Aldo Braibanti raccontato oggi: su Il Signore delle formiche di Gianni Amelio

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Il Signore delle formiche, in concorso a Venezia ’79 e uscito con successo nelle sale lo scorso 8 settembre, è l’ultimo lavoro di Gianni Amelio ed è ispirato, ‘liberamente’ ma anche fedelmente, alle vicende di Aldo Braibanti, un intellettuale scomodo, già partigiano e torturato dai fascisti, dentro una Italia sulle soglie del cambiamento ma che ancora faticava a liberarsi della eredità, culturale, politica, sociale e anche giudiziaria di quel fascismo profondo che tuttora fa paura.

Vicende incentrate sul grottesco processo per plagio a lui intentato nel fatidico 1968 in cui precipitavano, forse anche suo malgrado, tutti gli umori di un passato oscuro incapace di una qualsiasi resa dei conti. La storia di un sentimento consensuale e intenso tra adulti coartato e deformato dalla cattiva coscienza di molti, la storia di due vite sottoposte alla tortura della storia e, prima ancora, degli uomini che a quella storia appartenevano (appartengono?).

Una vicenda che è molto di più di un semplice, anche se clamoroso, caso giudiziario di omosessualità (peraltro quasi mai esplicitamente menzionata) in uno snodo storico di questo travagliato paese. È, a mio parere, soprattutto il colpo di coda di una società retriva (tradizionalista e cattolica, nera e repressiva, patriarcale e familistica) spaventata dall’aria nuova che circolava nel paese, la stessa forse che di lì a un anno comincerà a seminare di bombe e stragi impunite l’Italia da Nord a Sud.

Punire il sentimento sincero, vissuto alla luce del sole, colpevole solo di trasgredire il falso sé su cui quella società contorta si aggrappava per restare al potere, divenne così, da scopo, strumento forse di un disegno più ampio, non ancora consapevole ma nei cui confronti la sinistra italiana fu colpevolmente in ritardo, ed i suoi due protagonisti, l’intellettuale comunista e ‘frocio’ e l’ingenuo studente rubato alle bellezze (sich!) della famiglia, un campo di battaglia per altri scopi ma che comunque e in modo diverso li distruggerà.

Una vendetta dunque, forse un mussoliniano colpire uno per educare molti, che appare esercitata su due vittime freddamente scelte, cui imporre la maschera del male e poter esercitare il proprio residuo potere.

Stupisce, ma in fondo neanche troppo, vedere i diversi apparati dello stato, dai carabinieri alla magistratura e giù fino alla famiglia, esercitare una così evidente sopraffazione (che fosse o meno etero o auto-imposta) senza che si attivassero con prontezza ed efficacia gli anticorpi che una democrazia vera deve dimostrare di possedere. Anche la stampa di sinistra sembrò agire con esasperante lentezza. Ci vollero anni per una vera reazione, che portò anche alla abolizione del reato di plagio quella volta (l’unica) utilizzato per una persona, un uomo intelligente e mite, come dimostra il suo approccio con gli animali (non solo le sue famose formiche), con la natura e con il mondo, dipinto come un mostro.

Del resto una ulteriore dimostrazione della forza che la Società ha di imporre maschere agli individui che la compongono, come insegna anche la scelta di Luigi Pirandello, che quelle maschere ha con efficacia svelato, di farsi seppellire nudo in un ultimo tentativo, forse, di liberarsene.

E la vicenda tragica di Pier Paolo Pasolini, con tanti tratti sovrapponibili, ne sarà, solo sette anni dopo, la conferma sanguinosa.

Una storia da allora man mano seppellita nell’oblio dei più, ma di recente, e questo film ne è premio, riscoperta e recuperata di fronte alla coscienza di pericoli vecchi che si travestono, ora, con nuovi abbigliamenti.

Chi erano storicamente Aldo Braibanti e il suo compagno di quei pochi anni Giovanni Sanfratello, chi erano allora i pochi, quasi tutti intellettuali, che di loro presero sinceramente le difese (Marco Pannella e Dacia Maraini, Elsa Morante e Alberto Moravia, i fratelli Bellocchio) ce lo ha raccontato già un bel docu-film del 2020 di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, cui volti e ambienti dell’epoca danno straordinaria efficacia. Meritato il Nastro d’Argento per il documentario. Da rivedere.

Amelio di quegli eventi tenta, con buona efficacia credo, una trascrizione estetica ed artistica che, nulla dimenticando della temperie sociale e politica che li circondavano, ne privilegia le sfumature esistenziali e intime, individuando nei volti dei suoi protagonisti le tracce essenziali di un modo di concepire la vita, la propria vita, sempre più inconciliabile e contrapposto, nel nome della libertà di stare nella società nelle forme che ciascuno ritiene più appropriate.

Un film che ha i ritmi di una storia personale ma che riflette la storia della società, ovvero la storia tout court, e che è capace anche di slanci lirici illuminanti, che ne accelerano o ne rallentano la narrazione, aprendo a più profonde significazioni.

Un film che sceglie in sostanza di narrare una storia personale al fine di scoprire, come un flash che improvvisamente si accende in una buia galleria, lo spaccato di un Italia di tanti anni fa, ma ancora così presente e metafisicamente ineludibile.

In questo la regia di Amelio talora sembra accentuare la sottolineatura della relazione omosessuale, quando credo che l’omosessualità in fondo potesse essere non altro che il mezzo allora più efficace per colpire quei due individui, più che il fine ultimo della scelta di colpirli.

Un cast di valore in cui, se vogliamo, risultano soprattutto apprezzabili, al di là della bravura di Luigi Lo Cascio ed Elio Germano, i tanti esordienti a partire dal bravo Leonardo Maltese (il giovane Ettore nel film).

Una sceneggiatura di buona fattura drammaturgica. Scelta delle musiche narrativamente d’atmosfera e fotografia di qualità.

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IL SIGNORE DELLE FORMICHE. Regia Gianni Amelio. Con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Leonardo Maltese, Sara Serraiocco. Sceneggiatura di Gianni Amelio, Edoardo Petti e Federico Fava. Fotografia Luan Amelio. Montaggio Simona Paggi. Prodotto da Simone Gattoni e Sonia Cilia. Distribuito da 01 Distribution. Italia, 2022 – Durata 134’

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.