dall’Iran. Chiaramente, quando abbiamo effettuato la selezione ancora non era successo quello che sta accadendo in questi giorni e, in realtà, non abbiamo ricevuto opere che trattano nello specifico il tema del velo. Uno dei corti che abbiamo in selezione parla del rapporto tra uomo e donna, mettendo in luce anche il tema della malattia psichiatrica e dell’identità. I corti iraniani che abbiamo selezionato sono molto profondi e spesso dall’Iran arrivano film molto forti, che hanno una visione molto fuori dal coro nei confronti dell’universo iraniano. Spesso capita di ricevere opere di registi iraniani che non vivono più lì, che si sono trasferiti per avere la libertà di esprimersi”.

Non solo i corti, ma anche gli incontri si declinano secondo il tema dell’identità.

“Certo. Ospiteremo ad esempio Francesco Remotti, antropologo che ha scritto dei libri che contrastano e contraddicono l’importanza dell’identità. Inoltre, abbiamo pensato di realizzare una discussione al femminile dove però, oltre a ospitare sceneggiatrici, autrici, scrittrici, abbiamo chiesto loro di raccogliere le difficoltà del loro lavoro nell’epoca del cosiddetto gender washing, diventato oggi una sorta di obbligo assoluto soprattutto nelle produzioni americane. Esso consiste nella richiesta di rappresentare, all’interno di una sceneggiatura, una comunità plurale. Ci piace trattare anche questo tema, perché di fatto in effetti ci sono almeno due punti di vista diversi al riguardo: questo aspetto è necessario e importante per rimettere in pista una normalità negata nei secoli? Oppure è un tentativo goffo che non porta a niente? Non è un problema che può essere risolto in questa tavola rotonda ovviamente, ma ci piace l’idea che venga comunque affrontato”.

 

 

Ci saranno anche due incontri dedicati a Federico Fellini e a Woody Allen. Non a caso, vero?

“Il Reggio Film Festival si impregna di tante cose che attraversano l’universo cinematografico, ma in quanto festival di cinema è naturale che ci sia anche la declinazione del tema più prettamente dentro a questo mondo. Quindi da una parte trattiamo dell’identità nell’analisi del cinema di Woody Allen e lo facciamo in termini di lezioni di cinema con Roberto Manassero che è critico cinematografico.

Sarà invece Nicola Bassano a raccontarci questa declinazione nel mondo di Fellini, attingendo dal suo libro appena uscito, Fellini 70. Si tratta dunque di una presentazione, ma dedicata sempre all’universo felliniano e alla sua introspezione psicologica”.

Una settimana densa dunque quella del Reggio Film Festival, ricca di spunti e di riflessioni, ma soprattutto di visioni. Perché accanto all’approfondimento e all’indagine tematica, in fondo ciò che non deve mai venire meno in un festival cinematografico è il piacere della visione. “L’opera d’arte non necessariamente deve lanciare un messaggio”, conclude Scillitani. “Ci sono cortometraggi e film straordinari che lasciano la questione del trasmettere un messaggio molto sottotraccia. Certe opere sono straordinarie perché ci portano a pensare qualcosa, ma allo stesso tempo sono vestite diversamente per ognuno di noi a seconda della nostra percezione. Può essere qualcosa che ci dà un suggerimento senza obbligarci a pensarla nello stesso modo del regista. Una cosa terribile per noi spettatori è quando un film svela ogni cosa, distruggendo così la magia del racconto”.