Un Festival, in programma a Cesena dal 30 settembre al 2 ottobre, sintetizza e rilancia a sguardi esterni il sistema Catalysi, che Claudia Castellucci, co-fondatrice di Societas, ha ideato.
“Qui si tenta il matrimonio tra la baldoria e la critica del giudizio di Immanuel Kant”, è scritto nei materiali di presentazione di Catalysi. Quale baldoria ci possiamo aspettare?
Vogliamo provare a spezzare le linee di separazione. Il direttore Guillermo de Cabanyes, nell’allestire il Festival tra il Teatro Comandini e l’Arena San Biagio ha fatto propria la legge della miscela: sperimentazione e riposo, musica alta e da ambiente, performance ricercate e incidenti casuali dell’occhio… tutto ciò è all’insegna della baldoria e dell’avventura. Il Teatro Comandini è un luogo adatto a introspezioni nucleiche tese a esprimere valori-limite, e non uno stato d’animo qualunque. È un posto adatto per spettacoli impegnativi. La baldoria che abbiamo voluto accostargli segue queste intensità, e permette una successiva distensione e discussione. E questo si può fare soltanto o soprattutto in un bar, possibilmente amico, e non assillantemente avido di spillare denaro, come succede in quasi tutti i posti di Cesena, eccetto il Magazzino Parallelo, cui ci siamo associati. Il Tabarin allestito dal Magazzino Parallelo nella limitrofa Arena San Biagio, serve per questo (il Magazzino Parallelo, poi, è l’unico locale a Cesena dove è possibile ascoltare concerti e dibattiti non a scopo di lucro, perciò è una fortuna per la città).
Spazio ai principianti: “per sottolineare l’impeto che spinge a incominciare le cose” si legge, ancora. Quale ruolo ha la tecnica, nel sistema da te ideato?
Un ruolo concreto, che a un certo punto esige il distacco dalla placenta e spinge ad auto-espellersi e auto-nascere. Non soltanto la scuola moderna – dall’epoca di Carlo Magno alla nostra – ha inculcato una cronologia che mette al primo posto l’imparare la tecnica e poi il fare, ma anche l’attuale condizione tecnologica inculca una cronologia autofaga, che si nutre soltanto di ciò che vede, senza mai, o quasi mai, giungere al fare. Una tecnologia che dilaziona al domani, e che spinge alle dimissioni ancora prima di creare. L’idea di tempo che essa impone inibisce la tecnica, che significa letteralmente generare figli. Figli tecnici, cioè oggetti. Altri artisti, in passato, hanno provato a invertire questa rotta e hanno detto: “Ora basta studiare e prepararsi. Ora è il tempo di creare. Poi penseremo a studiare e discuteremo sopra quello che abbiamo fatto”. E Catalysi li segue, cessando la grande libagione di tempo che si dà al prepararsi, ancorati al proprio posto, per incominciare a fare, e fare il nuovo, uscendo dalla immane quantità e dalla grande somiglianza.
A beneficio dei suddetti principianti: quali attenzioni sono poste in essere per evitare il rischio di validare uno scivoloso (e scenicamente quasi sempre inefficace) spontaneismo? E più in generale: secondo quali principi sono stati selezionati?
Catalysi, prima di essere un Festival, è un sistema, pensato come una catena di reciproche influenze, generate dalle idee primitive che alcuni artisti hanno avuto. Idee ancora generali, disancorate dalla messa in scena vera e propria. Da queste idee nasce tutto il resto: il mio studio, il seminario e laboratorio di Letteratura Critica e il Festival stesso, ideato da Guillermo de Cabanyes. Questo è ciò che conta, e questo non è, né può essere, una garanzia di sorveglianza sul livello artistico. Ma l’impostazione di tutto il quadro non è tale da essere assimilato a una rassegna purchessia di creatività. È il disegno che tiene tutto insieme, insieme, intendo, anche il bello e il brutto; il teso e il rilassato. Questo è un rischio che vale la pena correre, nell’asfissia che sentiamo in questo tempo, e che sentiamo soprattutto in provincia, ma, d’altra parte, è proprio qui, nella provincia, che più profonde sono le caverne dove è necessario trovare a tutti i costi da mangiare. L’importante è che il disegno che sta sotto sia estremamente rigoroso, anche nella comprensione della eventuale debolezza artistica, perché si tratterebbe comunque di un incremento di avventura. Le artiste invitate in residenza quest’anno sono Stefania Rovatti, una scrittrice che intende confrontare la sua austera poesia con la materia e i materiali, e riportarla fuori, alla visione e all’udito, e Lou Riouallon, una diciannovenne di Parigi che ci ha segnalato Francesco Russo, da noi incaricato per osservare la scena francofona, così come ha fatto Lucía Diaz-Tejeiro per la scena spagnola.
Il Festival sarà diretto da Guillermo de Cabanyes. Chi è? Come lo hai incontrato? Quali indicazioni o vincoli ha ricevuto, nel suo lavoro?
Se c’è una cosa che riveste già di successo Catalysi è che io, carica di anni e di presunta maturità, dopo aver indicato il sistema a catena, non ho più mosso un dito. Hanno fatto tutto Guillermo de Cabanyes, un giovane laureato allo Iuav di Venezia che ho conosciuto perché frequentò un nostro Corso di Ritmo Drammatico e alcuni giovani componenti di Societas, che per questa avventura sono diventati i suoi collaboratori, prima fra tutti Camilla Rizzi, che oltre a organizzare il Festival ha partecipato attivamente alle idee e alla sua programmazione. Naturalmente per un Festival, anche piccolo, collaborano molte altre persone, che curano la Comunicazione, la Produzione, l’Amministrazione e la Tecnica. Il vincolo che de Cabanyes ha ricevuto è stato quello di riferirsi alla catena delle idee.
In questi giorni che precedono il Festival stai conducendo un Seminario e Laboratorio di Letteratura Critica. Quali scoperte sta portando?
Dopo un’introduzione legata alle idee infuse da Stefania Rovatti e da Lou Riouallon, la cui sintesi ho trovato nell’elemento dell’acqua e nelle sue proprietà, lo studio ha osservato, in particolare, una proprietà di infiltrazione sottile e di forza plasmatrice invisibile; dunque la direzione precisa dell’acqua in una condizione di libertà assoluta, che non si appoggia sul suo sistemarsi. E questa osservazione è stata paragonata alla creazione artistica. Abbiamo quindi chiamato a raccolta altri testi su cui abbiamo condiviso riflessioni e questioni, ma non desidero rivelare gli autori convocati. Mi limiterò a riferire vagamente soltanto i temi, che sono stati essenzialmente quelli che connotano gli elementi dell’acqua – sia potamica, sia marina –, della corporeità umana in riferimento alla pulsione della libertà, perfino da se stessa, e all’azione del metabolismo, sempre in riferimento alla libertà del vincolo che la materia ha con se stessa. L’altra parte dello studio è stato un laboratorio di osservazione e di scrittura, che si è avvalso della riscoperta della ecfrasi, antica tecnica di descrizione oggettiva.