La Gloria: studio su un’Odissea del rancore

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Unde malum? Fabrizio Sinisi rischia di sprofondare nelle sabbie mobili di questo insormontabile enigma della teodicea e riemerge con un testo dalla scrittura potentissima, incentrato sulla figura di un tale Adolf Hitler, giovane aspirante artista frustrato nelle sue ambizioni – sarà respinto per ben due volte dall’Accademia di Belle Arti di Vienna – umiliato dal successo dell’amico musicista August Kubizek che ce la fa, votato apparentemente alla più abietta deriva esistenziale, finendo addirittura nel dormitorio per senzatetto di Meidling and… the rest is history, as they say!

«La Gloria prova ad analizzare i rapporti tra megalomania e potere, tra gioventù e sopraffazione, tra gioventù e spirito autoritario. Il giovanissimo Hitler si muove nel contesto di un’Europa che – pericolosamente simile a quella di oggi vive un momento di pericolosa instabilità, di precarietà, d’inquietudine tali che la porteranno a credere alle bugie di un tiranno megalomane il cui primo aspetto è quello di una disarmante mediocrità: un artista fallito e disperato il cui unico desiderio da ragazzo era quello di diventare famoso, e che si troverà invece a diventare un mostro capace di provocare la più terribile ferita della storia dell’Occidente. La gloria si pone quindi come un piccolo studio sulle origini delle dittature nel mondo occidentale, e sui suoi intricati rapporti con la psiche giovanile» – così Sinisi.

Come abbiamo già scritto QUI, a proposito dell’altra pièce presentata all’Hystrio Festival che si rifà a un personaggio storico tra i più ingombrati, Martin Lutero, per parlare di attualità historia non est magistra vitae. La storia si ripete, risuona l’oscura poesia dell’eterno ritorno e la cattiva novella è agghiacciante: l’essere umano è votato a ripetere gli stessi errori over and over and over again fino all’inevitabile scacco. Poi si ricomincia daccapo. Nell’insensatezza. Nel non senso.

Ma lasciamo perdere la teodicea e le apocalissi del presente che rilanciano errori e terrori che credevamo, poveri illusi, di esserci lasciati alle spalle – quelle dei nostri padri, nonni e bisnonni eccetera.

Abbiamo qui un testo drammatico ben scritto, dal sapore a tratti bernhardiano, degli attori affiatatissimi con una eccezionale presenza scenica, una regia che si propone di «stimolare lo spirito critico dello spettatore» (ah, e quanto ce ne sarebbe ancora bisogno!) adoperando un «meccanismo scenico simbolico e antinaturalistico, supportato dallo stile drammaturgico dell’opera» (Mario Scandale, regista) – insomma, lo spettacolo funziona e ha già ricevuto importanti riconoscimenti: vincitore del premio Forever Young 2019/20 – La Corte Ospitale, nomination UBU 2021 per la categoria “Nuovo testo italiano/scrittura drammaturgica”, nomination UBU2021 a Marina Occhionero e Alessandro Bay Roossi come miglior attrice/attore under 35.

 

 

Non sapeva fare nulla, non lavorava, amava smisuratamente la madre, pensava di essere un artista. Poi scoprì di avere una vera passione, l’odio, e un unico talento: saper parlare.
[Pietro Citati]

Hitler, il “pittore di architetture” amante di Wagner, del teatro, dell’opera, dell’arte, dei musei e delle biblioteche, Hitler l’insonne che sogna la gloria mentre divide con Kubizek una stanza fatiscente a Vienna è un giovane dalle speranze infrante, mendicante pieno di livore sulla soglia del bello che gli sbatte ripetutamente la porta in faccia: niente Accademia, niente amore di donna, niente successo – un crescendo rossiniano (e quanto disprezzo per Rossini e gli italiani!) del rancore.

Adolf costruirà un castello di bugie nel tentativo disperato di non perdere la faccia davanti all’amico e in quello subdolo di accaparrassi la di lui giovane allieva Stefanie, poiché la donna è vista solo come preda sessuale, altrimenti è un essere inferiore, ricettacolo di vizi e malattie.

Le bugie saranno miseramente smascherate – il giovane Hitler sta ancora muovendo i suoi primi passi sul terreno limaccioso della manipolazione. Dovrà “perfezionarsi” e lo farà.

Il meglio, cioè il peggio e ancora di là da venire. Sinisi non lo racconta ma gli spettatori lo sanno e in effetti, non si può separare l’ombra di “quello che sarà” dal campo visivo del palcoscenico.

Ma di “quello che sarà” Sinisi introduce una strepitosa citazione di Piazza degli eroi, ultimo capolavoro di Thomas Bernhard.

Scosso dai brividi dell’insonnia e del furore estatico della propria impotenza che esige niente di meno che il trionfo, Adolf sogna ad occhi aperti Piazza degli Eroi, dove sarà acclamato finalmente come nuovo Messia (notevolissimo il lavoro sul corpo di Alessandro Bay Rossi, conturbante interprete del giovane Hitler).

 

 

La piazza che dà nome al testo più ferocemente politico di Bernhard è proprio quella in cui nel 1938 il Führer avrebbe annunciato alla folla delirante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Terzo Reich.

Piazza invocata qui dal giovane Hitler come apoteosi di quella che sarà la sua gloria!

E di tutto questo sogno di gloria, lo sappiamo bene, non resterà che la cenere. Cenere sull’Europa, cenere nei campi di sterminio.

Sul palco la neve diventa cenere.

La Gloria | di Fabrizio Sinisi, con Alessandro Bay Rossi, Dario Caccuri, Marina Occhionero, regia Mario Scandale, video Leo Merati, luci Camilla Piccioni, assistente alla regia Marialice Tagliavini, produzione La Corte Ospitale. 

Dopo La Gloria, il “Progetto Hitler” prosegue con Incendi, che si svolge a Berlino all’inizio degli anni Trenta. Questo secondo capitolo della trilogia ha debuttato l’estate scorsa al festival AstiTeatro.