Mai fu la nostra vita così piena
di incontri, di arrivederci, di transiti
come quando ci accadeva soltanto
ciò che accade a una cosa o a un animale:
vivevamo la loro come una sorte umana
ed eravamo fino all’orlo colmi di figure.
Rainer Maria Rilke, Infanzia
in Poesie. 1907-1926 (Einaudi, 2014), a cura di Andrea Lavagetto
Il frammento di Rilke posto in esergo a queste poche righe pare appropriato a introdurre qualche pensiero in merito a I sognatori, spettacolo di teatro danza tout public a partire dai 6 anni di Manuela Capece e Davide Doro, prodotto da Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti e interpretato da Erica Meucci, Giuseppe Claudio Insalaco e Piergiogio Gallicani, visto al Teatro Diego Fabbri di Forlì il 28 giugno 2022 nell’ambito della Biennale di Teatro Contemporaneo per le giovani generazioni Colpi di Scena, curata e organizzata da Accademia Perduta/Romagna Teatri e ATER Fondazione.
Appropriato, si diceva, innanzi tutto perché evoca due elementi che immediatamente emergono dallo spettacolo: la malinconia, che nell’etimologia vale forse ricordarlo rimanda alla bile nera e, per apparente paradosso, la ridda di immagini e lievi colori che da questo nero, o fondo scuro, emergono.
Ed è proprio in un fondo scuro, sferzato dal vento e dalla nebbia, che le tre vaganti Figure iniziano a darsi al nostro sguardo. Come non pensare ad Amarcord, “Mo se la morte è così… non è mica un bel lavoro” e a Federico Fellini, a cui lo spettacolo è esplicitamente dedicato (potere degli anniversari).
Il brancolare diventa danza, i tre d’improvviso si uniscono (a proposito di Fellini, consigliamo a tutti di leggere o rileggere il commovente finale del racconto Il viaggio di Tonino Guerra in cui i due anziani sposi Rico e la Zaira, dopo aver tanto camminato per andare a vedere il mare che a ottant’anni non avevano ancora mai visto, pur abitando a pochi chilometri di distanza, finalmente vi giungono… ma c’è una gran nebbia che copre tutto e loro vi si perdono in mezzo e iniziano a vagare mulinando le braccia… poi si toccano per caso e si abbracciano “come due che si ritrovano dopo trent’anni di America”: struggente e sublime).
L’inizio dello spettacolo è dunque affatto evocativo, coraggioso nell’offrire ai bambini un procedere indefinito, sospeso, non univoco e, dunque, non a tutti i costi rassicurante.
L’apparente vagare delle Figure nello spazio vuoto è creaturale: da esso, grazie a una scrittura coreografica immaginifica ed esatta, affiorano immagini (esempio: il falò attorno a cui i tre si scaldano), dando corpo e visione a quel pensiero magico che nell’infanzia trova scaturigine e massima espressione.
Un altro aspetto coraggioso de I sognatori è il procedere per paradossi. “Dovete guardare per davvero: su, chiudete gli occhi”: parole che potrebbero esser pronunciate da Antonio Catalano, o da Gianni Rodari, segno di un’idea larga di infanzia, e di arte, che certo fa bene a chi la vive e a chi se ne occupa.
I sognatori, in tal senso, dà corpo a una prospettiva letteralmente poetica che comprende le dimensioni della creazione e dell’approssimarsi al mistero.
A proposito di poesia, e di dinamiche sceniche: questo spettacolo che, almeno nella prima parte, pone al centro del fatto performativo il ritmo e la forma, è un accadimento metrico accompagnato in trasparenza da musiche evocative, per nulla bambinesche, che dialogano a tratti con andamenti lievi, sospesi, interposti a esplosioni cinetiche che quasi lasciano tracce percepibili nello spazio (come non pensare alle monocromie del meno ostico fra i mitici Azionisti viennesi, Arnulf Rainer)?
Tre elementi, per contro, ci hanno lasciati perplessi. In questo caso ci pare rispettoso dell’indubbia professionalità dei molti soggetti in campo esplicitarli, ancorché schematicamente:
– il tono reiteratamente esortativo del testo sfiora a più riprese il rischio predicatorio, per di più a volte con modalità retoriche ed enfatiche affatto marcate (un esempio fra vari: “liberate le vostre emozioni”);
– alcuni elementi bambineschi sembrano stridere con la visione più ampia di infanzia a cui si è accennato: la recitazione spesso iper-entusiasta, i nomi scelti per le tre Figure (Cico, Pallina e Gigante), l’ineludibile necessità dell’happy end (che porta a una moltiplicazioni di finali non spiegabile altrimenti);
– il carosello di veloci uscite con i diversi costumi da dietro un fondale nella seconda parte, pur costituendo una decisa ed efficace variazione ritmica non è chiaro, almeno per noi, quale coerenza abbia con il discorso linguistico (e non solo drammaturgico) complessivo.
Aspettiamo con gioia di incontrare altre creazioni di questi artisti, per meglio conoscere il loro mondo creativo.