In un momento di grave crisi ambientale, in cui la superficie urbanizzata e quella coltivata divorano senza sosta il bosco, è bello vedere che nelle fiabe questo è ancora una presenza viva. Il bosco infatti è un elemento importantissimo nella narrativa per l’infanzia: è il luogo della prova, il regno del subconscio, il buio dove i piani di lettura della realtà si moltiplicano e attraverso il quale si può giungere alla piena conoscenza di sé.
Tra gli spettacoli visti durante la biennale di teatro contemporaneo per ragazzi e giovani Colpi di Scena, tenutasi a Forlì dal 28 giugno al 1 luglio 2022, ce ne sono due interamente ambientati in un bosco e sono molto diversi tra di loro.
Il primo di cui vorrei parlare è Caro Lupo di Drogheria Rebelot. Una giovane Compagnia milanese, nata nel 2019 da Miriam Costamagna, Andrea Lopez Nunes e Andrea Rizzo che, dopo gli studi sul teatro d’ombra e di figura, ha coraggiosamente deciso di lanciarsi nella creazione del suo primo spettacolo, che è appunto Caro Lupo.
In quest’opera la Compagnia mette in scena con sapienza e cura le diverse tecniche teatrali nelle quali gli artisti si sono specializzati, cioè il teatro di figura, con l’uso di pupazzi e di ombre proiettate, e il teatro su nero. Quest’ultima tecnica prevede che un fascio luminoso crei sul proscenio un muro di luce, in modo da rendere visibile solo ciò che vi si trova esattamente sotto, lasciando tutto il resto in ombra.
Così, vestiti di velluto nero e invisibili, gli attori possono muovere gli oggetti, dando l’illusione che essi siano dotati di movimento e vita propria.
È un effetto speciale di forte impatto visivo, che ha tenuto incollati alla sedia anche i soggetti più vivaci in sala e che fa un uso particolare del buio, come un pozzo nero dal quale attingere continuamente nuovi elementi del racconto.
Nelle storie, il buio, che sia legato a un bosco oppure no, può essere veicolato in tanti modi e può avere tanti significati.
In Caro Lupo sembra che sia il tramite per una particolare emozione: la sorpresa.
Questo accade sicuramente sul piano della tecnica, per via della “magia” del teatro nero, che fa emergere dall’oscurità oggetti e personaggi e gli fa prendere vita, ma è vero anche per quanto concerne la storia.
Infatti, nello spettacolo, la bambina Jolie si addentra nel bosco preparandosi a incontrare una belva feroce e invece scopre di avere seguito le tracce di un cucciolo di lupo, indifeso e solo. Non è soltanto un colpo di scena, ma un’esperienza, che il pubblico compie insieme alla protagonista.
La sorpresa permette di prendere contatto con una realtà nuova.
Nel momento in cui ci si riconosce sorpresi si ampliano i propri orizzonti e si può diventare noi stessi nuovi. Di sorpresa in sorpresa, dunque, si cresce mentre, mi viene da aggiungere, sbadigliando non s’impara.
Il secondo spettacolo è Il bosco e la bambina, di La Baracca – Testoni Ragazzi.
Diversamente da Drogheria Rebelot questa Compagnia è tutt’altro che neonata, anzi attiva da oltre cinquant’anni.
Il loro recente lavoro Il bosco e la bambina inizia subito con un approccio molto diverso per affrontare il buio: fornisce una mappa.
Lo spettacolo, infatti, parte elencando gli elementi che compariranno nella storia (una bambina, un pesce, Darth Vader e via dicendo), in poche parole: getta una luce.
E questo è esattamente il tipo di oscurità che si viene a creare nel bosco di questa storia: l’ombra creata da una luce gettata sulle cose, letteralmente e metaforicamente.
Letteralmente perché la scenografia dello spettacolo è composta da strutture metalliche ricoperte di materiale sottile e semitrasparente, sulle quali viene gettata la luce di alcune torce elettriche.
Il risultato è la proiezione di ombre che sono un misto di oscurità e luce (per la diversità dei materiali che le proiettano) e che si contorcono (per il movimento delle torce) come se volessero strapparsi dal corpo. Come l’ombra di Peter Pan.
Metaforicamente perché la storia dello spettacolo è presentata come il ricordo di una storia vera e nella narrazione interviene la protagonista dei fatti, che si alza dalla platea e sale sul palco per fare chiarezza su ciò che è successo.
In altre parole, per gettare una luce.
La sorpresa questa volta non c’è, perché il buio non viene usato per svelare e disvelare, ma è più uno spazio da indagare a fondo (per questo c’era la mappa).
Lo spettacolo si costruisce quindi sull’analisi psicologica dei personaggi, del loro rapporto, delle loro credenze.
La crescita della protagonista avviene con la scoperta di un lato oscuro e nascosto (un istinto primitivo e animalesco) e l’antagonista non si nasconde nel buio ma, al contrario, è luce, una luce rossa che illumina in modo inquietante le cose e che alla fine non viene né spenta, né sconfitta.